L’arrivo di Biden in Europa per partecipare alle riunioni della Nato, del G7 e del G20 confermano la volontà, da parte degli USA, di “riappropriarsi” di una leadership, a livello internazionale, che si era un po’ appannata. Dopo l’uscita di scena di Angela Merkel, la mancanza di una figura carismatica a livello europeo agevola la riacquisizione del ruolo da parte americana. La forza economica, e “l’autonomia” di spesa, (senza contare la profonda differenza in termini di indipendenza in termini di forniture energetiche) del Paese è l’altra componente fondamentale che permette al Presidente americano di “tracciare” la linea. La maggiore difficoltà, in questo momento, per “tenere uniti” non solo gli Stati membri UE, ma anche l’alleanza occidentale, è rappresentata appunto dal tema energetico. E’ evidente che per gli USA è molto più semplice affrontare l’argomento, tant’è che non hanno avuto alcun problema ad decidere di fare a meno del gas e del petrolio russo, una percentuale minima rispetto ai loro consumi. Ben diverso convincere chi, come la Germania (ma noi seguiamo a ruota), dipende per il 40% dall’export energetico russo: decidere lo stop significherebbe fermare le fabbriche, il vero traino per un Paese a vocazione industriale (e infatti il Cancelliere Sholz deve fronteggiare il fronte degli imprenditori, che in numero sempre superiore vorrebbero un allentamento delle sanzioni: e questa è un’altra grande differenza rispetto agli USA. Lì, infatti, le sanzioni sono già pienamente operative, mentre da noi, in Europa, lo sono solo parzialmente, con una progressione graduale, che le renderà completamente operative entro il mese di aprile). Da qui le richieste UE di “supplire” nel più breve tempo possibile alla futura rinuncia (l’indipendenza dalla Russia è ormai “la” priorità) dell’energia russa: si parla di 15MD di m3 di gas da parte degli USA, cosa peraltro non semplice da attuare. Se dalla Russia l’energia arriva “via terra” (gasdotti e oleodotti), d’oltreoceano non può che arrivare via nave. E quindi si pone il problema dei rigassificatori, con impianti che scarseggiano ovunque (in Italia, per esempio, ne abbiamo solo 3).
Grande tema, quello dell’energia, che richiederebbe un approfondimento ben maggiore e articolato rispetto a poche righe. Di certo il “paradigma” è cambiato in brevissimo tempo. Se fino a ieri era attualissimo l’obiettivo emissioni zero, oggi l’emergenza rimette in discussione, almeno nel breve termine, quella che sembrava una strada tracciata. Impossibile, infatti, la rinuncia dell’energia fossile (la Germania sta addirittura ripristinando l’utilizzo del carbone, la materia energetica più inquinante in assoluto): la crisi, peraltro, impone un’accelerazione sul fronte delle energie “pulite”, che però richiedono investimenti colossali (e ben sappiamo come la “materia prima monetaria” comincerà prossimamente a “scarseggiare”, almeno rispetto a come siamo stati abituati negli ultimi anni, per le politiche monetarie di maggior rigore che le Banche Centrali stanno iniziando ad attuare).
L’altro grande cambiamento, ora appena accennato, ma che sarà sempre più evidente con il passare dei mesi, è quello della globalizzazione.
Arriviamo da decenni (praticamente dalla “caduta del muro”) di aperture, delocalizzazioni, interscambi sempre più ampi. Già le limitazioni imposte dalla pandemia avevano iniziato a “scalfire” la visione di un mondo “globale”. Ma l’attacco della Russia, nella sua drammaticità, è ben più grave. Il suo impatto, come dice Larry Fink, fondatore e Presidente di Black Rock, una delle maggiori case di investimento al mondo, avrà ripercussioni per decenni, con modalità che nessuno oggi è in grado di prevedere.
Se 30 anni fa i muri si abbattevano, oggi gli stessi muri, molto probabilmente, torneranno ad essere eretti: questa volta, quasi certamente, ancora più “forti e resistenti”, viste le “sofisticazioni” avvenute in tutti questi anni. E i muri, per la loro stessa natura, non possono che essere divisivi e respingenti. Molte aziende “torneranno a casa”, per non correre il rischio di vedersi isolate, i Paesi privi di risorse energetiche cercheranno, il più possibile, di rendersi autosufficienti, gli spostamenti degli individui per motivi di lavoro si ridurranno, etc etc. Ne conseguiranno cambiamenti alle nostre abitudini di vita epocali: pensiamo solo agli spostamenti aerei, o ai consumi (già oggi si intravvedono spese minori per i servizi e un aumento, di contro, di quelle legate alla casa o ai beni alimentari), o alla catena delle forniture (quello che sta succedendo da 2 anni a questa parte potrebbe essere solo un assaggio).
Intanto il “muro della pandemia” non è, almeno in Cina, ancora scomparso. A Shanghai pare abbia toccato nuovi record (ben sappiamo come sia tutto relativo: si sta comunque parlando di qualche decina, forse poche centinaia, di casi), sufficienti comunque a suscitare nuove paure. L’indice locale sta per chiudere la settimana in calo dell’1,17%; ben peggio va a Hong Kong, in calo del 2,70%. Si salva Tokyo, con il Nikkei che guadagna lo 0,25%.
Da notare (cosa probabilmente non casuale, in considerazione dell’attuale situazione geopolitica) un segnale non così privo di significato per i rapporti commerciali tra USA e Cina: infatti in queste ore l’amministrazione Biden ha rinnovato l’esenzione dai dazi per 352 prodotti statunitensi importati dalla Cina.
Futures al momento positivi ovunque.
Petrolio in calo nei primi scambi di giornata, con il WTI a $ 111,3, – 1,03%.
Gas naturale a $ 5,417, stabile rispetto alla chiusura di ieri.
Oro in leggero calo (– 0,38%), dopo che nella giornata di ieri era tornato sino a $ 1.960.
Stabile lo spread, sempre a 151 bp; il rendimento del BTP, però, risente dell’aumento di quello del bund, arrivato a toccare lo 0,53% (mai così alto dal 2018), motivo per cui è arrivato a toccare il 2,05%.
Treasury USA a 2,36%.
€/$ poco mosso, a 1.1028.
Chi si muove, invece, è il bitcoin, tornato ai livelli dei primi giorni di marzo, quando era intorno ai $ 44.000.
Ps: l’inverosimile è successo: per la seconda volta consecutiva (mai successo) l’Italia è fuori dai mondiali. Nel giro di 8 mesi siamo passati dall’essere, da Campioni d’Europa, tra i favoriti ad essere eliminati ai play-off. A “farci fuori” la Macedonia (del nord, come la Corea nel 1966 a Wembley, però in quella occasione, almeno, al torneo finale c’eravamo arrivati). Mai come questa volta è proprio il caso di dire che l’Italia del calcio è arrivata alla frutta…
Ennesima conferma che, nello sport, mai, ma proprio mai, bisogna adagiarsi sugli allori. Ma la stessa cosa vale per la vita.