Direttore: Alessandro Plateroti

Gli scenari “bellici”, ormai è chiaro, sono di 2 tipi: quello vero, vale a dire la guerra “vera”, quella che si combatte in molte città, che distrugge interi quartieri, annienta le fabbriche, produce vittime, anche civili, in numero sempre superiore, costringe la popolazione ucraina a fuggire dal Paese (secondo l’ONU i profughi sono già più di 3ML) e che, con tutta probabilità, porterà a “ridisegnare”, questa volta sì, l’equilibrio mondiale.

E poi c’è “l’altra” guerra, quella più silenziosa, senza il frastuono delle bombe, ma altrettanto “cinica” e fragorosa, che si gioca sui mercati finanziari. E che ha già decretato, se non un vincitore, almeno un perdente. Che, come evidente, è la Russia, colpita da sanzioni durissime, che mai Putin, con tutta probabilità, non si sarebbe mai aspettato (anche se, sino a quando continuerà l’importazione, da parte dell’occidente – la Cina merita un discorso a parte – delle materie prime energetiche consentirà l’introito di ingenti quantità di valuta pregiata, pari a circa $ 700 ML al giorno).

La Russia potrebbe, infatti, finire, a brevissimo, in default. Oggi è previsto il pagamento di cedole su 2 emissioni obbligazionarie a garanzia statale per circa $ 117ML (in realtà c’è tempo sino al 15 aprile per onorare il debito, ed è probabile che il Ministero delle Finanze si prenderà tutto il tempo necessario).

Molti ricorderanno l’ultimo default della potenza sovietica: era il 1998 e la crisi fu innescata da u no dei maggiori Hedge Fund all’epoca operanti a Wall Street, il Long Term Capital Management (LTCM). Il fondo, come tipico dell’operatività di questi operatori, aveva avviato pesanti operazioni speculative. Nella fattispecie, aveva deciso di “prendere di mira” il debito russo con una “leva finanziaria” assolutamente esagerata: seppur il capitale del fondo fosse “solo” di $ 5MD, aveva assunto oltre $ 120MD di prestiti finanziari, ma, soprattutto, era arrivato ad un’esposizione (tramite derivati) di quasi $ 1.000 MD. Una cifra enorme. In sostanza aveva “scommesso” sul debito russo, vendendo il debito USA (andando, come si dice in gergo, “short” su quest’ultimo asset). Quando scattò l’inadempienza da parte della Russia, il Fondo accusò perdite pesantissime sulle 2 operazioni, trascinando al ribasso tutti i mercati, soprattutto Wall Street, e solo l’intervento della FED evitò un vero e proprio crollo.

Oggi siamo in una situazione ben diversa.

Innanzitutto il totale delle passività “esterne” della Russia (vale a dire il debito dello Stato, delle società e dei privati residenti) è molto sceso in questi anni, passando dai $ 733 MD del 2014 ai $ 480 MD attuali.

Di questi, $ 135 MD dovranno essere rimborsati entro l’anno. Va però sottolineato che i debiti dello Stato in valuta estera ammontano, però, a soli $ 40MD, mentre il debito corporate internazionale, quello cioè emesso dalle società, è pari a $ 100MD.

Anche l’esposizione del sistema bancario non è particolarmente elevata, assommando a $ 120 MD, cifra importante ma non così drammaticamente preoccupante.

Pochi giorni fa Gazprom, forse la maggiore azienda russa, ha regolarmente rimborsato un bond in $.

Si presume pertanto che il pagamento dei $ 117 ML di cedole non dovrebbero costituire un problema vero: ne conosceremo l’esito, probabilmente, solo tra 1 mese e, nel caso, più che un “default tecnico” potrebbe assumere una valenza “politica”, vale a dire la volontà o meno di Putin di “dare” soldi ai creditori “nemici” (potrebbe anche onorare il debito, ma non in $ bensì in rubli, valuta che, per quanto ieri abbia recuperato oltre il 14% su € e $, è enormemente svalutata rispetto a qualche settimana fa).

Va detto, a maggior precisazione, che l’eventuale “ristrutturazione” del debito deve essere sottoposta ai creditori: cosa di cui, se fosse, ben possiamo immaginare le conclusioni.

La giornata si è aperta con il “botto” delle borse asiatiche. La chiusura molto positiva di ieri sera a Wall Street (con il Nasdaq ai massimi di giornata, con + 3,16%) ha “tirato la volata” agli indici del Far East. Tokyo ha chiuso a + 1,64%, ancora meglio Shanghai (+ 3,48%), sebbene i contagi in Cina siano ancora aumentati. Clamoroso il rialzo di Hong Kong, che si appresta a chiudere la giornata vicina al + 9%. Positive anche le borse della Corea e dell’Australia.

I futures sembrano ben posizionati, con rialzi appena sotto l’1% a Wall Street ma vicini al + 2% in Europa.

Ieri il petrolio è sceso ben sotto i $ 100, con il WTI a $ 97 (- 5%): in appena 5 giorni il calo è stato di olter il 27%. Questa mattina da segnali di maggior stabilità, a $ 98,4 (+ 1,96%).

Gas naturale a $ 4,712 (+ 3,15%).

Continua il ritracciamento dell’oro, in calo (– 0,6%) a $ 1.919.

Spread a 156,5, per un rendimento del BTP vicino all’1,90%.

Treasury a 2,14%. Questa sera è atteso il primo “verdetto” della FED, che si pronuncerà in merito al rialzo dei tassi: i mercati si aspettano un ritocco all’insù dello 0,25%, il primo di 5 o 6 nell’anno.

€/$ stabile a 1.0965.

Bitcoin in recupero a $ 39.596, + 2,95%.

Ps: tutti ricordiamo le drammatiche immagini degli Europei di calcio, nello scorso giugno, quando Eriksen, il capitano della Danimarca, fu colpito da un arresto cardiaco. A distanza di pochi mesi, non solo è tornato a giocare, ma è stato addirittura convocato in Nazionale in vista della partita amichevole contro l’Olanda. Rimane da capire se è una convocazione “vera” o, piuttosto, “simbolica”, visto qual era la stata la sua ultima partita.

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ultimo aggiornamento: 16-03-2022


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