E quindi anche l’Italia si ritrova nel mezzo del “ciclone inflazione”.
I dati di giugno confermano quello che è un trend quasi globale (pochi sono i Paesi in cui l’aumento dei prezzi continua a rimanere contenuto, tra il 2 e il 2,5%, tra questi Giappone, Cina e, in Europa, ma non nell’area UE, la Svizzera).
Nel nostro Paese siamo passati dal 6,8% di maggio all’8% di giugno, con aumenti ben superiori in alcuni settori, come i trasporti (+ 10,8%), prodotti alimentari (+ 7,4%), cura per abitazioni e carburanti (+ 26%). Era dal 1986 che non si registravano rialzi così gravi, con l’inflazione core (quella al netto dei prodotti alimentari ed energetici) al 4,2%.
Il risultato è che a metà anno l’inflazione “acquisita” (quella cioè che rimarrebbe anche laddove da qui a fine anno non ci fossero più aumenti) è al 6,4%, mentre quella di fondo è al 2,9%. Nel 2021 l’aumento dei prezzi fece segnare + 1,9%, mentre nel 2021 addirittura eravamo diventati “giapponesi”, con i prezzi che, seppur di poco (– 0,1%) erano scesi.
Non vanno meglio le cose in Europa (area UE), con un dato di giugno che evidenzia + 8,6% (+ 8% a maggio) e l’inflazione core a + 4,6%. Nonostante il “sentiment” sull’economia non sia tra i più positivi, con l’indice PMI per il settore manufatturiero, stilato sulla base dei dati raccolti tra i direttori acquisti, in calo da 54,6 di maggio ai 52,1 punti di giugno, l’occupazione europea scende al record del 6,6%.
Numeri che, almeno in parte, spiegano il netto calo degli spread, e quindi anche dei rendimenti, fatti registrare dai titoli obbligazionari negli ultimi giorni.
Oltre ai “messaggi” della BCE sull’attivazione di prima forma di “scudo” anti spread (con il 30 giugno sono finiti gli acquisti previsti dal PEPP, ma si prevede che i “riacquisti” dei titoli che arriveranno in scadenza possano avvenire su titoli dei Paesi ritenuti, di volta in volta, in difficoltà), a fare da “detrattore” sono le previsioni sull’arrivo di una recessione globale.
Se così fosse, infatti, gli operatori sono convinti che le Banche Centrali di mezzo mondo sarebbero disposte a rimettere in discussione le politiche di maggior rigore che stanno attuando. Ecco spiegato perché il nostro BTP decennale ha visto il proprio rendimento letteralmente “crollare”, passando dal 4,27% del 14 giugno al 3,18% di venerdì scorso, con lo spread con il bund sceso a 195bp da 252bp. In Germania si è passati dall’1,80% all’1,23%. E questa mattina, nei primi scambi, il treasury Usa tratta a 2,88%.
Recessione o no, comincia a farsi largo l’idea che i mercati abbiano raggiunto quasi il fondo: nelle prossime settimane la volatilità potrebbe farla ancora da padrona, ma le quotazioni dovrebbero essere vicine al famoso “floor”, con un secondo semestre più tranquillo per gli indici azionari.
Oggi è il 4 luglio, la “festa” americana per eccellenza. Listini Usa quindi chiusi, seppur i futures scambino regolarmente (attualmente negativi, – 0,30/40%, per quanto in recupero rispetto al – 0,8/0,9% delle prime ore della mattinata.
Inizio a 2 velocità, come ultimamente spesso accade, nel Far East: bene Tokyo, con il Nikkei a + 0,84%, mentre Shanghai sale dello 0,26%. Appena negativa, invece, Hong Kong, che arretra dello 0.32%.
Spread che si conferma a 195 bp, con il BTP che continua il suo recupero.
€/S a 1,0434: la prospettiva di un rialzo dei tassi, da parte della FED, dello 0,75%, da nuova forza al $.
Continua la “sofferenza” per le criptovalute, con le quotazioni del bitcoin a $ 19.174.
Ps: in queste settimane, con una fortissima accelerazione negli ultimi giorni, si sta palesando una nuova emergenza, aggravata dalla “stagionalità” del periodo delle vacanze concomitanti all’estate. In tutta Europa si sta verificando una grave crisi dei trasporti aerei, con i principali aeroporti bloccati da code chilometriche dei passeggeri in transito ai check-in e, cosa ancor più grave, centinaia di migliaia di bagagli in attesa di essere imbarcati. Nei prossimi 3 mesi i voli programmati, solo in Europa, sono 1,6ML, appena il 10% in meno rispetto al 2019, ultimo anno “normale”. Ma, per rimanere solo agli scali di Londra e Amsterdam, epicentro della crisi, mancherebbero oltre 30.000 addetti, pari al 35% del periodo pre-Covid. Le previsioni, nell’ipotesi peggiore, parlano di 120/140.000 voli a rischio in Europa, con oltre 1,8ML di passeggeri che potrebbero rimanere coinvolti direttamente e un numero ben maggiore in maniera indiretta, con ritardi e disagi gravi.