Verso la fine dell’anno scorso, l’ammontare dei titoli obbligazionari con rendimento negativo aveva raggiunto l’incredibile cifra di $ 18.000 MD, livello pari al PIL dell’eurozona. Nell’arco di pochi mesi lo scenario si è completamente modificato: ad oggi, infatti, la cifra di è ridotta a circa $ 2.700 MD, ed è molto probabile che nei prossimi mesi si riduca ulteriormente. La testimonianza più
evidente è rappresentata dall’andamento del Bund tedesco, il “benchmark” difensivo per eccellenza: al 31/12/21 il suo rendimento, seppur di poco, era ancora negativo (– 0,18%, 1 anno fa si aggirava intorno al – 0.40%), ieri ha toccato lo 0,92%, livello non così lontano da quello dei nostri vituperati BTP a fine 2021, quando si trovavano all’1,18% (ieri 2,56%, massimo da 3 anni a questa parte). Una “panoramica” poco incoraggiante: i treasury ormai sono ad un passo dal 3%, in Spagna i bonos sono all’1,86% (fine 21 0,60%), gli OAT francesi rendono l’1,39% (fine 21 0,19%), e via di questo passo.
Un quadro lontanissimo da quello figlio del Covid, con una situazione di mercato completamente rovesciata.
La conferma ci arriva dal World Economic Outlook del FMI, che prevede che egli effetti della guerra in Ucraina siano (e non nel quadro più pessimistico) ricadute significative a livello globale, per quanto con differenze evidente tra le varie aeree geografiche, diversamente impattate anche in funzione della distanza più o meno maggiore dall’area del conflitto. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che l’impatto sul PIL globale sarà almeno dell’1%, portando la crescita globale al 3,6% contro il 4,6% soltanto di 3 mesi fa. La caduta conseguente al Covid fu, come molti ricordano, di ben il 6% (media globale), con Paesi (tra cui il nostro) che hanno visto il PIL crollare di oltre il 9%. Eppure, oggi le preoccupazioni sembrano ben maggiori, anche in considerazione di un quadro economico che appare ben più deteriorato. La causa maggiore, fatto oramai noto a tutti, è l’inflazione, tornata con una velocità impressionante ai livelli di 40 anni fa. Per contro, tutti gli indicatori portano ad una caduta della crescita. Per rimanere all’Italia, oramai si parla di un + 2,3%, di fatto il “lascito” del boom dello scorso anno, quando la crescita ha toccato il 6,5%, un livello che non si vedeva dagli anni 60 (ad onor del vero, va detto che il nostro Governo, nel DEF, stima una crescita del 3,1%, percentuale probabilmente eccessiva, come troppo prudenziale, di contro, appare la stima sull’inflazione, vista “strutturalmente” al 3% (oggi siamo intorno al 7%). Numeri poco rassicuranti, che potrebbero portare in tempi non lontani a rivedere la politica di bilancio (in queste settimane il Governo è impegnato nella presentazione della Legge di Bilancio – appunto il DEF – che, a questo punto, potrebbe nascere già “vecchio”….). I conti sono presto fatti: meno crescita, quindi PIL che cresce meno del previsto, più deficit (maggiori spese), più debito (rapporto debito/PIL che difficilmente scenderà, come invece etra negli obiettivi governativi). Si calcola che quest’anno lo Stato spenderà oltre € 900 MD (spesa pubblica), un numero che potrebbe non bastare per sostenere i bilanci delle famiglie e delle imprese, schiacciate dall’aumento “monstre” delle materie prime. Insomma, se fino a pochi mesi fa la parola stagflazione (alta inflazione abbinata a bassa crescita) sembrava prematura, oggi rischia di diventare lo scenario più probabile. Forse anche per questo le decisioni delle Banche Centrali possono diventare ancora più determinanti, dovendo muoversi sullo stretto confine che separa l’atterraggio morbido dell’economia da quello della recessione totale, come accaduto nei primi anni 80.
In tutto questo, si apre oggi a Washington un G20 (le prime venti economie al mondo, che rappresentano il 90% del prodotto lordo e due terzi della popolazione mondiale) un po’ paradossale, visto che è prevista la presenza della Russia, invisa a tutti (o meglio, a quasi tutti). E quindi è lecito chiedersi quale potrà essere l’utilità di un incontro in cui manca il presupposto fondamentale, vale a dire il dialogo…
La giornata di ieri sembra l’ennesima conferma che i mercati non conoscono più le mezze misure: Wall Street, ancora una volta, ha stupito tutti gli osservatori, con chiusure da “rally”: Nasdaq + 2,15%, Dow Jones + 1,45%, S&P + 1,61%. Rialzi che, però, solo in parte hanno avuto ricadute sui mercati del Far East asiatico. Questa mattina, infatti, troviamo il Nikkei a + 0,86%, mentre ripiegano, dopo una prima fiammata, sia Hong Kong (- 0,33%) e Shanghai (- 1.33%). E’ probabile che le notizie sul Covid pesino sui listini orientali: a Shanghai, infatti, ieri sono stati registrati 7 decessi, con i casi positivi oramai superiori a 20.000.
Futures al momento sotto la parità a Wall Street, mentre fa un po’ meglio l’Europa.
Petrolio (WTI) a $ 103,36 (+ 1,17%).
Gas naturale che ha “rotto” la resistenza dei $ 7 (7,111), anche se questa mattina appare leggermente in flessione.
Oro a $ 1.945.
Sembra essersi arrestata, per il momento, la corsa del $, con €/$ a 1,0812.
Spread a 161bp, con il rendimento del BTP a 2,56%.
Bitcoin a $ 41.468 (+ 1,80%).
Ps: lo sport, ancora una volta, conferma di essere uno dei valori più forti e più positivi che esistano. Liverpool-Manchester City, scontro tra 2 delle squadre più rappresentative e storiche della Premier League inglese, separate da una accesissima, storica rivalità. 7’ del primo tempo: tutto lo stadio in piedi a cantare You’ll never walk alone, l’inno della squadra di casa, dedicato però ad un avversario, e che avversario: Cristiano Ronaldo, CR7, la cui compagna, due giorni fa, durante un parto gemellare, ha perso uno dei 2 bambini.