La decisione di Putin di bloccare le forniture di gas a Polonia e Bulgaria sembra volta a “sparigliare” le carte. Tra le righe si legge, con chiara evidenza, la volontà di “rompere” il fronte europeo, già messo a dura prova dal diverso approccio con cui i vari Governi si trovano ad affrontare la crisi energetica, a partire dalla Germania.
E’ a tutti nota la forte dipendenza della potenza teutonica dal gas e dal petrolio in arrivo dalla Russia, dipendenza figlia dei forti legami politici instaurati nel tempo, prima da Schroeder (non a caso sommerso dalle critiche nei giorni scorsi per alcune sue dichiarazioni ritenute troppo morbide nei confronti del leader russo) e poi da Angela Merkel. Dipendenza che, negli anni scorsi, ha permesso all’industria tedesca di continuare a rafforzarsi e ad imporre la propria forza sui mercati. Diventa ben difficile oggi per Scholz resistere quindi alle pressioni dell’imprenditoria, che in tutti i modi sta cercando di evitare l’imposizione dell’embargo a cui sta pensando la UE.
La stessa Bundesbank ha stimato che, allor quando si arrivasse alla “madre di tutte le sanzioni”, il colpo per la Germania sarebbe pesantissimo. La caduta del PIL è stimata in circa 5 punti percentuali, per un valore di circa € 180 MD. Si scatenerebbe una delle crisi più gravi dal dopoguerra ad oggi, con un’ulteriore crescita dell’inflazione, che dall’attuale 7.3% (ultima rilevazione) salirebbe di un altro 1,5%. La recessione diventerebbe realtà, con la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro e imprese destinate a chiudere. Peraltro già nella situazione attuale il Governo tedesco “vede” una crescita per quest’anno che scende al 2,2% dal già non “esaltante” (per i loro standard) 3,6% previsto.
E’ di ieri, poi, la notizia, da parte del Ministro dell’Economia e del Clima, Robert Habeck, in caso di embargo, di nazionalizzare la raffineria di Schwedt der Oder, di proprietà di Rosneft, dove arriva il petrolio russo alla Germania, fornitura già scesa dal 35% sul totale degli approvvigionamenti del Paese “ante” guerra all’attuale 12%. Ben maggiore la dipendenza dal gas, che, seppur scesa al 35% dal 55% antecedente lo scoppio della guerra, rimane pur sempre molto elevato.
In netto calo anche l’indice della fiducia dei consumatori, in diminuzione ad aprile di ben 10,8 punti, a ridosso dei 26.5 punti, sotto quindi al livello di 23 punti toccato nel maggio 2020 nel pieno della pandemia.
La decisione di Putin, motivata dal fatto che i 2 Paesi avrebbero “violato” la decisione russa di effettuare pagamenti in rubli, ha provocato una forte tensione sui prezzi, con il megawattore che è letteralmente “decollato”, in rialzo del 28% fino a sfiorare
€ 128, per poi ridiscendere verso i 108€. Rimane comunque la preoccupazione per eventuali ulteriori ripercussioni da parte dell’autocrate russo: anche per questo già oltre una decina di società si sarebbero adeguati agli “standard”, aprendo un conto in rubli, in modo che, una volta effettuato il pagamento nella valuta definita contrattualmente, possa essere effettuato il cambio e il successivo pagamento (la stessa ENI starebbe valutando la cosa).
Ma le conseguenze non si limitano soltanto al prezzo dell’energia. Non a caso il $ ieri ha toccato nuovi massimi di periodo, portandosi sotto 1,06 vs € e avvicinandosi pericolosamente alla parità con la valuta europea. Aspetto che ovviamente impatta sull’economia di tutta l’area. Se da una parte, infatti, l’economia europea ne trae vantaggio (la debolezza della moneta unica favorisce, e non di poco, le esportazioni: non a caso ieri tutte le borse europee sono salite), dall’altra la forza del “biglietto verde” significa “importare” inflazione, già alta di suo, e quindi ulteriore causa di eventuali azioni restrittive da parte della Banca Centrale Europea.
In un quadro simile non deve perciò stupire l’estrema volatilità dei mercati: ne è stata una conferma il Nasdaq, che ieri ha continuato a fluttuare sopra e sotto la parità, e neanche di poco, per poi chiudere marginalmente sotto la parità (– 0.05%). Meglio è andata al Dow Jones, in lieve rialzo (+ 0,19%).
La giornata asiatica che sta per chiudersi fa pensare ad un andamento positivo anche in questa parte del mondo.
Il Nikkei si appresta a chiudere vicino al + 2% (+ 1,75%), mentre sia Shanghai che Hong Kong, seppur con percentuali inferiori (+ 0.42% e + 1,02%), rivedono il segno più dopo giornate non semplici.
Futures forti ovunque, con rialzi ben superiori all’1%.
Petrolio in leggera flessione, con il WTI a $ 101 (- 1%).
Sempre ben sopra i $ 7 il gas naturale, con le quotazioni a $ 7,373 (+ 0.31%).
Scende sotto i $ 1.900 l’oro, “schiacciato” dalla forza del $.
Spread ancora in rialzo, a 176 bp, con il BTP intorno a 2,65%. Movimento analogo per il Treasury, che si riporta sopra il 2,80% (2,83%).
Ancora più giù l’€, con il $ a 1,0527.
Bitcoin che, seppur a fatica, risale la china: questa mattina lo troviamo a $ 39.400 (+ 1.90%).
Ps: ogni Paese è figlio della propria storia e della propria cultura (per quanto le influenze “esterne” spesso possa avere un peso importante). In alcuni, poi, il peso della storia e della cultura forse è ancora maggiore. E il Giappone forse ne è una delle testimonianze maggiori. Una degli aspetti che forse maggiormente colpisce è la contrapposizione tra storia e modernità: se da una parte vivono tradizioni antichissime, dall’altra le modalità di vita della popolazione rispecchiano un influsso pesantissimo dato dalla tecnologia e dalle sue applicazioni in tutti gli ambiti. Si rimane però, usando un eufemismo, “di sasso” leggendo del matrimonio di Akihilo Kondo, impiegato amministrativo a Tokyo, con Hatsune Mike. Chi è Hatsune Mike? L’oleogramma di una rock star virtuale molto seguita in quel Paese. O meglio, più che oleogramma un vocaloid, vale a dire un sintetizzatore software. Mah, in questo caso, però, viene da pensare che non sia solo un fatto di cultura…. (anzi, speriamo di no).
Ps2: il matrimonio, va detto, non è stato riconosciuto. E forse non lo sarebbe neanche a Las Vegas….