Per l’ennesima volta il mondo vive con il fiato sospeso: la tanto temuta reazione da parte dell’Iran contro Israele, reo di aver colpito la sua ambasciata a Damasco, uccidendo, nel raid, anche il generale Zahedi, tra i vertici delle Guardie rivoluzionarie iraniane, un gruppo armato molto vicino agli Hezbollah libanesi, avvenuta nella notte tra sabato e domenica, ha ulteriormente alzato la tensione in medio oriente, con le diplomazie internazionali impegnate a “bloccare” sul nascere l’escalation. Pressioni, almeno quelle del mondo occidentale, rivolte in particolar modo all’indirizzo di Netanyahu: il timore è che, vista la sua difficile posizione interna (le proteste, in Israele, per la liberazione dei circa 100 ostaggi ancora nelle mani di Hamas, sono quasi all’ordine del giorno, a cui si deve aggiungere il rischio dell’isolamento di Israele, che ha oramai pressochè ridotto in macerie la Striscia di Gaza, con oltre 32.000 morti, di cui, si stima, circa 1/3 bambini, e una popolazione che vive una situazione umanitaria gravissima), il Primo Ministro non voglia “mollare la presa”, anzi, alzi ulteriormente in “tiro”, rispondendo agli attacchi iraniani bombardando i siti nucleari di quel Paese piuttosto che Paesi, come il Libano, in cui si trovano forze vicine al regime di Khamenei. Un modo per “allungare” la tenuta del potere da parte di Netanyahu, per il quale, una volta dovesse un passo indietro, potrebbe aprirsi le porte del carcere per corruzione: una “resistenza” che potrebbe costare molto cara non solo, evidentemente, al popolo israeliano, ma al mondo intero.
A dire il vero, almeno per quanto riguarda i mercati finanziari, piuttosto sensibili, come noto, alle vicende geo-politiche, la settimana si apre non in maniera così preoccupata.
Le piazze asiatiche, qualcuna delle quali (vedi Giappone, Corea del Sud, Australia) vicine alla chiusura, non danno segni di particolare nervosismo: a Tokyo il Nikkei perde circa lo 0,90%, il Kospi di Seul lo 0,6%, l’ASX 200 di Sidney lo 0,57%. Percentuali ben lontane dal panico che, in altri momenti, in situazioni analoghe, abbiamo vissuto.
Le borse cinesi, poco oltre metà giornata, vedono l’Hang Seng di Hong Kong che fa registrare – 0,55%, mentre Shanghai rimbalza di bel il 2,58%, uno dei maggiori rialzi degli ultimi mesi.
A “confortare” anche le piazze Futures, ovunque in buona salute: a Wall Street l’aumento medio è pari allo 0,45%, mentre in Europa l’Eurostoxx si aggira intorno al + 0,63%.
E anche l’oro, il bene rifugio per eccellenza, e quindi, l’asset forse più comprato quando sembrano spalancarsi le porte della guerra, non da segni di particolare tensione, rimanendo sui livelli di venerdì scorso: quotazioni, peraltro, già alte, vista la crescita delle ultime settimane, e non solo per le vicende geopolitiche, ma anche per le prospettive monetarie.
Stesso discorso per il petrolio, forse, anche se per motivazioni diverse (l’area medio-orientale è la maggior esportatrice mondiale di greggio, ovvio che il crescere delle tensioni internazionali, riducendo, se non bloccando, di fatto, i flussi verso i Paesi importatori), ancora più sensibile del metallo giallo: questa mattina, anzi, le sue quotazioni sono in calo (– 0,60%).
Anche il $, la valuta più premiata in situazioni simili (il debito americano correrà anche, l’Amministrazione Biden non sarà così premiata dai sondaggi o dall’opinione pubblica, ma la valuta USA continua ad essere quella più ricercata in casi di crisi internazionali), non da segnali di particolari scossoni, rimanendo più o meno sugli stessi livelli della settimana scorsa (vso €, per es, si trova sempre a 1,0657).
Il giudizio dei mercati, quindi, è ben lontano da indicare una fase di “non ritorno” sulla questione medio-orientale. A conferma che è opinione diffusa che l’attacco iraniano rimanga isolato, rientrando, più che altro, in un’azione di “propaganda”, ovvero un gesto reso quasi “obbligato” dalle dichiarazioni dei giorni precedenti, in cui il regime iraniano si era detto pronto a “scatenare l’inferno”. Decisione su cui potrebbe pesare il fatto che, alla fine, Teheran si è trovata pressochè isolata: al di là degli Hezbollah libanesi e dello Yemen, nessun altro Paese si è apertamente schierato al suo fianco; senza contare che il sistema difensivo di Gerusalemme, il famoso “Iron Drome”, lo “scudo antimissile” che protegge Israele, ha confermato, ancora una volta, di essere in grado di respingere gli attacchi, anche se scagliati con forza e con sciami di droni.
Riepilogando, quindi, abbiamo le piazze asiatiche deboli, sì (a parte, come detto, Shanghai, in forte rialzo), ma non in preda al panico (tutt’altro).
Futures che, in questi minuti, si dimostrano, ancora più tonici, con un’ulteriore accelerazione (Eurostoxx + 0,72%, MIB + 0,60%, Nasdad + 0,60%).
Sul fronte materie prime, il WTI scende dello 0,76%, a $ 85,10.
Gas naturale Usa 1,764, – 0,51%.
Oro stabile a $ 2.375.
Spread 135,9, con il BTP a 3,77%.
Bund a 2,36%.
In leggerissimo calo il treasury, a 4,55% (– 2 bp), ulteriore segnale di calma.
€/$ a 1,0663.
Bitcoin a $ 66.376, in ripresa dopo che nel week end era sceso sotto i $ 65.000.
Ps: il fenomeno dell’intelligenza artificiale è, probabilmente, solo agli inizi. Quello delle criptovalute, dal canto suo, non è ancora maggiorenne. Ma che una rivoluzione sia in corso ormai è noto a tutti. Una rivoluzione che un suo “costo”, peraltro, lo ha già, ma che nei prossimi anni aumenterà a dismisura. Si stima che, al 2026, l’energia “supplettiva” che si renderà necessaria per “far lavorare” i centri dati e la produzione di criptovalute, potrebbe essere pari a quella prodotta annualmente dalla Germania (590 terawattora). Questa la “peggiore” delle ipotesi. Nella “migliore” il consumo potrebbe fermarsi a quella prodotta dalla Svezia, “solo” 160 terawattora. Altro che transizione energetica…