Ieri il Ministero del Tesoro aveva in calendario l’emissione di BTP a 30 anni per un importo complessivo di € 8 MD. L’emissione era “sindacata”, vale a dire effettuata per il tramite di un “sindacato” di Istituti Bancari, italiani ed esteri, e riservato ad investitori istituzionali (Banche, Società di Investimento, Compagnie assicurative, Fondi Pensione, etc).
Il collocamento è andato oltre le più ottimistiche previsioni, con richieste pari a € 130 MD, vale a dire 16 volte il quantitativo offerto. Certamente dalle parti di via XX settembre, sede del ministero, oggi si respirerà un’aria di soddisfazione.
In primo luogo, salta ovviamente all’occhio che il nostro Paese rimane piuttosto “attrattivo” per gli investitori. Cerchiamo di capirne le ragioni.
Innanzitutto, nonostante i rendimenti oggi siano, su tutte le durate, ai minimi dell’anno (per es, sulle durate 10 anni a dicembre 23 eravamo al 3,70%, oggi siamo al 3,52%, a 30 anni siamo passati dal 4,38% al 4,23%) rimaniamo il Paese che, in Europa, offre i rendimenti maggiori (si pensi che la Grecia, il Paese più “ripudiato” dopo la crisi del debito del debito iniziata nel 2009 che ha portato al famoso commissariamento della “troika”, vale a dire BCE, UE e FMI, oggi remunera il decennale al 3,20%, ben 32bp meno del nostro titolo corrispondente). Un valido motivo per spingere molti investitori, affamati di rendimento, a scegliere Italia. Ma, come ben sappiamo, alto rendimento, quasi sempre, è indice di alto rischio. E qui subentra l’altro aspetto determinante, vale a dire il “rischio Paese”.
Il nostro debito pubblico gode di un rating tripla B, lontanissimo dai più forti Paesi europei (Germania AAA, Francia AA, Spagna A, Gran Bretagna AA, Portogallo BBB+): ovvio, quindi, che il rendimento sia superiore. Ma, evidentemente, gli investitori non sono preoccupati per un eventuale “default” del nostro Paese, ritenuto (giustamente) “too big to fail”, letteralmente troppo grande per fallire (il suo fallimento trascinerebbe nel baratro non solo l’Europa ma il mondo intero). Le incognite, piuttosto, stanno nell’andamento dello spread; andando indietro con la memoria, ben ricordiamo le vicende di 12/13 anni fa, che hanno portato al Governo Monti, con le “lacrime sudore e sangue” ancora non dimenticate, con lo spread che, in quei terribili mesi, è arrivato a toccare quota 575 bp, uno dei più alti livelli che si ricordino. L’incertezza politica e la nostra storica abitudine a “cercare scorciatoie”, per non dire a “fuorviare” dagli impegni assunti con i nostri partners internazionali, sono, infatti, la causa principale della volatilità dello spread e, quindi, della “variabilità” dei rendimenti. Motivo per cui dobbiamo la fiducia dei nostri creditori costa di più.
C’è poi un aspetto che prescinde dal nostro Paese e/o dalla politica economica messa in atto, vale a dire la politica monetaria in corso di attuazione da parte delle Banche Centrali, con particolare riguarda, come ovvio, alla BCE.
Domani si riunirà il Direttivo che dovrebbe confermare il taglio dello 0,25%, come i mercati ormai danno per scontato.
Ecco, quindi, che i rendimenti sono destinati a scendere (si calcola che da qui a fine 2025 dovremmo assistere, tra BCE e FED, a non meno di 8 -10 tagli): in altre parole, perché farsi scappare una occasione simile, che assicura, per molti anni, un rendimento così interessante?
Ma anche questo non potrebbe accadere se non fosse una situazione “sottostante” che favorisce questo tipo di operazioni. Vale a dire la liquidità presente sui mercati.
Si è molto parlato, in questi mesi, che la liquidità a disposizione degli operatori, mese dopo mese, è in diminuzione, anche per le “grandi manovre” delle Banche Centrali, concentrate, come sappiamo, a non rinnovare parte del debito governativo che hanno accumulato in questi anni, impegnate com’erano a mantenere i tassi “sotto zero”. Ma, evidentemente, è sempre tutto molto “relativo”.
Non si spiega altrimenti il fatto che, per rimanere in Europa, ad agosto siano stati emessi bond (governativi e corporate) per oltre € 100 MD, cifra che mai era stata toccata in un solo mese.
Importo che lascia spazio, con riferimento al quadro finanziario, ad almeno 2 interpretazioni, tra loro opposte a riguardo degli indici azionari.
La lettura positiva è che sembrerebbe che alcune sottoscrizioni siano finalizzate alla raccolta, da parte delle società emittenti, di liquidità per finanziare i buy-back, quindi il riacquisto di azioni proprie che tanto ha inciso sul rialzo delle quotazioni nei mesi scorsi (e che potrebbe continuare a farlo).
L’altra che lascia spazio, invece, alla decorrelazione tra i settori di investimento: la corsa al mercato obbligazionario potrebbe essere indice di una fiducia in caduta per quanto riguarda i mercati azionari, con gli investitori, quindi, impegnati ad individuare le alternative ad investimenti che, in questi ultimi 18/24 mesi, hanno preso la direzione delle borse, come le quotazioni pressochè ai massimi stanno a confermare.
La chiusura contrastata di ieri sera a Wall Street (Dow Jones – 0,23%, Nasdaq + 0,90%, S&P 500 + 0,45%) non aiuta, questa mattina, gli indici asiatici.
Il Nikkei di Tokyo, causa, ancora una volta, il rafforzamento dello yen, chiude in ribasso (– 1,49%).
Sorte analoga per Hong Kong, dove l’Hang Seng scende dello 0,85%, e Shanghai (- 0,86%).
Sulla parità, a Taiwan, il Taiex, mentre a Seul il Kospi storna dello 0,57%.
Negativi, al momento, i futures americani; in rialzo, invece, quelli europei (Eurostoxx + 0,21%).
Nuovo scivolone, ieri, del petrolio, che cerca, però, il recupero nei primi scambi odierni (WTI $ 66,70, + 1,34%).
Gas naturale Usa poco mosso, a $ 2,239, + 0,13%.
Oro di nuovo sui massimi storici, a $ 2.532 (+ 0,43%).
Spread a 136,6 bp, in leggera diminuzione dopo il successo del collocamento del trentennale di ieri.
BTP al 3,52%.
Bund a 2,16%.
Treasury ancora in ribasso, al 3,61%.
A proposito di USA, come noto questa notte si è svolto l’attesissimo dibattito Trump/Harris, con la candidata democratica che, in più di un’occasione (già questa è una notizia) ha costretto alla difensiva l’ex Presidente.
€/$ poco mosso, a 1,1043.
Torna a scendere il bitcoin, con le quotazioni intorno ai $ 56.500 (56.700 in questi minuti).
Ps: e così (per la UE), “giustizia è fatta”. Dopo anni di “faccia a faccia”, infatti, la Commissaria alla Concorrenza UE, Margrethe Vestager, è riuscita ad ottenere la condanna definitiva di Apple. La sentenza, emessa già nel 2016, ma contestata dalla “mela” di Cupertino, la costringerà al pagamento di una multa record di € 13 MD per “tasse inevase”, considerate, dalla UE, aiuti di Stato da parte dell’Irlanda, che, con la promessa di aliquote molto favorevoli (l1% sui profitti realizzati in Europa) aveva agevolato l’apertura di una sede, già dal 1980, sul suo territorio.