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I dati relativi all’andamento dell’economia cinese fanno intravedere non solo un rallentamento, ma potrebbero essere un primo campanello d’allarme per il rischio “deflazione”, in male non nuovo nell’area del Pacifico visto il precedente, della durata di circa 30 anni, del Giappone. Il forte calo dei prezzi alla produzione (– 5,4%, ben superiore al già pesante – 5% degli analisti), unito a prezzi che nel mese di giugno sono rimasti invariati su base annua (motivo? Il calo maggiore del previsto della carne di maiale, il cui peso sull’indice dei prezzi è evidentemente molto forte), fanno pensare che la crescita cinese possa essere ben più faticosa di quanto il Governo pensasse (o volesse far credere).

La decisione, presa nella nottata, della Banca Nazionale della Cina e dell’Amministrazione Nazionale dell’Amministrazione della Finanza, mirata ad agevolare la concessione del credito alle aziende che verso in difficoltà finanziarie, potrebbe essere un indicatore. A cui si uniscono le previsioni che sempre la People Bank of China abbia intrapreso un percorso di allentamento del rigore monetario, di cui nelle scorse settimane si sono avuti i primi segnali.

Nel lungo termine, peraltro, la strada sembra oramai segnata, con Cina e India destinate a contendersi il primato e gli Usa destinati, almeno da un punto di vista economico, a perdere peso.

Proiettando la crescita a 50 anni, nel 2075, infatti, come Il Sole 24ore di oggi evidenzia, la Cina dovrebbe arrivare a toccare un PIL pari a $ 57.000 MD. Appena dietro l’India, a $ 52.500 MD, seguita dagli USA a $ 51.500 MD. Una “gara” a parte sono destinati a giocarla l’Eurozona, ferma a $ 30.300 MD, e il Giappone, a $ 7.500 MD.

Il “recupero” dell’India già oggi ha dello straordinario. Indubbiamente il fenomeno demografico aiuta non poco: superata la Cina nello scorso mese di aprile, il “gap” è destinato, mese dopo mese, ad ampliarsi, seppure le contraddizioni continuino a far parte del quotidiano, con differenze sociali enormi e difficoltà a reperire mano d’opera qualificata, per quanto il Paese godrà di una bassa “dipendenza” grazie ad una forte presenza di adulti. Già oggi lo sviluppo tecnologico è altissimo, mentre a “soffrire” sono le infrastrutture, con reti stradali e ancor di più ferroviarie  non solo obsolete ma anche non sufficienti a coprire le necessità di spostamento della popolazione.

Altro problema è la “contribuzione” al PIL da parte del settore manufatturiero: da anni la percentuale è ferma al 14-15%, un numero che ha ampi spazi di crescita e che ricopre una particolare importanza da un punto di vista occupazionale.

In un’ottica di più breve periodo, con un orizzonte temporale che si ferma alle elezioni americane di fine 2024, il ruolo dell’economia “stelle e strisce” è fondamentale per l’esito elettorale, come la storia ci dimostra.

Biden non gode certamente dia grande “popolarità” in patria; se a questo aggiungiamo il fattore età (nel caso fosse rieletto, a fine mandato avrebbe 88 anni), ad oggi la sua strada è in salita, nonostante risultati economici piuttosto positivi, come i dati sull’occupazione e il PIL rivisto al rialzo ci confermano. Ma un confortante (per lui e per i democratico) precedente è quello di Ronald Regan, anche lui abbastanza “avanti negli anni”. Nonostante previsioni piuttosto negative, con i sondaggi sfavorevoli, nel 1984 vinse le elezioni, grazie ad una ripresa economica molto forte.

La giornata di ieri ha visto Wall Street chiudere, dopo qualche giorno non dei migliori, in territorio positivo.

Conferme arrivano dalla mattinata asiatica, con tutti gli indici in crescita.

Appena sopra la parità, a Tokyo, il Nikkei, reduce da un semestre che lo ha collocato tra i migliori del periodo. Meglio Shanghai, + 0,51%, e Hang Seng di Hong Kong, a + 1,23%.

Ben oltre l’1% anche, a Seul, il Kospi e Sidney in Australia.

Petrolio ancora in salita, con il WTI a $ 73,40 (+ 0,47%).

Gas naturale americano a $ 2,662, – 0,41%.

Torna a salire l’oro, a $ 1.942 (+ 0,51%).

Spread ancora oltre i 170 bp (172,5), per un BTP che non si “schioda” da area 4,35% (4,37%).

Bund a 2,63%.

In calo il treasury, che torna appena sotto il 4%.

Ulteriore segnale di debolezza per il $, che questa mattina passa di mano a 1,10 contro €.

Bitcoin a $ 30.595.

Ps: ieri Meta, la ex Facebook, ha fatto segnare i massimi dal 2022. Il motivo è più emotivo che dettato da valutazioni economico-finanziarie. Infatti Threads, la nuova “creatura” voluta da Mark Zuckerberg, pare che abbia già superato i 100 ML di utenti, avvicinandosi a Twitter, il “giocattolo” di Musk, che di utenti ne ha 350 ML. Ovviamente gli umori sono contrapposti, con l’inventore di Facebook che esulta, mentre l’avversario minacci azioni legali. Ma siamo solo all’inizio…

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ultimo aggiornamento: 11-07-2023


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