Da sempre la geopolitica è ritenuto uno dei fattori determinanti per l’andamento dei mercati finanziari: non soltanto per le ricadute “dirette” che le guerre possono avere sull’economia (si pensi banalmente alle condizioni in cui si trova l’Ucraina, un Paese completamente da ricostruire), ma, forse ancor di più, a quelle che possono derivare dagli accordi (o meglio sarebbe dire “non accordi”) tra gli Stati chiamati in causa, da cui dipendono i nuovi equilibri mondiali.
Molteplici sono le minacce che il mondo sta correndo (Guerra Ucraina e crisi Medio-orientale le guerre in corso, con sullo sfondo Taiwan, a ricordarci che potremmo vederne un’altra, il cui significato sarebbe ben più importante rispetto alle effettive dimensioni dell’eventuale conflitto vero e proprio, e, ultimo arrivato, il rovesciamento del regime siriano, con Assad costretto a lasciare il Paese in fretta e furia, ma, a quanto è dato vedere, nessuna è stata in grado, sino a questo momento, di “minare” l’imperturbabilità dei mercati. Forse in quanto tutti sono considerati alla stregua di conflitti locali, che non hanno la forza di modificare l’ordine mondiale delle cose.
Eppure tutti, teoricamente, potrebbero essere “deflagranti”, mettendo uno di fronte all’altro schieramenti politicamente o economicamente opposti.
Va detto che, con la fine del “muro”, oggi il mondo è un po’ più “variegato”, non esistendo più unicamente i 2 grandi blocchi: da una parte la nascita di nuove “entità” (vedi l’Europa), dall’altra una evidente perdita di leadership da parte degli USA (per quanto mantengano una “presa” piuttosto forte su diversi Stati), dall’altra ancora il tentativo della Cina di acquisire “pari dignità”, impresa non semplice, in ultimo l’affacciarsi di forze in grado di sopravanzare realtà consolidate (come l’India), rendono gli equilibri senza dubbio più complicati e, essendo tanti gli interessi e gli attori in gioco, forse anche per questo più complessi. Paradossalmente, quindi, potremmo dire che il mondo oggi è un po’ più sicuro rispetto a 35 o 40 anni fa.
Allo stato attuale, guardando l’andamento, appunto, dei mercati si può dire che a “governarne l’ordine” sono quasi esclusivamente le vicende economico-finanziarie. Di conseguenza le preoccupazioni, per quanto non siano del tutto scomparse, sono prevalentemente legate o alla situazione economica in cui trova il mondo (a sua volta declinato per singola regione o macro-area) ovvero alle valutazioni raggiunte dai mercati, molti dei quali ai massimi di sempre.
Tra questi il più importante, ovviamente, è quello americano, con i vari indici (Dow Jones, Nasdaq, S&P 500) a fare “da lepre”: tutti hanno raggiunto quotazioni record, con rialzi anche quest’anno a doppia cifra (Dow Jones + 17,32%, Nasdaq + 33,33%, S&P 500 + 27,24%).
Come di consueto, avvicinandosi la fine dell’anno, al di là dei consuntivi, si inizia a “pensare” al futuro, immaginando quali potrebbero essere gli ipotetici scenari.
Allo stesso tempo, si guarda al percorso che gli indici hanno fatto, cercando di capire quali potrebbero essere gli elementi che si dovrebbero tenere in considerazione per definire se il valore (delle quotazioni) è corretto o se, invece, sta raggiungendo (o ha già raggiunto) livelli pericolosi.
Indubbiamente, se prendiamo a riferimento l’indice per “definizione” (lo S&P 500), si nota che alcuni “parametri” sono nella parte alta della “forchetta”.
Prendiamo per esempio i “multipli” (il rapporto p/e, prezzo/utili): siamo a circa 22, vale a dire un livello poche altre volte raggiunto. Però, “sezionando” l’indice, possiamo notare che mentre le prime 10 società per capitalizzazione (le ben note “magnifiche 7 + altre 3), che valgono circa il 35% dell’indice, hanno un multiplo di 31, le altre 490 sono 19. In Europa, tanto per dire, siano a livelli ben inferiori, spesso addirittura inferiori a 5.
C’è, poi, la valutazione rispetto al patrimonio. Secondo Bank of America, oggi lo S&P 500 “viaggia” a 5,2 volte il patrimonio (solitamente lo “spartiacque” tra sottovalutazione e sopravalutazione è 1…).
Altro tema, poi, quello relativo alla “liquidità fantasma”. Fermo restando che la liquidità in giro per il mondo è ancora molta, oggi esistono sistemi (robot trader ultraveloci, chiamati Htf), in grado di “sparare” (o ritirare) in pochi secondi quantità enormi di cash, inondano o prosciugando i mercati da un momento all’altro.
Per arrivare, poi, a temi prettamente “macro”, e quindi dipendenti dalle politiche economiche che si intenderanno mettere in atto (vedi i tanto annunciati dazi trumpiani).
In sintesi: vero è che i mercati hanno raggiunto livelli senza dubbio elevati e che qualcuno inizia a vedere un ipotetico rischio bolla, ma è altresì vero che ci sono settori (vd intelligenza artificiale) oramai “imprescindibili”, con società in ottima salute e i grado di produrre utili sempre maggiori (mica come la “bolla internet” del 2000, con società che perdevano soldi a palate e con debiti stratosferici, che non erano certamente in grado di dare soddisfazioni agli azionisti) e con le autorità monetarie che qualche “colpo in canna”, nel caso servisse per sostenere i mercati, forse lo hanno ancora.
Questa mattina, a Tokyo il Nikkei “agguanta” la parità sul filo di lana (+,0,012).
Positiva Shanghai (+ 0,53%), in concomitanza della “2 giorni”, a Pechino, della conferenza economica del Governo cinese.
In calo, invece, a Hong Kong, l’Hang Seng (- 0,93%).
Continua il recupero del Kospi a Seul (+ 1,02%).
Taiex Taiwan – 0,96%.
S&P Asx200 di Sidney – 0,4%.
Futures ovunque intorno alla parità.
Poco mosso il petrolio, con le quotazioni del WTI che non si “schiodano” da $ 68 (68,81, + 0,20%).
Gas naturale Usa $ 3,217, + 1,52%.
Balzo dell’oro, che supera “di botto” i $ 2.700 (2.730, + 0,35%).
Spread a 108,2 bp.
BTp sui valori di ieri (3,20%).
Bund 2,12%.
Treasury 4,238%.
Torna a salire il $ (€/$ 1,0496).
Bitcoin “arroccato” in area $ 98.000 (98.175).
Ps: e quindi, dopo il Censis, ci si mette anche l’Ocse. Secondo un’analisi sulle competenze degli adulti (periodo 2022-23, Paesi coinvolti 31), l’Italia, senza mezzi termini, ne esce con le “ossa rotte”. Siamo agli ultimi posti in termini di “literacy” (la comprensione di testi complessi): 1 su 3 risulta in grado di comprendere solo testi brevi e “basici”. Dopo di noi solo Lituania, Portogallo, Cile e Polonia. Idem nella numeracy (calcolo): su un punteggio medio OSE di 263, siamo a 244 (siamo quartultimi). Situazione simile per il “problem solving”: se il punteggio medio è 251, noi siamo a 231 (anche qui quartultimi). Insomma, di lavoro ce n’è da fare….