Trova ampio spazio oggi, su tutti i quotidiani, il risultato di uno studio di Bankitalia sulla distribuzione della ricchezza delle famiglie italiane (aggiornato al 2022). Complessivamente si parla di circa € 11.000 MD, al netto dei debiti (Mutui, prestiti, etc) (il così detto “patrimonio netto”), di cui il 50,2% rappresentato da valori immobiliari, la parte rimanente in valori mobiliari (13,1% depositi bancari, 10,9% partecipazioni societarie, 7,1% assicurazioni sulla vita, 6,2% fondi comuni, 2,4% obbligazioni, 1,2% azioni, 8,9% altro).
Numeri che ci dicono molto sulle abitudini delle famiglie italiane in termini di approccio al denaro e sulla concentrazione della ricchezza.
Cominciamo con il dire che lo studio si è basato sul teorema di Gini: in parole molto semplici, la teoria misura quanto i redditi (e la ricchezza) sono concentrati in un certo numero di persone. Più la distribuzione è “perfetta” (e quindi più o meno equivalente) più l’indice tenderà allo zero, più, invece, le disuguaglianze aumentano, più tenderà verso l’1 (il punteggio massimo). Attualmente è allo 0,71, dopo essere stato, nel 2010, allo 0,67 fino ad arrivare, nel 2016, allo 0,71. Un dato, peraltro, leggermente migliore a quelli di Francia e Germania, in cui è intorno allo 0,8.
Nel nostro Paese, il dato che emerge è che il 5% delle famiglie detiene circa il 46% della ricchezza totale (il 48% in Germania), mentre la metà più povera detiene l’8% (in Germania si ferma addirittura al 3%). Ma allargando l’osservazione, si nota che il 10% delle famiglie più ricche arriva a controllare oltre il 95% della ricchezza complessiva. Il livello “mediano”, vale a dire lo “spartiacque” tra i cittadini più abbienti e quelli meno, si colloca tra € 155.000 ed € 160.000 (200.000 nel 2010, 150.000 nel 2016).
Peraltro, la “curva” della concentrazione del 50,2% dato dai valori immobiliari (che, a fine 2022, valeva circa € 5.570 MD) cambia, e di molto, a seconda della “fascia di ricchezza” in cui ci si trova.
Per esempio, sotto la linea “mediana” sopra indicata, la casa rappresenta oltre il 75% del proprio patrimonio netto, che si riduce al 70% nella parte “centrale” della classifica, con i depositi bancari (complessivamente pari ad € 1.400 MD circa – dal computo ovviamente sono esclusi quelli detenuti dalle persone giuridiche), che rappresentano l’altro “asset” di riferimento (circa il 17%). Ma se guardiamo alla fascia più ricca (il famoso 5%), ci accorgiamo che scende a poco più di 1/3, mentre i depositi scendono all’11%, con oltre il 50%, quindi, rappresentato dalla ricchezza finanziaria ritenuta più a rischio.
Si conferma, quindi, una volta di più la “voglia di casa” delle famiglie italiane. Che nasconde, evidentemente, un’altra verità: quanto gli italiani siano molto legati al proprio “territorio”, al posto in cui sono nati e quanto siano poco disposti a “cambiare vita”, come solitamente succede quando si va a vivere da una città all’altra. Fenomeno, per esempio, ben diverso da quanto succede in altri Paesi (il caso forse più evidente è quello degli Stati Uniti), dove gli spostamenti da una città all’altra (spesso tra uno Stato e l’altro) sono quasi una consuetudine e l’abitazione, al di là dei costi di manutenzione e gestione, sempre più alti, diventa quasi un “fardello” (basti pensare all’onerosità dei mutui, aumentata a dismisura negli ultimi 18 mesi), che toglie “libertà” e crea, invece, preoccupazioni.
L’altro dato che emerge è la distinzione tra le varie categorie di lavoratori, con differenze piuttosto evidenti tra lavoratori dipendenti, pensionati e autonomi.
Nel 1° caso si parla di una ricchezza netta pro capite quantificata in € 104.000, che diventano € 146.000 per i pensionati. Ma che, per gli autonomi, arriva ad € 379.000, oltre 3,5 volte quella dei lavoratori dipendenti. Numeri che riportano, una volta più, ad uno dei grandi temi di discussione, di cui molto si parla, senza mai arrivare ad affrontarlo veramente, vale a dire la “questione fiscale”.
Deciso rialzo, ieri, per la borsa americana. Dopo un avvio in sordina, a causa, soprattutto, della caduta del titolo Boeing dopo il disastro sfiorato un paio di giorni fa per la rottura, a 5.000 mt di quota, del portellone di sicurezza di un 737 Max 9, tutti gli indici hanno chiuso ai massimi di giornata (Nasdaq + 2,11%, Dow Jones, il più penalizzato, + 0,58%, S&P 500 + 1,40%).
Il solito “effetto traino” sui mercati del Far East questa mattina riesce solo in parte.
Bene Tokyo, dove il Nikkei, dopo la chiusura di ieri, guadagna circa l’1,16%. Shanghai limita il rialzo allo 0,20%, mentre ad Hong Kong l’Hang Seng si rimangia quanto di buono aveva fatto in avvio di seduta e tornando intorno allo zero. Segnali positivi arrivano dall’inflazione in Giappone, scesa al 2,4% dal precedente 2,7% di novembre. In Cina da sottolineare la decisione della Banca Centrale di mantenere una politica monetaria espansiva.
Futures al momento ovunque in discesa, con ribassi tra lo 0,15 e lo 0,20%.
Si stabilizza il petrolio (WTI $ 70.95, + 0,14%) dopo la caduta di ieri (– 4%) a seguito della decisione dell’Arabia Saudita di ridurre il prezzo al barile di circa $ 2.
Ancora in crescita il gas naturale Usa, che si riavvicina ai $ 3 (2,986).
Oro a $ 2.040, questa mattina + 0,35%.
Spread a 167,7 bp. Secondo Goldman Sachs dovrebbe rimanere su questi livelli (circa 170 bp) per tutto il 2024.
Btp al 3,81%.
Bund 2,13%.
Treasury Usa ancora sopra il 4% (4,01).
Stabile l’€/$, a 1,0961.
Torna a salire con prepotenza il bitcoin: siamo a $ 46.861, ma nella notte aveva superato anche i $ 47.000.
Ps: la “voglia di casa”, comunque, non è solo italiana. In India, infatti, uno dei maggiori sviluppatori del Paese, la società Dlf, ha venduto, in soli 3 giorni, oltre 1.113 appartamenti residenziali di lusso (per un valore di $ 865 ML), a Gurugram, città “satellite” (anche se di 1,5 ML di abitanti) alle porte di New Delhi. Appartamenti la cui costruzione è appena partita e il cui prezzo parte da un minimo di $ 700.000, per i quali gli acquirenti hanno dovuto versare subito $ 55.000 (5 volte quanto normalmente richiesto nelle transazioni immobiliare in quel Paese). Cifre enormi per un Paese in cui il reddito medio non arriva a $ 2.500 l’anno…(a proposito di distribuzione della ricchezza).