Il PIL, oramai, è diventato probabilmente “l’indicatore” per eccellenza della situazione di un Paese.
Il rischio, evidentemente, è di racchiudere lo “Stato di salute” in un “numerino” che ci dice, in parole poverissime, se a quale punto si trovi il processo di crescita, e quindi il “benessere” dei cittadini.
In realtà non solo di PIL vive un Paese. Certamente l’aspetto economico, che lo si “misuri” a livello statale o a livello si singolo cittadino (o nucleo famigliare), è fondamentale e ci da immediatamente il quadro di riferimento. Aspetto ancora più valido per le economie povere o che (vedi i Paesi emergenti), in cui l’obiettivo primario è quello di consentire una vita dignitosa alle persone.
Ma laddove i “bisogni primari” sono assicurati (anche se, come sappiamo, i “nuovi poveri” sono sempre più numerosi), anche altri elementi vanno presi in considerazione.
Ben conosciamo il “paradosso italiano”: da una parte siamo ritenuti una delle economie più forti al mondo, tanto da rientrare nella classifica dei primi 7 Paesi al mondo.
Dall’altra, abbiamo stili di vita o “modus vivendi” che certo non sembrano in linea con un Paese (teoricamente) così forte.
Ne abbiamo conferma guardando all’annuale Rapporto Censis: un Paese dove aumenta il lavoro, ma cala il PIL, crescono i consumi ma scendono i risparmi, dove aumentano le differenze (tra città e zone rurali, tra classi sociali, tra Nord e Sud, etc) e, forse aspetto più preoccupante, cresce la paura.
Il Censis la chiama sindrome italiana, così definendo la “specificità” che contraddistingue l’Italia, fatta di “medietà”, in cui l’andamento generale è un fatto quasi “inerziale”, senza picchi (né verso l’altro né verso il basso va detto).
Che l’Istruzione sia un “passaggio” indispensabile per lo sviluppo di un Paese è fatto noto.
Fa quindi riflettere non poco la definizione di “Paese di ignoranti” con cui il Censis liquida l’Italia. Secondo il Centro Studi Investimenti Sociali (questo il significato dell’acronimo, un Istituto privato nato nel 1961), “non siamo culturalmente preparati al salto d’epoca e la mancanza di “conoscenze di base” (banalmente oltre il 30% dei cittadini di età adulta non sa chi sia Giuseppe Mazzini) ci rende oltremodo più vulnerabili. Si pensi che, analizzando il sistema scolastico, non raggiungono i livelli minimi di apprendimento della lingua italiana il 24,5% degli alunni della scuola primaria, il 39.9% degli allievi delle medie, il 43,5% delle superiori (che diventa l’80% se parliamo di Istituti professionali).
Oltre il 57,4% si sente “minacciato” dall’immigrazione, con il timore che si vengano “imposti” cambiamenti alle regole e alle abitudini di vita: il 38,3% si sente “direttamente” minacciato dai processi migratori, il 29,3% da chi predica una diversa (da quella tradizionale) concezione di famiglia, il 28,1% vede il “nemico” in chi professa una religione diversa, il 21,5% in chi appartiene ad una diversa etnia, il 14,5% in chi ha un colore di pelle diversa et.
La “medietà” italiana si manifesta in maniera ancora più palese se osserviamo qualche dato economico.
Negli ultimi 20 anni, infatti, risulta che il “ceto medio” abbia perso oltre il 7% del proprio reddito. E, nell’ultimo decennio, anche la ricchezza netta pro-capite del 5,5%.
E l’85,5% degli italiani ritiene che sia molto difficile, per non dire impossibile, che vi possano essere “scalate” sociali: a ben pensarci, forse l’elemento che più contraddistingue le economie “povere”, dominate da caste o da “gruppo sociali” che detengono la maggior parte della ricchezza di un Paese.
Ma tanti altri sarebbero gli spunti di riflessione: il 68,5% ritiene che le democrazie occidentali non funzionino più (anche da qui, forse, il fenomeno dell’assenteismo che, a dire il vero non solo da noi, anche se da noi raggiunge percentuali mai viste prima), il 66.3% pensa che le guerre siano “generate” dai Paesi occidentali, il 71,4% è convinto che la UE è destinata a scomparire se non procede ad un “cambio di passo”.
Inizio settimana tendenzialmente positivo per i mercati asiatici.
A Tokyo il Nikkei si avvia a chiudere in territorio positivo (+ 0,18%). Da notare che gli ultimi dati ci dicono che l’economia sta crescendo più del previsto, con il PIL che, nel 3° trimestre, è salito dell’1,2%.
Bene anche, a Hong Kong, l’Hang Seng, che sale dello 0,57%.
Appena sotto la parità Shangai (- 0,05%).
A Seul il Kospi, dopo che, nella giornata di sabato, non è riuscito l’empeachment del Presidente Yoon, che, però, a quanto pare, è stato “invitato” dal suo stesso partito a farsi da parte, perde quasi il 3% (- 2,78%).
Positivo il Taiex a Taiwan (+ 0,34%).
Futures al momento positivi di qua e di là dell’Oceano (+ 0,10/+ 0,25%).
In leggera ripresa il petrolio, con il WTI che questa mattina si porta a $ 67,75% (+ 0,71%).
Balzo del gas naturale russo (+ 5,30%, $ 3,244).
Oro a $ 2.672, + 0,41%.
Spread a 107 bp, ai minimi dall’ottobre 2021, con un rendimento del BTp 3,20%.
Bund a 2,13%Treasury a 4,136%.
€/$ 1,0557.
Bitcoin che in questi minuti tratta a $ 99.800.
Ps: frequentemente, nello sport professionistico, succede che fratelli arrivino a giocare nella massima serie di varie specialità. Probabilità che aumentano, come ovvio, visto il numero dei praticanti, si verifica con maggior frequenza. Ma mai (per lo meno è difficile da ricordare) probabilmente si è mai verificato quanto accaduto ieri. 3 fratelli (Sebastiano Esposito, che milita nell’Empoli, Francesco Pio e Salvatore, entrambi giocatori dello Spezia, campionato di serie B) hanno tutti e 3 segnato: in tutto 5 goal e 2 assist. Se non è un record questo, poco ci manca…