Mentre il dibattito aperto giovedì scorso dal Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sui “sacrifici per tutti” (dove non è ben chiaro cosa se la parola “sacrifici” sia sinonimo di “tasse” – anche se, ovviamente, le parti in causa – partiti al governo – le smentiscono categoricamente: ma, tanto per fare un esempio, l’eventuale “adeguamento” delle accise sui carburanti diesel – che si allineerebbero a quelle sulla benzina, con un maggior introito per le casse dello Stato di circa € 1MD – come andrebbe chiamata?) “l’orologio” non si ferma.
Il 15 ottobre, infatti, è sempre più vicino: è quella la scadenza entro cui il Governo, come tutti gli altri Governi UE, dovrà inviare alla Commissione Europea il dettaglio degli interventi che intenderà inserire nel Programma di Bilancio (salvo ovviamente proroghe viste le difficoltà nell’avviare il nuovo patto di stabilità).
Già si fanno le prime ipotesi: sull’entità della nuova finanziaria ormai è quasi certo che non si riesca a stare sotto i 24/25 MD.
A preoccupare, ovviamente, sono le “coperture”, che ben difficilmente andranno oltre i 15 MD. Questo significa che, ad oggi, per almeno € 9 MD, pari ad uno 0,4% di PIL, la nuova manovra sarà in “deficit”.
La voce più importante sarà anche quest’anno il cuneo contributivo, che richiederà risorse per quasi € 11 MD. A cui seguono il sostegno agli investimenti (quasi 2 MD) o alle missioni internazionali (un altro miliardo).
Va detto che, nella sua totalità, la spesa pubblica italiana “vale” circa € 1.000 MD l’anno: quello che lascia interdetti è che, all’interno di un budget così considerevole non si riescano ad individuare tagli di spese per 10-20 MD.
Come se non bastasse, a rendere più complicato il tutto, ci si mette anche l’Istat.
Se un paio di settimane fa l’Istituto di statistica aveva “giocato un punto” a favore dell’esecutivo, innalzando in maniera piuttosto consistente il PIL del periodo 2021-23 (per il solo 2023 portandolo dal + 0,7% al + 0,9%, con conseguenze piuttosto positive sul rapporto debito/PIL, che infatti è migliorato in maniera evidente), per quest’anno la revisione è in negativo: quello che è stato “dato” l’anno scorso, quest’anno viene “tolto”, portando il dato a metà anno al + 0,4% dal precedente 0,6%, rendendo, di fatto, ben più difficile il raggiungimento del + 1% annuo dichiarato dal Governo per il 2024. Un impatto, pur essendo percentualmente identico, non a “somma zero”, e che potrebbe complicare ulteriormente le cose, a partire dal rapporto debito/PIL, destinato a peggiorare.
Come detto più volte, ipotizzare una crescita che dipenda solo (o per buona parte) dagli aiuti dell’Europa (il PNRR) o dagli organismi monetari (i tagli della BCE) è un’ipotesi dalle “gambe corte”.
Nel primo caso ormai gli stanziamenti stanno giungendo al termine (anche se, in realtà, ne sono stati spesi una minima parte: ma il tempo stringe anche lì, e dovremmo farlo entro il 2026), mentre nel secondo siamo solo all’inizio (ad oggi la BCE ha tagliato solo volte, per un totale di 0,50%, anche se, di fatto, il decennale italiano ha già ridotto il proprio rendimento, nell’ultimo anno, di quasi 1 punto percentuale, trovandosi oggi intorno al 3,50%, “anticipando”, quindi, il movimento da parte della Banca Centrale). Aspetto, quest’ultimo, quanto mai importane, vista l’incidenza sui conti statali: quest’anno pagheremo interessi sul debito per oltre € 80 MD, il che significa che senza questo “fardello” avremmo un saldo primario (al netto, cioè, della voce interessi) positivo.
La riduzione dei tassi (si prevede che da qui a questa primavera la BCE possa “tagliare” di un altro 1%, avvicinandosi sempre di più al “tasso neutrale”, quello che rispecchia, in buona sostanza, l’inflazione “target”, quel 2% ormai diventato il “mantra” di tutti i policy makers) porta con sé, da un punto di vista puramente finanziario, una conseguenza piuttosto importante: facendo scendere sempre di più i rendimenti, a partire dai titoli governativi (si è detto dei nostri BTP, ma un discorso analogo può valere per i bund tedeschi, oggi tornati vicini al 2%, ma anche per i bonos spagnoli o i titoli portoghesi), “spingono” gli investitori a guardare ad altri “lidi”. Come, per esempio, i mercati azionari, non a caso tornati “in fiducia”, soprattutto nei settori più “difensivi” (alimentari e consumi) o legati alla salute (healthcare), ovvero a quei titoli che, storicamente, pagano ottimi dividendi (quali, nel nostro Paese, le utilities, ovvero i titoli delle società, per lo più a partecipazione pubblica, che distribuiscono energia).
La settimana si apre con le borse del Pacifico nuovamente in rialzo.
A Tokyo troviamo il Nikkei che chiude vicino al + 1,2%.
Ancora meglio fa, a Hong Kong, l’Hang Seng, che si trova a + 2,10%.
Ancora chiusi i mercati cinesi
Sale, a Taiwan, il Taiex, trascinato dal settore dei semiconduttori, con un rialzo dell’1,3%. Stessa percentuale del Kospi di Seul.
Futures al momento poco brillanti sulle 2 sponde dell’oceano.
Spread a 128,8 bp.
BTP che ripartono dal 3,52%.
Bund intorno al 2,20%.
Treasury al 3,80%.
€/$ a 1,0971, con il $ in nuovo, leggero miglioramenti.
Bitcoin a $ 63.855.
Ps: un sogno non si nega a nessuno. Anche se solo pochi lo possono, alla fine, realizzare. Questo potrebbe essere il “payoff” (lo slogan) della Ferrari. La sua nuova Gran Turismo coupè è un concentrato di elettronica e tecnologia all’avanguardia (soprattutto per gli appassionati di motori): motore 12 cilindri in grado di sviluppare 830 cavalli, 340 km orari, da 0 a 100 km orari in 2,9 secondi, da 0 a 200 in 7,9 secondi, 4 ruote sterzanti indipendenti. Peccato per il prezzo: si parte da € 395.000. E non c’è neanche l’incentivo della rottamazione…..