In queste settimane sono tornati di attualità i temi europei.
Sin dalla sua nascita, il percorso europeo è stato piuttosto dibattuto, con contrapposizioni a volte aspre (come ben sappiamo guardando le vicende politiche domestiche) tra i sostenitori di un’integrazione sempre più forte e chi, invece, vorrebbe il perpetuarsi di pulsioni nazionalistiche. Un contraddittorio che, come in ogni altro contraddittorio, ha spesso portato a soluzioni positive, tenendo conto dei molti (forse troppi) punti di vista diversi, arrivando a compromessi che tengono conto dei differenti punti di partenza (oltre che di vista).
Forse il maggior problema che ha l’Europa è il fatto di essere, a distanza di oltre 2 decenni, ancora un “cantiere in costruzione”, con regole continuamente messe in discussione: è naturale che, in un contesto simile, il verificarsi di eventi eccezionali, magari tra loro ravvicinati, come accaduto nella storia più recente, può avere ripercussioni ben più gravi di quanto ne avrebbe in sistemi “consolidati”, con regole chiare e definite. Un po’ quelle che, puntualmente, ha ribadito in un recente intervento, l’ex Premier Mario Draghi, allorchè ha richiamato la necessità che l’Europa diventi uno “Stato” a tutti gli effetti.
I “lavori in corso”, protraendosi spesso di molto nel tempo, corrono il rischio di provocare disagi che non soltanto aggravano situazioni in essere (basti pensare alle recenti polemiche sulla viabilità romana, sconvolta dalla contemporaneità di un elevato numero di cantieri stradali), ma ne mettono in discussione i vantaggi una volta realizzati (anche perché nel frattempo, magari, sono cambiate le condizioni, per cui, una volta finiti, magari risultano già “vecchi”).
Le complicazioni, per l’Europa, come più volte sostenuto, nascono, fondamentalmente, da 2 elementi: un elevato numero di Paesi aderenti (27), con una storia, una cultura, una lingua, una situazione economica spesso profondamente diverse e il fatto che le scelte politiche dei singoli Paesi possono ciclicamente cambiare a seconda dei risultati elettorali. Aspetti, soprattutto il secondo, che tirano in ballo la “coerenza” dei programmi politici dei singoli Paesi membri: se a vincere le elezioni fosse una parte politica “avversa”, molto difficilmente “l’idea di Europa” ne trarrebbe beneficio, con evidenti difficoltà (e quindi, come minimo, rallentamenti) sulla strada dell’integrazione europea.
Quanto si sta verificando in merito al Patto di stabilità ne è un esempio lampante: il “tira-molla” continua, in barba ai continui negoziati in corso per arrivare ad una “linea comune”. Ma l’orologio non si ferma: domani è l’8 dicembre, “deadline” perché l’Ecofin, che riunisce i 27 Ministri delle Finanze, arrivi ad una conclusione. Allo stato attuale le probabilità che si arrivi ad un accordo condiviso appaiono piuttosto difficili, con le speranze ridotte al lumicino, con il rischio che il 2024 (da gennaio il Patto di stabilità verrà reintrodotto) riparta con le regole vecchie.
A quanto pare, tutto ruota intorno alla Germania e al suo Ministro delle Finanze, il potente Christian Lindner. Si sa che in Germania l’attuale governo, presieduto da Olaf Sholz (la cui popolarità ultimamente è in disgrazia, con i sondaggi che danno il suo partito – il Socialdemocratico – sotto la soglia di sbarramento del 5%), regge grazie all’alleanza (definita semaforo per i diversi colori politici che la contraddistingue) tra SPD, Verdi e FDP. Da qui derivano non poche difficoltà, con vedute ben diverse, che fanno scricchiolare non poco l’impalcatura. Ecco, quindi, che il Ministro delle Finanze, costretto, dopo la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha imposto all’esecutivo di non considerare € 60 MD di spesa, già inseriti nell’ultima Legge di Bilancio, a trovare risorse alternative e, quindi, a “tirare la cinghia”, deve rispondere no ad alcuni Ministri del governo di cui lui stesso è parte, i quali avrebbero voluto una maggior “elasticità”, e quindi un minor rigore dei conti.
Ovvio che usare 2 pesi e 2 misure (una che fa leva sul rigore, l’altra sul suo allentamento) sarebbe, appunto, “non coerente”, rendendo ancora più difficile la vita del Governo tedesco, già alle prese con non pochi problemi, visto lo stato in cui versa l’economia tedesca. Ecco spiegati, quindi, gli imbarazzi che si stanno manifestando per arrivare ad un accordo: rimane sempre in piedi la proposta spagnola, che prevede un calo del debito pubblico dell’1% all’anno nel caso in cui il suo livello sia superiore al 90% del PIL, che scende allo 0,5% annuo quando il debito oscilla tra il 90 e il 60%, mentre, per quanto riguarda il deficit, la proposta prevede un limite dell’1,5% (peraltro prevedendo già delle deroghe Stato per Stato), ma con scarse probabilità di successo. Il fatto è che, al momento, non è previsto un “piano B”…
Ieri sera chiusura debole per Wall Street, con i 3 maggiori indici tutti in calo: S&P 500 – 0,39%, Dow Jones – 0,19%, Nasdaq – 0,56%.
Andamento analogo, questa mattina, per le piazze asiatiche.
A Tokyo il Nikkei sta per chiudere i battenti in ribasso dell’1,76%, mentre a Hong Kong la discesa si ferma a – 0,83%.
Meglio va a Shanghai, che in questi minuti si è quasi portata sulla parità (– 0,010%).
Futures ovunque intorno alla parità.
Nuovo calo per il petrolio, con il WTI sceso sotto i $ 70 (69,86).
Gas naturale Usa a $ 2,527 (- 1,83% questa mattina).
Stabile l’oro, sempre a $ 2.048.
Spread a 173 bp.
Nuova discesa per il BTP, ormai vicino al 4,90% (4,93%).
Bund a 2,19%.
Treasury a 4,16%.
€/$ a 1,0775.
Bitcoin sempre “agganciato” ai $ 44.000 (questa mattina lo troviamo a $ 43.912).
Ps: e quindi, secondo il Time, la “persona dell’anno”, per il 2023, è una donna. Non solo: non è una “politica”, né qualcuno che “manovra” l’economia. Parliamo di Taylor Swift, la cantante americana (33 anni) diventata famosa per gli incassi del suo tour mondiale, che ha già superato $ 1,5 MD di incassi (ma con l’indotto si parla di $ 5 MD). La scelta è ricaduta su di lei in quanto, per la celebre rivista americana, “ha portato la luce nel mondo”. L’ennesima conferma della forza della musica: non potrà porre fine alle guerre, ma che aiuti a vivere (e a far sognare) è fuori di dubbio.