Oramai il rialzo dei tassi è diventato quasi un argomento “da bar”, come succedeva una volta al calcio il lunedì mattina (quando le partite si giocavano tutte la domenica..). Si calcola che lo stock di mutui erogati alle famiglie italiane per l’acquisto della casa fosse pari, a fine 2022, a circa € 427MD (circa ¼ del PIL): si può ben comprendere, quindi, l’attualità del tema. Circa 1 anno fa il costo di un mutuo oscillava tra lo 0,5 e l’1%, in funzione della durata e della tipologia di contratto; oggi siamo intorno al 3,5%, ed è probabile che nel breve si assisterà a nuovi rialzi, viste le prossime mosse della BCE (è certo che nel “board” del prossimo 16 marzo i tassi saliranno di un altro 0,50%).
Ben sappiamo cosa comporti, per il nostro Paese, la dinamica in atto da circa 1 anno a questa parte, visto il peso del debito pubblico (circa € 2.800 MD, con un rapporto debito/PIL al 145%, dopo che era arrivato a toccare il 154%).
Nel Def (Documento di Economia e Finanza) rilasciato nell’aprile scorso dal Governo Draghi, il costo per interessi per il triennio 2023-2025 avrebbe dovuto essere paria a circa € 186MD; nell’ultima Legge di Bilancio a firma Governo Meloni, l’importo è salito di 84,1 (quasi la metà), a € 270 MD.
Ma non basta. Quest’anno il nostro Paese sarà costretto ad emettere nuovi titoli a medio-lungo termine tra € 310 MD ed € 350 MD (dipenderà da quanti fondi PNRR riusciremo ad ottenere), contro i 278 MD dell’anno scorso. Se si considerano anche i titoli a breve (BOT, si arriva alla “modesta” cifra di € 510 MD, che fanno salire il gap rispetto all’anno scorso a € 86 MD.
Grazie al QE (il riacquisto di titoli da parte della Banca Centrale), oggi la BCE si può dire sia il maggior “azionista” dell’Italia, avendo “in pancia” qualcosa come € 773 MD di titoli. Da questo mese, però, la stessa BCE inizierà il percorso inverso, vale a dire darà il via “all’alleggerimento” del proprio bilancio, procedendo alla vendita di titoli per complessivi (quindi non solo italiani) 15MD mese, che probabilmente diventeranno 30 MD da giugno. E’ un bene, per il nostro Paese, che la vita “media” del debito sia intorno ai 7 anni: ciò significa che l’aumento dei tassi sulle nuove emissioni avrebbe potuto essere ben superiore se la vita media fosse stata più breve, costringendo il Tesoro ad aumentare ancor di più l’entità delle emissioni.
A “salvare” ulteriormente il nostro Paese la crescita del 2022: il + 3,9% del PIL, oltre a collocarci al 1° posto tra “i Paesi che contano” in Europa (allargando lo sguardo, addirittura maggiore della Cina), ha consentito al rapporto debito/PIL di scendere, come detto più sopra, al 145%, nonostante l’aumento assoluto del debito pubblico.
L’emissione del BTP Italia che inizia oggi (sino a mercoledì per le famiglie – è riservato ad investitori “persone fisiche” – , giovedì per gli Istituzionali) è la conferma della necessità di fare “funding”. Un bisogno che trova riscontro in condizioni indubbiamente interessanti (vd il “tasso reale”, vale a dire il differenziale rispetto all’inflazione italiana – FOI, l’indice che rappresenta i prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati – pari al 2%): visto il successo delle precedenti emissioni (l’ultima, la 18°, con uno spread dell’1,60%, il novembre scorso aveva raccolto circa € 12 MD), la liquidità ancora presente nei conti delle famiglie italiane, nonché un’inflazione ancora sostenuta, è probabile che anche questa volta il Tesoro “faccia il pieno”.
Dopo la chiusura col “botto” di venerdì di Wall Street (Nasdaq + ,04%, Dow Jones + 1,17%), questa mattina solo Tokyo sembra restare “in scia”, con il Nikkei che guadagna l’1,11%. Al palo Hong Kong, che sale di un frazionale 0,15%, mentre Shanghai è appena negativa (– 0,11%).
Futures “combattuti” tra il rialzo statunitense e il segno negativo in Europa.
Il petrolio inizia la settimana in prossimità degli 80€ (79,17, – 0,77%).
In caduta il gas naturale Usa, a $ 2,70 (- 10,40%).
In recupero l’oro, a $ 1.861,60, + 0,29%.
In recupero lo spread, che scende sotto i 180 bp (178). BTP che apre la settimana da 4,51%.
Treasury a 3,94% dal 4,04% di venerdì.
€/$ a 1,0649.
Poco mosso il bitcoin, a $ 22.420.
Ps: è di sabato la notizia che in Europa il processo di “transizione” dai motori inquinanti a quelli elettrici, previsti dal 2035, è a rischio, in considerazione del rallentamento dell’iter che avrebbe dovuto sancire il cambiamento. Un fatto che ci ricorda la complessità, da una parte, del processo, contrapposta alla necessità di fare in fretta se vogliamo “salvare” il pianeta.
Uno studio di Nature Communications, che riunisce un gruppo di scienziati internazionali, ci dice che se non si riesce a bloccare la crescita della temperatura globale entro 1,8 gradi, il livello dei mari crescerà, da qui a 130 anni, di oltre 1 metro. E vista l’impossibilità di cingere le coste del mondo con il Mose, il rischio di vedere scomparire molti Paesi è sempre più concreto.