Direttore: Alessandro Plateroti

L’autonomia della Banca d’Italia (come di qualsiasi altra Banca Centrale, per quanto, con la nascita della BCE molte attività, in termini di politica monetaria, non rientrino più nella “valigia degli attrezzi” delle singole Banche Centrali) è uno dei capisaldi su cui si regge il nostro Paese.
Lascia quindi un po’ interdetti la polemica che segue l’audizione di ieri mattina alla Commissione Bilancio (di fronte a ben 7 parlamentari…) di Fabrizio Balassone, capo del Servizio struttura economica del Dipartimento Economia e Statistica. Le criticità sollevate da Bankitalia sulla Legge di Bilancio, ad iniziare dall’aumento dell’uso del contante alla maggior libertà per gli esercenti in merito all’obbligo dell’installazione del Pos fino ad arrivare alla revisione del Reddito di cittadinanza, hanno dato il là alle polemiche da parte di alcuni esponenti del Governo. “Le disposizioni in materia di pagamenti in contante e l’introduzione di istituti che riducono l’onere tributario per i contribuenti non in regola rischiano di entrare in contrasto con la spinta alla modernizzazione del Paese che anima il PNRR e con l’esigenza di continuare a ridurre l’evasione”, queste le testuali parole dell’esponente della Banca d’Italia, oltre a giudizi prettamente tecnici, non sono piaciuti soprattutto al sottosegretario per il Programma Giovanbattista Fazzolari, che ha definito la nostra Banca Centrale espressione di “interessi privati” (in quanto partecipata, come tutte le Banche Centrali, tra gli altri dalle maggiori banche che operano nel Paese).
La polemica, per quanto poi in parte rientrata (tra l’altro la stessa Presidente Meloni, probabilmente non sorda alle critiche emerse in questi giorni a Bruxelles, ha ammesso che, per quanto riguarda l’utilizzo del Pos nulla è ancora deciso, per cui l’obbligo di installazione per qualsiasi attività commerciali, senza limiti di transazione, potrebbe rimanere), si aggiunge a quella, più volte richiamata, sui ritardi sul Pnrr. A detta dell’attuale esecutivo, infatti, il “lascito” del Governo Draghi non è in linea con il programma, che impone il raggiungimento di 55 obiettivi entro il 31/12/22, fondamentale per l’ottenimento della 3° rata da € 19 MD (pari, vale la pena ricordarlo, ad più del 50% della manovra di Bilancio in corso di approvazione, del valore di € 35 MD). Al traguardo mancano oltre 25 obiettivi (quindi 1 al giorno, Natale compreso…). Impresa non semplice, anche se dal Governo giungono segnali rassicuranti: pesa, è evidente, il “fermo macchina” legato alla crisi di governo e alla successiva campagna elettorale, con il vecchio Governo in carica chiamato a gestire l’ordinaria amministrazione, impossibilitato ad operare in maniera incisiva. Dei 55 obiettivi previsti. Da raggiungere entro il 31/12, il Governo Draghi ne aveva realizzati, prima della crisi, 25, con altri 4 conclusi nel periodo “limbo”. Difficile quindi trovare responsabilità nel suo operato.
Polemiche che, comunque, suonano quasi marginali se paragonate a quello che ci succede intorno.
La guerra in Ucraina, nonostante l’arrivo del freddo, continua a non avere pause, con bombardamenti russi sulle principali città e la popolazione alle prese con la mancanza di luce e riscaldamento, e il rischio di un coinvolgimento più ampio (ieri un razzo russo è caduto in territorio moldavo), anche se, secondo l’intelligence britannica, gli attacchi russi sono destinati a diminuire, appunto per l’arrivo dell’inverno.
L’avvio delle sanzioni sul petrolio russo (price cap di € 60 e divieto alle importazioni europee, con l’aggiunta degli altri Paesi del G7 e dell’Australia) ha provocato grande volatilità sul mercato. Volatilità ulteriormente accresciuta dai dati macro Usa, dove la recessione per il momento sembra lontana dal verificarsi, tanto che molti osservatori ritornano sui loro passi per quanto riguarda la possibilità che la FED possa rivedere, ammorbidendola, la propria strategia monetaria, riconfermando la linea dura. Tanto è bastato per spingere al ribasso gli indici statunitensi, con il Nasdaq che ieri sera ha chiuso a – 1,73% (ma aveva superato anche il – 2%) e il Dow Jones a – 1,40%. Peggio ha fatto il petrolio, regredito di oltre il 3%. La “non decisione” dell’Opec+ (che comunque è una decisione), che ha rinviato qualsiasi scelta al prossimo incontro del 4 giugno 2023 (questa volta in presenza), anticipato da un incontro ristretto il 1° febbraio, non ha certamente rasserenato il clima. Peraltro va detto che l’introduzione del price cap non riguarda gran parte del greggio russo in circolazione e già caricato sulle navi con consegna entro il 19 gennaio. Quindi gli effetti, per le casse di Mosca, dovrebbe farsi sentire dal 19 gennaio in poi. E’ certo, comunque, che l’Asia sostituirà, in buona parte, l’Europa (e il gruppo G7) nell’import: la calcola che solo l’India già oggi compri il 30% del petrolio russo che viaggia via mare (con rotte lunghissime, a volte superiori ai 12.000 km).

Dopo il forte rialzo di ieri (+ 4,5%), questa mattina a Hong Kong l’indice Hang Seng prende fiato, i leggero arretramento (- 0,52%). In crescita a Tokyo il Nikkei (+ 0,25%), mentre in Cina Shanghai viaggia sulla parità, confermando i massimi da 3 mesi. Confortano i dati sul covid, con i contagi in ulteriore diminuzione, al punto che le autorità di Pechino hanno comunicato che non sono più necessari i test negativi per poter entrare nei luoghi pubblici chiusi.
Futures che questa mattina si muovono intorno alla parità un po’ ovunque, con l’Europa un po’ più debole.
Il petrolio cerca di risalire la china: WTI a $ 77,70, + 0,87%.
Ai minimi da qualche mese, invece, il gas naturale Usa, a $ 5,527 (- 1,08%).
Gas europeo a € 134, 65 (- 1,79%) al megawattora.
Oro a $ 1.782, dopo il calo di circa l’1% di ieri.
Spread a 186,7 bp, con il BTP a 3,74%.
Treasury al 3,57%.
Recupera, seppur modestamente, il $, che si porta a 1,048 verso €.
Bitcoin che ondeggia intorno ai $ 17.000 (17.020, – 1,74).

Ps: torniamo a parlare di “made in Italy”. Non nel senso a cui siamo abituati, pensando al mondo del design e del fashion, una sorta di “ambasciatori” del nostro Paese. Ma nel senso di “cervelli” prestati alle maggiori aziende internazionali. E’ il caso di Margherita Della Valle, entrata a far parte nella prima ora (matricola 25) di Omnitel, la costola, fondata da Carlo De Benedetti, da cui sarebbe nata Vodafone. L’azienda di cui ora diventa CEO, andando a sostituire Nick Read, colpevole di risultati non entusiasmanti e, soprattutto, ritenuto responsabile della caduta in borsa del titolo (- 19% da inizio anno e – 44% da quando, 4 anni fa, ha assunto il comando del gruppo).

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ultimo aggiornamento: 06-12-2022


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