Inizia domani, a Cernobbio, la 50° edizione del Forum Ambrosetti, il più prestigioso ed importante convegno economico/finanziario che si tiene nel nostro Paese (una sorta di “Davos” – il simposio che si tiene in inverno tra le montagne della Svizzera – italiana), e che vedrà la partecipazione di moltissimi esponenti politici ed economisti italiani e stranieri (per citarne alcuni dalla Meloni ad Orban alla Regina Rania di Giordania).
Molti, evidentemente, saranno gli argomenti trattati, da quelli geo-politici a quelle strettamente economico/finanziari, di strettissima attualità in considerazione degli ultimi giorni che hanno “disorientato” i mercati, preoccupati per la “piega” che sta prendendo l’economia, soprattutto quella statunitense, alle prese forse con qualcosa di più di un “soft landing”, e le imminenti decisioni delle Banche Centrali (proprio oggi è apparsa l’intervista rilasciata a Le Monde da Piero Cipollone, membro del Comitato Esecutivo della BCE, in cui ribadisce, ancora una volta, senza troppi giri di parole, che il “giro di vite” va allentato per non imbrigliare la crescita ed evitare una recessione che potrebbe far tornare l’incubo passato non più tardi di 4 anni fa, e in parte scampato a politiche fiscali particolarmente espansive e, in Europa, grazie al PNRR).
Proprio il PNRR (applicato all’Italia) è probabile sarà uno degli argomenti centrali.
Sappiamo (sono circa 3 anni che se ne parla…) che il nostro Paese è il maggior beneficiario del provvedimento varato a Bruxelles, con circa € 200 MD (194,4, per l’esattezza) di erogazioni, a titolo di prestiti (a tassi agevolati) e/o a titolo definitivo (circa € 72 MD). Di questi € 113,3 MD sono già stati erogati, e siamo in attesa che arrivi anche la 6° rata (altri € 8,56 MD): in tutto circa il 63% degli stanziamenti, a fronte di 269 obiettivi raggiunti su un totale di 618.
Ma perché il Piano si possa definire di successo non è sufficiente che i finanziamenti arrivino a Roma: è determinante che vengano “spesi”, e quindi che le opere perviste vengano realizzate.
E qui più di un problema è evidente, riconfermando il nostro annoso problema di “saper spendere”, con un apparato burocratico degno della vecchia Unione Sovietica piuttosto che di una delle economie, per quanto possa suonare incredibile, tra le 7 (o 8) più forti al mondo.
Infatti, dei 121,86 MD (113,3 se non consideriamo la tranche di 8,56 MD in arrivo) di cui sopra, ad oggi ne abbiamo spesi “solo” 51,4 MD. E se limitiamo l’osservazione al 2024, sui 43 MD che dovrebbero essere il “monte spesa” siamo a neanche 10MD (9,4 MD, un misero 21,8%), che significherebbe, a fine anno, non arrivare neanche alla metà di quanto dovrebbe essere finanziato. E non, appunto, perché “mancano i soldi”, ma perché non siamo in grado di mettere in campo le risorse (organizzative, procedurali, tecniche, professionali, umane, etc) per realizzarle. L’elenco delle cose da fare è piuttosto lungo (banalmente, basti pensare che ad oggi solo il 10% della pubblica amministrazione è in grado di trasferire i documenti in cloud e che il 14% dei progetti previsti non sono stati ancora avviati): il tempo, peraltro, corre e se per il 2026 (anno in cui è previsto che il Piano arrivi a compimento) non avremo concluso quanto abbiamo promesso, il rischio è che ci vengano chiesto indietro le risorse non utilizzate. E il fatto di “prestare” il Ministro Fitto, deputato a gestire il Piano e le relazioni con l’Europa, alla Commissione Europea potrebbe costituire un nuovo ostacolo sulla via della sua realizzazione. Senza contare, evidentemente, l’impatto che il “fare” avrebbe sul PIL: The European House – Ambrosetti stima che gli investimenti con impatto strutturale (quelli, cioè, che potrebbe portare ad una crescita strutturale del nostro PIL) siano compresi tra i 66 e i 90 MD, pari al 34,4-47,3% del totale. Che si traducono, dal 2026, in una crescita del PIL di almeno l’1,9% in più rispetto ad un’assenza di investimenti.
Giorni perturbati sui mercati.
Ieri Wall Street ha “frenato” la caduta, con gli indici che hanno chiuso intorno alla parità.
Questa mattina le piazze asiatiche si confermano deboli, anche se con percentuali non “schizofreniche”.
A Tokyo il Nikkei segna un ribasso dell’1,14%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng è in calo, in questi minuti, dello 0,53%.
Sulla parità, invece, Shanghai.
Ancora in ribasso il Kospi (- 0,5%), mentre chiude in rialzo Sidney. Sulla parità Mumbai.
Leggermente deboli i futures, con cali ovunque contenuti (– 0,05-0,10%).
Stabile il petrolio, con il WTI a $ 69,55 (in leggero recupero questa mattina, + 0,40%).
Gas naturale Usa $ 2.127, – 0,98%.
Oro appena sopra i $ 2.500 (2.510,70, + 0,23%).
Spread a 137 bp, con il BTP a 3,58%.
Bund al 2,22%.
Treasury al 3,76%, in leggero rafforzamento sui timori di un calo del PIL americano.
Stabile l’€/$, a 1,1085.
Bitcoin ancora nelle “sabbie mobili”, con le quotazioni che non superano i $ 58.000 (57.375).
Ps: probabilmente non esiste al mondo un Paese che abbia un patrimonio storico-culturale simile al nostro. Un patrimonio che dovrebbe essere una delle maggiori fonti di ricchezza per la nostra economia (basti pensare a cosa è in grado di fare la Francia…). E per gestire il quale dovrebbe essere impiegate le migliori menti del Paese. Ma per farlo c’è bisogno, appunto, di “cultura”. Soprattutto “cultura di governo”. L’alternativa è la “cultura del ridicolo”.