La Treccani così definisce il sonnambulismo: “Consiste nella persistenza, durante il sonno, dell’attività automatica, in misura tale da permettere all’individuo che ne è affetto di compiere azioni ed esplicare funzioni che ripetono quelle appartenenti allo stato di veglia. Si tratta della persistenza e spesso dell’esaltazione di alcune di queste funzioni, a detrimento di altre che sono indebolite e attutite….L’individuo naturalmente, compie tutto ciò con la coscienza profondamente obnubilata e non conserva, al risveglio, il più piccolo ricordo di quanto ha fatto durante l’accesso…”.
L’Italia è un Paese si “sonnambuli”. A dirlo non è un opinionista di passaggio, “colorato” di una fede politica piuttosto che di un’altra, ma il Censis, il più autorevole Istituto di ricerca socio-economica italiano, nato nel 1954.
Un Paese, cioè, sempre più vecchio, i cui abitanti restano inermi davanti ai presagi e sono paralizzati dalla paura: paura di guerre, paura di una crisi economica devastante, paura di una involuzione sociale, paura del clima “impazzito”.
Eppure, di fonte a campanelli di allarme che si fanno ogni giorno più insistenti, non siamo in grado di alcuna reazione.
Nel 2050 l’Italia avrà (se il trend non cambierà), 4,5 ML di abitanti in meno: come se fossero scomparse 2 città come Milano e Roma. E nel 2040 solo una coppia su quattro avrà figli. Allo stesso tempo, i nuclei “unipersonali” saranno quasi 10 ML, vale a dire il 37% del totale, di cui ben il 60% (circa 5,6 ML) composti da anziani. Ben l’84% degli italiani si dice spaventato dal clima “impazzito”. Il 73,4% si dice convinto che i problemi irrisolti provocheranno, di qui a pochi anni, una crisi economica e sociale molto grave, con povertà e violenze sempre più diffuse. E non finisce qui: il 59,9% teme che saremo trascinati in un conflitto mondiale, il 73,8% è convinto che nei prossimi anni non ci saranno abbastanza lavoratori per sostenere le pensioni (già oggi, peraltro, in molte regioni – la Liguria, quasi tutte le regioni meridionali – il numero dei lavoratori è pari, se non inferiore, a quello dei pensionati), con un calo, rispetto allo stato attuale, di 8 ML di lavoratori, il 69,2% teme che non tutti potranno curarsi in quanto la sanità pubblica non sarà in grado di assicurare le prestazioni minime. Mentre continuerà ad aumentare la fuga dei giovani (1,6 ML negli ultimi 10 anni).
Una situazione che in parte trae origine dal fatto che il 56% della popolazione (percentuale che sale al 61% tra i giovani) è convinto di contare poco o nulla nella società, con un peso politico irrilevante (non a caso il numero di chi non vota è la vera “maggioranza” del Paese). Al punto che viene da chiedersi, come giustamente fa Antonio Polito in un esplicito articolo apparso ieri sul Corriere della Sera, se “siamo pessimisti perché le cose vanno male o le cose vanno male perché siamo pessimisti?”. Il punto è, come giustamente ci ricorda l’editorialista, che se ci aspettiamo tutti gli “sfracelli” di cui sopra e non facciamo nulla per prevenirli, ecco che diventeranno sempre più probabili, se non certi, riconfermando ancora una volta il fenomeno delle “profezie che si auto-determinano”.
Il problema, come ci ricorda il Censis, è che non riusciamo a trasformare gli “incubi notturni” in “energia positiva, con i presagi notturni che, al contrario, deprimono, nella convinzione che non valga la pensa prendere iniziative e “gettare la palla avanti”: tanto non servirà a nulla. Ne esce, quindi, un Paese “paralizzato”, da cui emerge un quadro in cui per oltre l’84% degli individui il lavoro non è più la motivazione che può aiutare a vivere meglio, che invece deriva dalla ricerca di “piaceri consolatori”, piccole cose che diventano il “centro del mondo”. Quello che non dice, peraltro, l’indagine del Censis (come è normale che sia, essendo rivolta solo al nostro Paese) è se tale approccio riguarda solo noi oppure è un fenomeno di scala ben più ampia, come molti indicatori lasciano presupporre (non siamo gli unici con una scarsa partecipazione al voto, né gli unici ad essere preoccupati per clima impazzito), anche se, rispetto ad altri Paesi (anche molto limitrofi ai nostri, vedi la Francia) siamo quelli più “in crisi” sotto l’aspetto demografico, e quindi quello in cui “la speranza”, sinonimo di “futuro”, è ogni giorno più fievole.
Apertura di settimana debole sui mercati asiatici, con tutti gli indici in ribasso.
A guidare i cali, a Hong Kong, l’Hang Seng, che scende dell’1,06%. A Tokyo il Nikkei perde lo 0,60%, mentre Shanghai storna dello 0,29%.
In controtendenza l’India, con Mumbai che sale dell’1,2%, dopo che il Partito che guida il Governo ha vinto le elezioni, con il Premier Modi avviato verso il 3° mandato.
Deboli i futures, in calo ovunque, con ribassi compresi tra lo 0,20 e lo 0,40%.
Petrolio debole in avvio di seduta, con il WTI che perde quasi l’1%, avvicinandosi ai $ 73 (73,42).
Gas naturale Usa a $ 2,706.
Oro che si porta sul record storico di $ 2.095, con qualche analista che prevede che, nel 2024, possa arrivare sin verso i $ 2.300.
In calo lo spread, a 171,9 bp.
BTP al 4,10%.
Bund 2,34%.
Treasury in leggero rialzo, a 4,25%.
€/$ a 1,0868.
“Fuga in avanti” per il bitcoin: questa mattina lo troviamo a $ 41.525, record da aprile 2022.
Ps: dunque siamo arrivati all’ultimo atto per Alitalia. Il 1° dicembre, infatti, è stata inviata una lettera ai sindacati e al Governo in cui si conferma che, con data 15 gennaio 2024, partirà il processo di liquidazione della società. Ne consegue che 2668 dipendenti riceveranno la lettera di licenziamento: ne rimarranno solo 172, che dovranno gestire, appunto, a fase di liquidazione. A proposito di sogni che muoiono….