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Il taglio alla produzione del petrolio deciso “senza preavviso” nella giornata di domenica dai Paesi aderenti all’Opec + (per 1 ML di barili/giorno a partire dal prossimo mese) sta “sparigliando” le carte, come ha dimostrato la giornata di ieri, che si è chiusa con un rialzo pari a circa il 6%, maggior rialzo dal 2020, con il Brent (quello che si estrae nei Mari del Nord) oltre gli 84$ e il WTI (acronimo di West Texas Intermediate, che definisce la produzione americana) che ha superato gli 80$. Le prime reazioni a caldo di qualche esperto lasciano spazio ad ulteriori rialzi, che potrebbero riportare i prezzi in area $ 100.

Un cambiamento di scenario molto repentino, i cui risvolti potrebbero incidere non poco sulla crescita economica.

Le preoccupazioni si concentrano, ancora una volta, sulle Banche Centrali.

Se gli ultimi accadimenti nel settore bancario sembravano un deterrente sulla strada di nuovi ritocchi all’insù dei tasso, l’aumento dei prezzi del petrolio rende più che concreto il rischio di una nuova impennata dell’inflazione, vanificando parte degli sforzi sin qui compiuti. E’ evidente che le autorità monetarie, laddove questo accadesse, potrebbero rapidamente tornare sui propri passi, imprimendo una nuova accelerazione all’aumento dei tassi.

Al di là dei prezzi, peraltro, la pubblicazione, nella giornata di ieri, dei dati sull’Ism del settore manufatturiero americano (l’Ism è l’indice che misura l’andamento dei vari settori economici) fotografa uno stato dell’economia in appannamento. Infatti, il dato è ben al di sotto delle previsioni (46,3, ben al di sotto del 47,7 fatto registrare il mese scorso e lontanissimo dal 57,10 di 12 mesi fa). Un rallentamento che rende più reale il rischio di una stagflazione, il peggior nemico per l’economia, un mix di alta inflazione e recessione. Motivo, pertanto, di ulteriori grattacapi per le Banche Centrali, sempre più su un “sentiero stretto”: azioni incisive potrebbero “affossare” l’economia mentre, dall’altra parte, la “latitanza” potrebbe soffiare sul vento dell’inflazione in maniera ancor più grave.

Una situazione che, per alcuni aspetti, ci riporta indietro di 50 anni, rievocando la crisi globale degli anni 70: un concentrato di alta inflazione, crisi geopolitiche e shock energetico (qui e ora, almeno per il momento, sono certi i primi 2, il terzo potrebbe diventare più di un’ipotesi).

Un motivo in più, quindi, per rimanere vigili, anche se il “sentiment” di fondo degli investitori rimane positivo: nessun “attacco di panico”, fatto salva, come normale, una maggior volatilità, dettata più che altro dalle attese sulle mosse delle Banche Centrali, su cui rimangono concentrati i “fari” degli operatori. La convinzione è che se recessione deve essere, sarà breve e poco “profonda”, senza gravi ricadute sull’economia e sugli utili aziendali, mentre sul fronte dei tassi la sensazione prevalente è che non ci saranno “fughe in avanti” delle Banche Centrali. Ce lo dice anche un dato tenuto in grande considerazione quale l’andamento dei tassi a breve dei Treasury Usa: ieri il biennale era sotto il 4% (1 mese fa, ad inizio marzo, era al 5%), con il decennale al 3,43% (sempre un mese fa si era al 4%): la “curva”, quindi, si sta nuovamente appiattendo, dopo che la forbice, nei mesi scorsi, era andata sempre più allargandosi a vantaggio dei titoli “a breve” (dando vita al fenomeno noto come “inversione della curva”, al verificarsi del quale aumentano le probabilità di una recessione in arrivo).

Come detto, i mercati ieri non hanno dato segnali di particolare nervosismo, con chiusure in alcuni casi positive (il nostro indice Mib, il Dow Jones a Wall Street, il CAC 40 a Parigi) negative in altri (Dax a Francoforte, Nasdaq, anche se con un gran recupero sul finire della seduta, a Wall Street).

Questa mattina le borse asiatiche si muovono sulla stessa falsariga: a Tokyo il Nikkei sale dello 0,30%, in Cina Shanghai è appena sopra la parità, mentre a Hong Kong l’Hang Seng “accusa il colpo”, in calo dello 0,80%.

Futures al momento in leggera diminuzione a Wall Street (cali frazionali), mentre l’Eurostoxx sale dello 0,30%.

Petrolio ancora sugli scudi: il WTI, in salita dello 0,45%, si porta verso i $ 81 (80,87).

In ripresa il gas naturale Usa, con i prezzi a $ 2,14 (+ 1,81%).

Oro di nuovo in area $ 2.000 (1.997,40, – 0,25%).

Spread che continua ad oscillare intorno ai 180 bp (183,9 questa mattina), con il BTP al 4,09%.

Bund al 2,24%.

Treasury al 3,41%, sui livelli di chiusura di ieri sera (3,43%).

€/$ a 1,09, con l’che continua la sua lenta ascesa.

Recupera il Bitcoin, che si riporta vicino ai $ 28.000.

Ps: parliamo, ancora una volta, di “eccellenze” italiane (anche se, nel caso specifico, non troppi anni fa il marchio, dopo essere fallito, era sull’orlo della scomparsa). A 166 anni dalla sua nascita (era il 1857) oggi ad Alessandria riapre il Museo Borsalino, uno dei marchi italiani più famosi al mondo, Dai papi ai Presidenti dei Paesi più importanti al mondo alle star del cinema e dello spettacolo tutti lo hanno indossato almeno una volta.

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ultimo aggiornamento: 04-04-2023


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