I mercati finanziari, è cosa nota, vengono considerati piuttosto “cinici”. Una considerazione indubbiamente valida per quanto riguarda i puri aspetti “finanziari”: non si fanno problemi “nell’attaccare” un’economia o un Paese quando sentono “l’odore del sangue”, ricordando, in questo, alcuni predatori. Basti pensare a cosa ci è successo nel 2011/2012 o, ancora peggio, nel 1993, quando l’allora Primo Ministro Giuliano Amato fu costretto a svalutare la lira e a varare una manovra “monstre” (per quegli anni) da 100.000 MD (di lire, ovviamente).
Questi sono giorni in cui l’equilibrio mondiale sembra appeso ad un filo: potrebbe bastare poco per far deflagrare un conflitto che vede ogni giorno di più il coinvolgimento, seppur dettato dal diritto all’autodifesa, di una popolazione inerme, la cui “colpa”, per molti israeliani, è stata quella di aver consentito che Hamas di prendere il potere nel 2007, senza averla contrastata come avrebbe dovuto, anzi, sotto certi aspetti, proteggendola. Il paradosso è che i “capi” (almeno 3) dell’organizzazione terroristica sono seduti su miliardi di $ (si stima che ognuno abbia un patrimonio personale tra i 3 e i 4 MD), al sicuro in Qatar, Stato considerato alleato dell’organizzazione palestinese e, quindi, difficilmente raggiungibili.
Da quanto vediamo i mercati non giudicano, evidentemente, la situazione così grave e a rischio escalation. Quanto sta succedendo in Medio Oriente non sembra meritevole, cioè, di grandi preoccupazioni e di particolari allarmismi, tali da “smontare” posizioni tese alla ricerca di “valore”, anche se con un rischio “implicito” elevato. L’attenzione degli investitori, in altre parole, sembra rimanere concentrata sull’effettivo andamento dell’economia e dei dati che, di volta in volta, emergono.
Vediamo così che la Germania, principale “imputato” del rallentamento che l’Europa sta subendo (almeno in confronto agli Usa, la cui “velocità di crociera”, nel 3° trimestre, ha toccato il 4,9% annualizzato), seppur certamente poco brillante, ha avuto un decremento della propria crescita, nel terzo trimestre, solo di un quasi impercettibile – 0,1%, molto meglio del previsto – 0,4% (o del – 0,3% stimato da Deutsche Bank). Per non parlare dei 2 trimestri precedenti, rivisti in rialzo, seppur di un modesto + 0,1%, contro dati che, anche in quei casi, vedevano una crescita negativa.
Conferme positive arrivano anche dall’inflazione: per la prima volta, infatti, dal 2021, Berlino vede i prezzi salire meno del 4%. L’inflazione complessiva in ottobre si è mantenuta al 3,8% (4,5% a settembre), mentre quella di fondo si è fermata al 4,3% (4,6% a settembre). Gli economisti di KFW (l’equivalente della nostra Cassa Depositi e Prestiti), pur affermando che verso la fine dell’anno si potrebbe assistere ad un nuovo rialzo dei prezzi, sostengono che la strada intrapresa è quella giusta, prevedendo, quindi, per il 2024, il rientro dell’inflazione a livelli più gestibili. Peraltro molti saranno i fattori che condizioneranno la crescita dell’economia più forte d’Europa: si va, ovviamente, dalle tensioni geopolitiche alla ripresa o meno della crescita cinese, dal contenimento dei prezzi alle politiche monetarie che le varie Banche centrali decideranno di attuare, 2 elementi tra loro strettamente collegati.
Anche ieri, intanto, per quanto ci riguarda, è continuata “l’onda lunga” del giudizio di Dbrs, con lo spread che è tornato ai livelli di circa 1 mese fa, chiudendo a 192 bp, ma arrivando a toccare, “intra-day”, anche i 190 bp. A detta di diversi osservatori, non poco sono stati coloro che, più ancora del giudizio di Dbrs, si sono mossi “anticipando” quello di Moody’s, ritenuto quello più importante, essendo quello più “critico”: l’opinione diffusa è che il nostro debito non subirà un nuovo “downgrade”, non essendo peggiorate le condizioni che avevano portato, la primavera scorsa, a tale severità (vd, per esempio, la gestione del PNRR, che aveva portato anche ad una certa tensione tra il Governo e Bruxelles).
Ieri sera Wall Street ha chiuso con una delle migliori performance del mese che oggi si chiude: Dow Jones + 1,58%, Nasdaq + 1,09%, S&P 500 + 1,2%.
Contrastati, invece, questa mattina i mercati del Far East. Spicca il + 0,53%, a Tokyo, del Nikkei. L’economia giapponese sembra procedere con “luci e ombre”: se i consumi tengono (+ 5,8%), non così la produzione industriale, cresciuta di un modestissimo 0,2%.
Innesta la retromarcia, a Hong Kong, l’Hang Seng (- 1,50%), mentre tenta il recupero Shanghai, ad un soffio dalla parità.
Appena deboli i futures americani, mentre in Europa lasciano spazio ad aperture positive.
Tenta la risalita il petrolio, dopo la caduta (– 3,5%) di ieri: WTI a $ 82,91, + 0,61% l’apertura.
Stabile il gas naturale Usa, a $ 3,368.
Sempre “abbarbicato” a $ 2.000 l’oro (2.005).
La giornata si apre piuttosto positivamente per lo spread, sceso sotto i 190 bp (189), con il decennale vicino al 4,70% (soltanto giovedì era vicino al 5%).
Bund al 2,83%.
Treasury al 4,87%, sui livelli di ieri.
€/$ a 1,0609.
Si mantiene sopra i $ 34.000 il bitcoin, anche se questa mattina le quotazioni sono in leggera discesa ($ 34.211, – 0,82%).
Ps: la tentazione di parlare, ancora una volta, di Lionel Messi è forte, dopo la sua nomina a miglior giocatore del mondo, con l’assegnazione del suo 8° Pallone d’oro, che lo rende, a questo punto, forse il miglior giocatore di sempre. Invece parliamo di taxi, e non , per una volta, delle potenti lobbies che, soprattutto a Roma e Milano, condizionano non poco la nostra vita, almeno quella relativa alla circolazione automobilistica cittadina. Guardando quello che succede in giro per il mondo possiamo cogliere uno spaccato di quello che ci attende. In India, dopo oltre 60 anni, vanno in pensione i vecchi taxi, i famosi “pandmini”, cugini delle nostre vecchie Fiat 1.100, che molti ricorderanno (là continuavano a circolare, alla faccia dei consumi e dell’inquinamento). A S. Francisco, invece, si stanno sempre più testando i taxi a guida senza conducente. Pare che quelli di 2 aziende (Cruise e Waymo) solo nel 2023 abbiano percorso 6 ML di miglia con soli 102 incidenti. Quindi 1 ogni 60.000 miglia. L’equivalente di 1 ogni 5 anni per un automobilista medio. Non si sa, invece, quanti siano gli incidenti di taxi, invece, a Mumbai o New Delhi…