Come già in molte altre occasioni, anche, se non ancor di più, in questa, il mondo si divide tra chi ritiene che Israele abbia il diritto di a svolgere una vera e propria azione di guerra per annientare Hamas, distruggendo e uccidendo, però, Gaza e altri insediamenti della Striscia e migliaia di persone, tra cui molte donne e bambini che con le azioni terroristiche del gruppo palestinese non c’entrano nulla, per non parlare della crisi umanitaria che ne consegue, e chi, invece, è convinto che lo Stato ebraico, per difendere il proprio “diritto di sopravvivenza”, possa permettersi qualsiasi tipo di intervento. Una cosa è certa: se Israele non attenua i bombardamenti e, soprattutto, non permette alle organizzazioni umanitarie di provvedere a rifornire la popolazione dei più elementari generi di sussistenza, è molto probabile che il conflitto non potrà che espandersi, con il rischio che le frange antisemite più estreme passino dalle semplici minacce verbali ad azioni dimostrative che potrebbero ulteriormente aggravare la situazione. Come era apparso immediatamente immaginabile, il tema degli ostaggi è diventato fondamentale: la volontà di liberarli è una delle motivazioni utilizzate da Israele per giustificare i propri attacchi, mentre, dall’altra parte, si “mette sul piatto” la loro liberazione alla ricerca di un accordo al momento molto difficile da trovare.
La settimana che si apre quasi certamente vedrà in mercati muoversi, quindi, non soltanto sulla base dei dati macro, ormai insostituibili “compagni di viaggio” per analisti e strategist, ma anche in funzione di come potrà evolvere la situazione geo-politica, allontanando o meno la “predisposizione al rischio” degli investitori.
Nell’ultimo giorno della settimana scorsa, abbiamo visto “restringersi”, e non di poco, lo spread dei nostri titoli.
Venerdì sera, a mercati, chiusi, era atteso il verdetto di DBRS sul nostro debito. Presagendo un responso positivo, in molti avevano dato fiducia al ns debito, tornando ad acquistarlo. Fiducia confermata nel momento in cui la società di rating ha ribadito che “i fondamentali economici dell’Italia rimangono resilienti”. Giudizio avvalorato dal fatto che si ritiene che Moody’s, il cui parere è atteso per il 17 novembre, non abbia motivo per “declassare” il debito italiano. Se dovesse succedere, la cosa sarebbe ben grave, facendo “precipitare” il nostro debito “nell’inferno” dei junks bonds, i titoli “spazzatura”, le cui conseguenze sarebbero molto severe, per non dire tremende (per prima cosa, per esempio, praticamente tutte le case d’affari e le società di asset management dovrebbero diminuire i loro investimenti in titoli del debito pubblico italiano, dovendo, per policy, non superare certi livelli di titoli con rating così bassi). Il giudizio di Dbrs, quindi, “da morale”: dopo quello di Standard & Poor’s di qualche giorno fa, siamo a “2 su 2” in termini di conferme. Né le cose, rispetto al precedente “outlook negativo” che Moody’s aveva attribuito al nostro Paese, sembrano particolarmente peggiorate a livello di “fondamentali”: certo che se la discussione sulla Legge finanziaria (già in ritardo sui tempi) dovesse ulteriormente protrarsi, facendo emergere contrasti all’interno della compagine di governo, allora sì che le problematiche potrebbero portare a conclusioni da evitare assolutamente.
A favore di un verdetto positivo (prima di quello di Moody’s è atteso anche quello di Fitch) può giocare il fatto che da qui alla fine dell’anno sono previste, da parte del Tesoro, emissioni nette negative. In altre parole, i nuovi titoli che saranno emessi saranno inferiori a quelli che, invece, giungeranno a scadenza. Secondo alcune stime, a fronte di € 31,4 MD di titoli di Stato che giungeranno a scadenza a novembre, ne verranno rinnovati non più di € 28 MD, mentre a dicembre, a fronte di € 10,8 che scadranno, solo 5 si rinnoveranno. Numeri certo non pazzeschi, ma comunque significativi sullo stato delle finanze di fine anno.
Peraltro, nessun “volo pindarico” e piedi ben “piantati per terra”: le tensioni sulla Legge finanziaria non sono da sottovalutare e la quasi “disperata” ricerca di fondi per finanziarla (dalle pensioni alla sanità all’Iva su alcuni generi di largo consumo) suona come un “avviso ai naviganti” sulle difficoltà che stiamo attraversando e più di “un mugugno” lo provocherà.
Apertura di settimana fiacco per le borse del Pacifico.
A Tokyo il Nikkei arretra dello 0,95%. Sulla parità gli indici Great China: a Hong Kong l’Hang Seng è sostanzialmente sui valori di venerdì, mentre Shanghai sale dello 0, 12%.
Futures positivi se entrambe le sponde dell’Oceano, con rialzi che superano lo 0,5%: questa mattina sono attesi i dati sull’inflazione in Spagna e quelli sul PIL tedesco del 3° trimestre.
Debole il petrolio, con il WTI che cede, questa mattina, l’1,50%, portandosi a $ 84,35.
Sorte analoga per il gas naturale americano, a $ 3,369 (- 3,45%).
Rompe gli indugi l’oro, che supera le “colonne d’Ercole” dei $ 2.000, facendo segnare $ 2.005.
Spread in leggera risalita, a 198 bp, con il BTP a 4,79%.
Bund a 2,83%.
Treasury a 4,87%, mentre si riduce ancora il “gap” con il rendimento del biennale, a 5,03%.
€/$ a 1,0562.
Stabile il bitcoin, a $ 34.345.
Ps: torna in Italia il Rocky Horror Show, uno spettacolo che quest’anno ha compiuto 50 anni e che molti di noi avranno visto. Un’opera ormai diventata un vero e proprio cult, con oltre 30 ML di persone che hanno assistito alle sue repliche. E pensare che al suo debutto, al London’s Royal Court Theatre, gli spettatori presenti furono soltanto 19….