1.183.623.040.864 €: ovvero 1.183 MD e spicci.
A tanto ammonta (o meglio, ammonterà) la spesa pubblica italiana messa a budget dal Governo nella Legge di Bilancio in corso di approvazione per il 2023. Circa il 60% del PIL, con un aumento di circa € 90 MD rispetto all’anno che sta per finire. Ma ben il 36% in più rispetto al 2019, l’ultimo anno “normale” (non solo per il nostro Paese, ma un po’ per tutto il mondo), quando il costo della Pubblica Amministrazione si fermò ad € 870,7 MD.
Nel frattempo, finanziarsi costa ben di più, essendo passati da una fase di tassi negativi a tassi che, su un orizzonte temporale di 10 anni, ieri si aggiravano sul 3,70%. A rendere ancora più difficile “far quadrare i conti” la necessità, per l’anno prossimo, di far ricorso al mercato per ben € 516,82 MD, vale a dire 36,47 in più rispetto a quanto previsto dalla precedente finanziaria targata Draghi. Dell’ammontare complessivo, € 410 MD sono dati dal rinnovo di titoli che giungeranno a scadenza, mentre € 105 MD circa saranno dati da nuove emissioni. Un importo simile a quanto inserito nella Legge di Bilancio 2022 (€ 110 MD), cifra che, però, si è poi ridotta grazie alle maggiori entrate fiscali derivanti dalla crescita del PIL. Quello che cambia è lo scenario di fondo, come in parte accennato: in primis a complicare la vita l’aumento dei tassi imposto dalla lotta all’inflazione. In secondo luogo, fatto che forse potrebbe incidere ancora maggiormente per chi, come noi, ha un debito pubblico ben superiore ai limiti imposti dalle regole UE (per quanto il “patto di stabilità” al momento, e anche per il 2023, sia sospeso), la decisione della BCE di mettere uno stop all’acquisto di bond “sovrani”. A cui potrebbe aggiungersi la riduzione di bilancio, cioè la reimmissione sul mercato almeno di una parte del “fieno messo in cascina” in questi anni attraverso il QE (quantitative easing).
Normale che si torni a parlare, quindi, di spending review: porre un freno alla spesa diventa un’esigenza ineluttabile. Non può, quindi, che suscitare qualche perplessità verificare che l’insieme dei “tagli” (peraltro, ad onor del vero, preparati dal Governo Draghi e fatti propri dall’attuale Presidente del Consiglio) ammonti a “ben” € 800 ML, pari cioè allo 0,068% della spesa pubblica totale.
Come ancor più evidente e attuale il tema dell’evasione fiscale, visto che, ormai noto, ogni anno sfuggono al fisco tra i 100 e i 120 MD di imponibile (cifre peraltro arrotondate per difetto). Ovvio che, in tal senso, nasca qualche dubbio su alcune norme che verranno inserite nella nuova Legge di bilancio (una per tutte, l’aumento del limite dell’uso del contante da € 1.000 a € 5.000, a cui si aggiunge aver fissato il limite per l’obbligo di accettare strumenti di pagamento come le carte (di debito e di credito) a € 60 per gli esercizi commerciali) che, posto che, come sostengono i partiti della maggioranza, non favoriscono l’evasione, senza dubbio non saranno un mezzo per combatterla.
Buone notizie sul fronte dell’inflazione: almeno in Europa, infatti, si notano i primi segni di rallentamento. Dalla Spagna alla Germania al nostro Paese i dati di questi giorni fanno intravedere una prima inversione di tendenza, grazie, soprattutto, al calo delle materie energetiche, la principale, anche se non unica, causa della lievitazione dei prezzi E’ stato calcolato, infatti, che la sua incidenza “valga” almeno il 30% del tasso di inflazione (ma in Francia si arriva addirittura al 40%).
La giornata si è aperta con l’Asia leggermente contrastata.
Alla debolezza, seppur lieve, di Tokyo (Nikkei – 0,3%), si contrappongono i mercati della Great China, con Shanghai a + 0,3% e Hong Kong con + 0,2%. Da notare che l’indice della ex colonia inglese (l’Hang Seng) si appresta a chiudere il mese di novembre con un + 24%. In Cina, invece, i primi dati di novembre evidenziano il perdurare dello stato non brillante dell’economia, con l’indice PMI manufatturiero sceso da 49,2 a 48, e con quello dei servizi piombato a 46,7 dal precedente 48,7 (ricordiamo che il limite tra economia in crescita ed economia che flette è 50).
Futures in ripresa un po’ ovunque, seppur con rialzi frazionali.
Petrolio ancora sugli scudi, con il WTI a $ 78,68 (+ 0,50%).
In flessione, invece, il gas naturale USA, a $ 7,132 (- 1,60%).
Tiene l’oro, che consolida a $ 1.769 (+ 0,24%).
Spread leggermente mosso, a 190 bp.
Rendimento del BTP a 3,81%, con il Bund a 1.91%.
Treasury a 3,72% dal 3,69% di ieri.
€/$ che non si sposta da 1,035.
Nuovo scatto del bitcoin, che, con un rialzo del 2,57%, si porta a $ 16.895.
Ps: incredibile. Non c’è altro modo per definire il viaggio di tre migranti dalla Nigeria alle Canarie. Un viaggio partito il 17 novembre e terminato il 28 novembre alle 18,27, quando sono stati tratti in salvo. 11 giorni seduti sul timone di una petroliera. Ma la cosa ancora più incredibile è che non potranno rimanere in Spagna: per la legge spagnola non sono considerati migranti come le persone che arrivano su barconi che possono affondare da un momento all’altro, ma clandestini. E quindi costretti, a spese della Compagnia che possiede la petroliera, a far ritorno nel Paese di partenza.