La giornata di ieri è la conferma più evidente di come i “market mover” possano indirizzare i mercati.
Per quanto le aspettative (di una discesa dei tassi) non cambino, i dati tedeschi hanno provocato, infatti, non solo una chiusura negativa degli indici europei, ma anche uno scatto in avanti degli spread, con i rendimenti obbligazionari in rialzo. Nel mese che sta per concludersi, i prezzi in Germania sono tornati a crescere. Peraltro, tutti gli analisti erano “sintonizzati” sul rialzo: quello che ha “spiazzato” i mercati non è l’inversione di tendenza, quanto piuttosto il fatto che la crescita sia stata superiore alle previsioni, balzando al + 2,8% rispetto al previsto + 2,7%. Una questione, certo, di decimali: ma i numeri, come ben sappiamo, sono una scienza “esatta”. Si fa presto a “far di conto”: una varianza dello 0,10% mensile, se dovesse proiettarsi a 12 mesi, vuole dire 1,2%. Una percentuale che può fare la differenza. Va precisato che gli analisti non si dicono troppo preoccupati dell’aumento, in quanto comprende gli effetti della fine degli sconti sui biglietti ferroviari nazionali, che erano stati introdotti proprio un anno fa.
Ben più importante, sulla carta, il dato, previsto per oggi, sull’inflazione europeo. Anche in questo caso dovremmo assistere ad un leggero rialzo, con stime pari ad un + 2,5%.
Comunque sia, quanto basta per riaccendere il confronto tra “falchi” e “colombe”. Tra i primi, non a caso, rientrano proprio quelli che possono essere considerati i 2 massimi banchieri tedeschi, il Presidente della Bundesbank, Joachim Nagel, e Isabel Schnabel, membro del Comitato Direttivo della BCE: entrambi non hanno perso l’occasione per mettere sul “chi va là” rispetto al rischio di una prematura decisione di riduzione dei tassi da parte della Banca Centrale Europea. Decisione che appare ormai tracciata, con la Lagarde che tra una settimana dovrebbe annunciare il tanto sospirato taglio dello 0,25%.
Ma allora, se “nulla cambia” (o dovrebbe cambiare) a livello di politica monetaria, come mai le vendite, come ieri, hanno il sopravvento?
Quello che i mercati temono non è tanto il fatto che le Banche Centrali (in questo caso la BCE) rivedano le loro scelte, quanto, piuttosto, che possano tornare ad essere particolarmente attente alla miriade di dati che vengono continuamente “sfornati”: occupazione, margini, produttività, salari, ore lavorate, vendita delle case, rilascio di mutui, indici vari (manufatturiero, servizi) etc etc. Con il rischio che, dopo l’ormai scontata riduzione del 6 giugno, le successive diventino nuovamente decise di volta in volta, trovando conferma in numeri che devono collocarsi in un range “medio”, né troppo positivi, né troppo negativi. Nel primo caso (un po’ quello che si sta verificando negli USA, dove i “segugi” sono a caccia di notizie che possono “smorzare” un (rischioso) eccesso di ottimismo) si verrebbero a creare condizioni “contrarie”, che produrrebbero effetti piuttosto negativi per i mercati; allo stesso modo, in caso di dati particolarmente pesanti per l’economia (vd “hard landing”), è vero che non ci sarebbero più remore a ridurre i tassi, ma si creerebbero condizioni difficili a livello macro, con disoccupazione destinata probabilmente ad esplodere e consumi in caduta libera.
Le preoccupazioni ieri si sono riverberate, in prima battuta, sui rendimenti obbligazionari, che sono tornati a crescere (con il BTP a 10 anni che, anche se solo per pochi minuti, nel corso della giornata è tornato sopra il 4%). Vista la “correlazione” (inversa) con gli indici azionari, il passo è stato breve, con il classico “caso di scuola” che si è rinnovato: rialzo dei rendimenti obbligazionari, ribasso delle borse. Peraltro, non essendo successo nulla di così eclatante (anche a livello geopolitico, per quanto, sotto alcuni aspetti, le tensioni sembrano crescere – vedi il “via libera” di alcuni Paesi ad usare le armi fornite all’Ucraina per attacchi sul territorio russo, piuttosto che, in Medio Oriente, i continui bombardamenti israeliani sugli accampamenti di Rafah, con centinaia di migliaia di palestinesi “chiusi in gabbia”, seppur a cielo aperto), le reazioni sembrano essere quasi le “solite” prese di beneficio di chi preferisce alleggerire le posizioni (non va dimenticato che, da parte delle grandi Banche d’affari e delle Case di Investimento, in queste settimane si è arrivati ad un livello di liquidità vicino al 4%, una soglia ritenuta molto bassa, sotto la quale è difficile andare – le società devono “tenere” una “scorta” per poter far fronte a riscatti improvvisi).
Ieri sera Wall Street si è “adeguata” ai ritmi europei: Dow Jones – 1,06%, Nasdaq – 0,58%, S&P 500 – 0,74%.
I ribassi proseguono anche questa mattina in Asia: a Tokyo il Nikkei arretra dell’1,30%, con la Bank of Japan che ha confermato che, nei prossimi mesi, dovrebbe continuare la propria politica di (moderato) rigore.
A Hong Kong l’indice Hang Seng perde circa l’1,60%, mentre Shanghai scivola dello 0,63%.
Negativo anche il Kospi di Seul, in calo dell’1,3%.
Futures che tracciano indicazioni negative anche per la giornata che sta per aprirsi, con gli indici europei (eurostoxx) a – 0,34%, mentre a New York si va dal – 0,51% del Russell 2000 al – 0,94% del Dow Jones.
Petrolio in leggero ribasso nei primi scambi, con il WTI a $ 79,03, – 0,37%.
Gas naturale Usa a $ 2,658, – 0,41%.
Più pesante il calo per l’oro, che “scala” a $ 2.352, – 0,59%.
Spread a 131,9 bp, con il BTP vicino al 4%.
Bund al 2,68%.
Treasury Usa 4,6% (chiusure di ieri 4,624%).
€/$ 1,0794, con il $ in lieve rafforzamento.
Ps: sabato prossimo si disputerà la finale di Champions, che potrebbe portare la 15° Coppa al Real Madrid. Intanto possiamo dire che il Real continua a vincere, almeno per quello che riguarda la classifica delle società con il maggior valore. Infatti è tornato al 1° posto (dopo una breve parentesi da parte del Manchester City) in termini di enterprise value, superando l’incredibile cifra di $ 5 MD (5.097 ML). La prima società (calcistica) italiana è la Juventus, al 12° posto, con $ 1.702 ML, seguita da Milan (13°, $ 1.436 ML) e Inter (14°, $ 1.424 ML).