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“Primum vivere deinde philosophari” è una famosa citazione latina il cui significato sostanzialmente è “prima si pensi a vivere, poi a fare filosofia”. La frase, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non ha origini nell’antica Roma, ma la si deve ad un filosofo inglese (Thomas Hobbes, vissuto nel XVII secolo), e vuole, evidentemente, essere un richiamo alla concretezza piuttosto che a discussioni che non portano a nulla. Quello che i cittadini di tutto il mondo si aspettano da chi è chiamato a guidare il proprio Paese, a prescindere dalle idee politiche.

In diversi oggi, leggendo le notizie che appaiono sui quotidiani, ancor di più di altri giorni, probabilmente avranno un sussulto e ricorderanno quel modo di dire.

Il nuovo rapporto di Bankitalia sulla ricchezza delle famiglie italiane, infatti, lascia poco spazio alle interpretazioni. Per quanto sia riferito alla fine del 2022 (è probabile che il prossimo, relativo al 2023, possa essere migliore, visto qual è stato l’andamento dell’anno che si è appena concluso), emerge, infatti, che la ricchezza, a livelli di nuclei famigliari, è diminuita del 12,5%. A livello nominale la diminuzione risulta essere pari ad un modesto 1,7%, che con “l’effetto inflazione” si traduce in una ben più grave percentuale. Ecco, quindi, che la ricchezza privata, nel suo complesso (comprendendo, pertanto, tutte le asset class, da quelle finanziarie a quelle immobiliari), si riduce a € 10.421 MD, corrispondenti a circa € 176.000 pro-capite, con un rapporto tra ricchezza netta e reddito lordo che scende all’8,1% dal precedente 8,7%, tornando ai valori del 2005. A sostenere i valori in principale modo le attività immobiliari, che costituivano, a fine 2022, circa il 46% (46,3) del patrimonio finanziario, mentre le attività finanziarie sono risultate in calo del 5,2% (causa da ricercare, come molti ricorderanno, in un anno tra i più difficili della storia recente). Se lo confrontiamo a quello di altri Paesi sviluppati, ci accorgiamo che molti sono davanti a noi: escludendo gli Stati Uniti, “fuori portata” per tutti (siamo a circa € 400.000 pro-capite), siamo dietro al Canada (€ 270.000), oltre che a Francia, Germania e Regno Unito, tutti intorno a € 200.000.

In compenso sono aumentate le passività finanziarie (mutui, prestiti), a causa dei maggiori oneri dovuti all’aumento del costo del denaro e anche ad un maggior ricorso al debito.

Si può ben comprendere in cosa si traducono alta inflazione, costo del denaro, stagnazione dell’economia, aumento del debito pubblico. Temi che, spesso, sembrano lontani dal “quotidiano”, ma che impattano sempre e comunque sulla nostra qualità della vita.

L’alta inflazione erode giorno dopo giorno il potere d’acquisto, e neanche in maniera uniforme, colpendo molto di più i redditi più bassi.

Allo stesso modo, l’aumento del costo del denaro ha portato in molti casi a rendere il debito quasi insostenibile per molte famiglie, con rate di mutuo spesso raddoppiate, con la necessità di attingere ai risparmi di una vita.

La bassa crescita, poi, è un ulteriore fattore che aumenta la precarietà, facendo pensare al futuro con poca tranquillità.

E il debito pubblico, come ben sappiamo, è un macigno che toglie risorse che sarebbero indispensabili per assicurare i servizi che aiutano a vivere meglio.

Non passa giorno in cui non si parli del “turning point” in merito ai tassi: al momento, cioè, in cui le Banche Centrali daranno inizio al taglio dei tassi. Un momento senza dubbio fondamentale, che potrebbe dare un impulso alla crescita.

Ma ritenere che la politica monetaria (peraltro di competenza delle Banche Centrali) sia sufficiente per cambiare veramente le cose, oltre che illusorio, sarebbe piuttosto grave. Soprattutto per Paesi come l’Italia, in cui, come a tutti noto, tra le tante problematiche che ci troviamo ad affrontare, una, più di tutte, deve far riflettere: siamo quello in cui la crisi demografica è più drammatica, con una popolazione ogni anno in diminuzione e ogni anno più vecchia. E senza giovani non c’è futuro.

Ieri sera ennesima seduta record a Wall Street, con tutti gli indici in rialzo: il Nasdaq ha chiuso ai massimi di giornata (+ 1,01%), il Dow Jones a + 0,59%, mentre lo S&P 500 ha fatto registrare + 0,76%, portandosi ad un passo dai 5.000 punti.

Deboli, invece, questa mattina, ancora una volta gli indici cinesi, sotto la “zavorra” della messa in liquidazione di Evergrande, sommersa da $ 300 MD di debiti.

Shanghai arretra dell’1,83%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng cede oltre il 2% (- 2,41%).

Si salva Tokyo, che si appresta a chiudere poco sopra la parità (+ 0,11%).

In progresso anche Seul (Kospi + 0,3%) e l’Australia, con l’indice S&P AX200 all’ottavo rialzo consecutivo.

Futures ovunque frazionalmente negativi, con ribassi entro lo 0,20%.

Leggero assestamento per il petrolio, con il WTI a $ 77,05.

Gas naturale USA che cerca di allontanarsi dalla “barriera” di € 2 (2,068, + 0,49%).

Oro a $ 2.053 (+ 0,33%).

Scende sotto i 150 bp lo spread (149,3).

In recupero il BTP, con il rendimento a 3,72% dal precedente 3,81%.

Bund 2,23%.

Treasury più vicino al 4% (4,07%).

Ulteriore apprezzamento del $, vicino a 1,08 vso  € (1,0817).

Ancora su il bitcoin, giunto al 5° mese consecutivo di rialzo ($ 43.417).

Ps: grande spazio, su tutti i giornali, all’affermazione del carabiniere che, durante la manifestazione di domenica a Milano, ha dichiarato che non riconosce come “suo” Presidente Sergio Mattarella (peraltro, in quanto Capo dello Stato, a capo delle Forze Armate, in cui rientra l’Arma dei Carabinieri). La cosa, peraltro, che colpisce ancor di più è lucidità dell’anziana signora che gli rivolge le domande, che, alla risposta del militare, gli chiede: “ma lei di che Paese è?”- Per inciso, la signora ha 95 anni.

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ultimo aggiornamento: 30-01-2024


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