Si è chiuso venerdì un 1° semestre che non è esagerato definire “trionfale” per diversi mercati, che, a livello globale, hanno fatto segnare un più che confortante + 13%.
A fare la parte del “leone” il Nasdaq, che, con un rialzo di oltre il 30%, fa segnare la progressione più alta da oltre 40 anni: per vedere numeri simili, infatti, bisogna risalire al 1983. Va peraltro detto che l’aumento del principale indice tech al mondo non è omogeneo: gran parte del risultato arriva grazie alle performance delle “big five”, a cui si bisogna aggiungere Nvidia, vera star dei primi sei mesi, con un rialzo “monstre” si oltre il 175% che ha portato la capitalizzazione a superare i $ 1.000 MD. Numeri lontanissimi, peraltro, “dall’astronave” Apple: dopo l’ennesimo allungo di venerdì, con il titolo che ha chiuso a oltre $ 190, il valore della “mela” è tornato a superare i $ 3.000 MD. Più del PIL della Francia…
Da segnalare, dopo decenni di anonimato, la crescita del Nikkei: il principale indice giapponese ha fatto segnare un rialzo del 27%. Quasi un paradosso: dopo anni di deflazione, con i prezzi che, da un anno all’altro, continuavano a scendere, il rialzo di Tokyo arriva in concomitanza del ritorno dell’inflazione, che ha si posiziona al + 3,5%.
Il nostro indice MIB, con una crescita di oltre il 19%, è il migliore in Europa, tornando a livelli che non si vedevano dal 2008, prima dello scoppio della crisi della Lehman Brothers, distanziando non di poco gli altri listini (Madrid + 16.5%, Francoforte + 15,98%, Parigi + 14,31%). Lontanissima Londra, con un impercettibile + 1%.
Normale, quindi, chiedersi se si tratti di un “fuoco di paglia” oppure di una vera e propria svolta, in grado di dare il via ad una nuova fase per i mercati.
Contrastanti i pareri degli economisti, divisi, tra è convinto che il peggio sia alle spalle e chi, invece, ritiene che le nubi possa sfociare in nuove abbondanti “piogge”.
Indubbiamente, ad oggi, i timori di una recessione sono stati tenuti a bada da numeri migliori delle attese.
Negli Usa la crescita dell’economia è stata rivista al rialzo dopo gli ottimi risultati del 1° trimestre (+ 2%), con livelli occupazionali vicini ai massimi storici (per quanto si intraveda qualche primo segnale di debolezza).
In Europa si notano, invece, differenze piuttosto consistenti tra le varie economie, con la Germania che continua a soffrire, mentre Paesi come l’Italia continuano a stupire gli osservatori: a fronte di una finanza pubblica in “debito di ossigeno”, a cui si aggiungono i clamorosi ritardi (e le polemiche) sul PNRR e le contrapposizioni con l’Europa sul MES (con il voto finale che ormai è certo verrà procrastinato di altri 4 mesi, isolando sempre di più l’Italia), il nostro PIL continua a dare segnali di forza. Confortano anche i dati sull’occupazione, con un tasso di occupazione del 61,2%, mai così alto dal 2004, con gli occupati che superano i 24 ML di unità (23.471.000) e il tasso di disoccupazione che scende al 7,6% (anche se il dato sulla disoccupazione giovanile rimane tra i più alti in Europa, dove siamo superati solo da Grecia e Spagna). Regredisce anche l’occupazione femminile, che scende al 52,1%, 18 punti al di sotto di quella maschile (70,3%).
A preoccupare maggiormente, ancora e sempre, l’inflazione.
A giugno la media UE è stata del 5,5%, in calo dal 6,1% di maggio. Un dato a prima vista positivo, ma che, in realtà, conferma principalmente 2 cose.
La prima che il calo è dovuto principalmente alla discesa dei prezzi dell’energia, in fortissimo calo in questi mesi. Se guardiamo, infatti, all’inflazione core (che, oltre all’energia, comprende i prezzi alimentari), notiamo come siamo ben più alta (6,8%) e, soprattutto, come la discesa sia sempre lenta (6,9% a maggio).
La seconda, come i numeri ben evidenziano, come il livello sia ben superiore all’obiettivo “target” del 2%, la “confort zone” definita dalle Banche Centrali. Banche Centrali che (BCE in testa), di fronte a questo scenario, ben difficilmente modificheranno i loro schemi, continuando ad aggiornare i tassi anche questo mese.
Rimane, sullo sfondo, la crisi della Cina, che al momento non sembra in grado di risollevarsi dalla “gelata” del Covid e che, secondo molti, anche quest’anno farà fatica a raggiungere gli obiettivi di crescita, fissati al 5%, con l’attività manufatturiera, da sempre il principale contributore della crescita, che rimane al di sotto dei 50 punti dell’indice PMI.
Il secondo semestre si apre in continuità con il primo.
Questa mattina tutti gli indici del Pacifico segnalano “tempo sereno”, con tutti gli indici in forte crescita: a Tokyo il Nikkei fa segnare + 1,59%, in Cina Shanghai + 1,22%, a Hong Kong l’Hang Seng al momento segna + 1,81%.
Andamenti simili a Seul (Kospi + 1,4%) e Taiwan (+ 1%).
Futures al momento intorno alla parità su entrambe le sponde dell’oceano (oggi Wall Street chiuderà in anticipo le contrattazioni in vista della festa dell’Indipendenza del 4 luglio).
Petrolio con qualche timido segnale di ripresa, con il WTI che “aggancia” nuovamente quota $ 70 (70,46).
Gas naturale Usa a $ 2,715 /- 3,07%).
Oro a $ 1.923,50.
Spread a 163,7 bp, con il BTP che riparte da 4,07%.
Bund a 2,39%.
Treasury a 3,83%.
€/$ appena sotto 1,090 (1,089).
Rimane sotto i $ 31.000 il bitcoin (30.628) dopo che venerdì la SEC ha “rimandato” la richiesta di Black Rock sui prospetti di un paio di ETF sulla criptovaluta, richiedendo dei chiarimenti.
Ps: la Ferrari, si sa, è forse (insieme alla Ferrero), uno dei marchi italiani più noti al mondo. Le delusioni sportive (l’ultima vittoria nel mondiale piloti risale al 2015, una vita fa), sembrano non intaccarne il prestigio. Che, anzi, sembra crescere di anno in anno, con una produzione industriale che va letteralmente “a ruba”. Come, puntualmente, è successo con l’ultimo modello, la SF90XX, prodotta in 2 categorie: la SF90XX stradale e la SF90XX spider. La prima prodotta in 799 esemplari (costo € 770.000), la seconda in 599 (costo € 850.000). Entrambe già tutte prenotate e vendute.