Il trimestre che si è concluso venerdì scorso ha confermato la voglia di lasciarsi alle spalle il difficile 2022.
In altri momenti, probabilmente, “l’abbinata” aumento dei tassi (le Banche Centrali non hanno perso occasione di ricordarci che la loro “battaglia” all’inflazione non è terminata e che continueranno a non arretrare di un millimetro sin quando non vedranno la spirale dei prezzi tornare in modo chiaro verso il tanto atteso “obiettivo target” del 2%) e rischio bancario “sistemico” avrebbe riportato, quasi certamente, i mercati in una nuova fase negativa (considerando il fatto che è vero che l’inflazione è scesa, ma che, come ci hanno confermato i dati pubblicati venerdì, rimane a livelli ancora troppo elevati per “cantare vittoria”).
L’andamento delle principali piazze mondiali e le performances di vari asset indicano se non un diffuso ottimismo almeno una stabilità rassicurante.
L’incremento maggiore appartiene ai mercati azionari, con alcuni indici che hanno chiuso il 1° trimestre in “doppia cifra”. A “tirare la volata”, quasi a sorpresa, il Nasdaq: il listino tecnologico, dopo essere stato, nel 2022, il peggiore, ha dato (e sta dando) confortanti segnali di ripresa. In 3 mesi ha recuperato il 15%: la sensazione, molto diffusa tra gli osservatori, che la FED oramai sia vicina al picco, con qualcuno che si spinge ad ipotizzare che già verso la fine dell’anno potremmo assistere ad un ritocco “all’ingiù”, ha spinto molti operatori ad “anticipare” la fase di mercato. E’ noto che il settore tech, “assorbendo” molta cassa (come ci ha confermato il caso della Silicon Valley Bank), è quello che “paga” il prezzo maggiore quando i tassi salgono: nel trimestre gennaio-marzo, pur di fronte ai nuovi rialzi, che hanno portato i tassi Usa a toccare il 4,75/5%, le quotazioni sono salite, nella convinzione che i corsi azionari cresceranno in maniera ancora più decisa quando le politiche monetarie di maggior rigore si concluderanno. Va detto, peraltro, che le quotazioni hanno già raggiunto quotazioni non “a buon mercato” (lo S&P 500 “gira” a 18 di rapporto “prezzi-utili”), cosa che dovrebbe consigliare una certa prudenza. Sempre in termini di performance, molto bene ha fatto il nostro indice MIB, che ha chiuso a + 14,37%. A seguire Parigi e Francoforte, anche loro ben sopra il 10%, mentre più lontani sono Tokyo, lo S&P e Hong Kong.
Anche il mercato obbligazionario ha dato segnali di buona forza. Mediamente le obbligazioni europee hanno recuperato il 2%, mentre negli Usa la salita dei prezzi è stato del 7%, “schiacciando” i rendimenti.
Analizzando i titoli governativi, tornati, ovunque, ad essere piuttosto attrattivi, visti rendimenti assolutamente impensabili 1 anno fa, il Treasury Usa è passato dal 3,9% di inizio anno all’attuale 3,5%, il bund tedesco dal 2,6 al 2,3%, mentre il nostro BTP, al 4,7% ad inizio anno, venerdì trattava intorno al 4,1%.
Bene anche l’oro, arrivato anche a toccare i $ 2.000, partendo dai circa $ 1.820 di inizio anno.
“Esplosivo” il bitcoin, cresciuto di ben il 72%, anche se ancora molto lontano dai massimi (siamo a circa $ 28.000, per arrivare a $ 65.000 la strada è ancora piuttosto lunga).
Tutto bene quindi?
I numeri direbbero di sì, premiando il “risk on” (la predisposizione al rischio) degli investitori e facendo vedere il “bicchiere mezzo pieno”: che l’atteggiamento aiuti (in genere, non solo i mercati) è fatto noto, richiamando alla mente anche teorie “filosofiche” quali le “profezie che si autodeterminano”. Ma continuare in un atteggiamento di prudenza, mantenendo alta l’attenzione, potrebbero rivelarsi la scelta migliore.
Non tutte le nubi sembrano essere dissolte. Dei tassi si è già detto: che ormai siamo vicini al “pivot” è certo. Ma da qui a dire che entro l’anno comincerà la discesa ce ne corre: “giocare” troppo d’anticipo potrebbe cioè rivelarsi una mossa quasi azzardata.
Rimane, poi, il tema che, almeno per qualche giorno, un po’ di certezze le ha fatto vacillare: la nuova, per quanto, già arginata, crisi bancaria ci ricorda quanto i sistemi finanziari ed economici siano tra loro connessi e come, di conseguenza, le vicende di una remota banca californiana possano impattare su una realtà lontana migliaia di km. Figuriamoci quando si parla di banche più “sistemiche” e inserite in un contesto ben più prossimo al nostro. Di certo, per quanto passeggera, la crisi dei giorni scorsi ha nuovamente fatto alzare l’attenzione, non solo degli investitori, ma anche dei “regolatori”: e questo, a ben vedere, ha una forte valenza positiva.
In ultimo, si è notato il ridimensionamento del $, con l’€ che si è portato ormai stabilmente nella “forchetta” compresa tra 1,05 e 1,10. Contribuendo, Tojkypquindi, al calo dell’inflazione (almeno per ora: il rischio, infatti, è che alcuni prezzi salgano per “recuperare” il gap causato dalla perdita di valore della moneta di riferimento per l’energia).
La settimana che inaugura il 2° trimestre si apre con i mercati asiatici leggermente contrastati.
Ben comprati a Tokyo il Nikkei (+ 0,58%) e, in Cina, lo Shanghai composite (+ 0,78%), mentre rifiata, ad Hong Kong, l’Hang Seng (- 0,21%).
Deboli, in avvio, i futures (appena sotto la parità in Europa, un po’ marcata la discesa in Usa, con il tecnologico a – 0,65%).
Forte balzo del petrolio, in rialzo di oltre il 5% dopo l’annuncio a sorpresa dell’Opec+ di tagliare la produzione, a partire dal mese prossino, di circa 1 ML di barii giorno: WTI a $ 79,70.
In caduta libera il gas naturale Usa, che perde oltre il 6,50% ($ 2,076).
Oro a $ 1.973,90, – 0,70%.
Spread a 179,7, con il BTP al 4,08%.
Treasury a 3,51%.
€/$ a 1,0814.
In calo il Bitcoin, che si allontana dai $ 28.000 (27.712,4°.- 1,69%).
Ps: nelle ultime settimane si parla molto, in Italia, della maternità surrogata. Tema delicatissimo e pericolosissimi, visti i risvolti, in primo luogo, etici e comportamentali che sono alla base della scelta. Un pratica che si presta a contrapposizioni molto forti tra chi è favorevole e chi è contrario. Tra i principali elementi di contrasto i risvolti finanziari. Si calcola che il valore della sua pratica, nel mondo, riferita al 2022, sia stato pari a oltre $ 14 MD. Ma quello che fa riflettere è che, in dieci anni, possa arrivare a ben $ 129 MD, che poco si concilia con l’amore per i figli che è alla base di qualsiasi concepimento.