Direttore: Alessandro Plateroti

Come paventato, i mercati non hanno tardato a dire come la pensano sull’impostazione della futura Legge finanziaria. Leggere che il debito pubblico italiano (un macigno di € 2.859 MD) da qui a 3 anni arretrerà di soli 6 decimali certamente non li rassicura, anche perché, come già scritto, lo scenario di riferimento ipotizzato è il “best case”, vale a dire tiene conto di stime più positive di quanto previsto, invece, dagli organismi europei. Motivo per cui abbiamo assistito, durante la giornata, ad una salita dello spread sino a 201 bp, quota da cui poi è sceso grazie soprattutto a condizioni di mercato in rapido cambiamento, durante la giornata, per quanto riguarda le quotazioni del petrolio e l’andamento del $.

Peraltro, si sta diffondendo una certa diffidenza nei confronti del nostro Paese: ne è conferma un articolo apparso sul Financial Times in cui si asserisce che, per l’ennesima volta, l’Italia si trova ad essere “l’anello debole” dell’Europa, arrivando a scrivere che “il mercato obbligazionario europeo è colpito dai piani di aumento del debito dell’Italia”. Affermazione, peraltro, non del tutto corretta: il nostro Paese, infatti, non è certo l’unico a trovarsi con un deficit maggiore del previsto. Tralasciando i Paesi con economie non così forti (Belgio, Slovenia, Slovacchia, etc), possiamo notare che la Francia arriva quasi al 5%, mentre la Spagna si ferma al 4,1% e la Germania, forte di un debito pubblico tra i più bassi in termini di rapporto debito/PIL non supera il 2,3%.

Ma le cose vanno ancora peggio per gli Stati Uniti, dove il deficit rischia di arrivare addirittura all’8% (proprio in questi giorni, ancora una volta, democratici e repubblicani sono chiamati a trovare un accordo per evitare l’ennesimo “shotdown”).

Numeri più che sufficienti a motivare il rialzo generalizzato di spread e tassi di queste ultime settimane.

I rendimenti dei titoli tedeschi, il “glorioso” bund, ormai è ad un passo del 3%, soglia emotivamente molto importante. In Francia gli Oat sono al 3,5%, massimo dal 2011. I “gilts” britannici sono al 4,5%. E negli USA il Treasury è al 4,58%, quando non più tardi di questa primavera era al 3,20%.

In un contesto simile, è evidente che i Paesi più indebitati subiscano una pressione (dei mercati) esponenzialmente maggiore. Nel nostro caso aggravata dal fatto che nel 2024 dovremo fronteggiare emissioni di titoli a lungo termine per quantitativi più elevati rispetto all’anno in corso, con il costo medio del debito, quindi, destinato ulteriormente ad aggravarsi (a subire i rialzi più importanti, infatti, è la parte “lunga” della curva, vale a dire, appunto, le emissioni a medio-lungo termine, mentre quelle a più breve scadenza sotto al riparo).

Ma gli “esami” per noi non finiscono qui. Da qui a metà novembre, infatti, 3 tra le maggiori società di rating (Standard & Poor’s il 20 ottobre, Fitch il 10  novembre, Moody’s il 17 novembre) saranno chiamate ad esprimere il loro giudizio sul debito italiano, confermando o meno i livelli attuali (particolarmente atteso quello di Moody’s, il cui “outllook” è negativo).

La marcia indietro del petrolio e del $ ieri ha favorito la chiusura positiva di Wall Street.

Questa mattina forte rimbalzo per l’Hang Seng di Hong Kong sulle voci di un riavvicinamento diplomatico tra Cina e Usa, che starebbero lavorando ad un prossimo viaggio del Presidente Xi Jinping a Washington.

In rialzo anche Shanghai (+ 0,10%), mentre a Tokyo il Nikkei è appena sotto la parità.

Salgono gli indici europei, mentre anche a Wall Street i futures sono ben impostati, con rialzi vicini al mezzo punto percentuale.

Petrolio vicino ai prezzi di chiusura si ieri, con il WTI a $ 91.9.

Gas naturale Usa vicinissimo ai $ 3 (2,958).

Recupera l’oro, che si porta a $ 1.889.

Spread sui valori di ieri (192,9 bp), con il BTP a 4.85%.

Bund a 2.93%.

Treasury a 4,59%, 10 bp in meno rispetto ai massimi di ieri.

Continua il recupero dell’€, a 1,0595 vso $.

Riprende quota il bitcoin, che torna a superare i $ 27.000.

Ps: si sa che uno dei più grandi problemi, se non il maggiore, del nostro Paese è lo sviluppo demografico. Ci arrivano, dall’Istat, previsioni piuttosto che lasciano poco spazio alla fantasia. Da qui al 2030 la popolazione residente dovrebbe diminuire di 1 altro milione, scendendo a 58,1 ML. Nel 2050 le persone con 65 anni e oltre saranno il 34.5% della popolazione. Nel 2080, i residenti nelle regioni del mezzogiorno scenderanno a 11,9 ML, dai 19,9 Ml del 2022. 9,8 ML di individui, nel 2042, vivranno da soli (8,4 ML nel 2022). Le coppie con figli saranno, sempre nel 2042, il 25,3% (31,9% nel 2022). Meglio fermarsi qua….

Riproduzione riservata © 2024 - EFO

ultimo aggiornamento: 29-09-2023


Previsioni economiche del 28 settembre: il giudizio dei mercati.

Previsioni economiche del 2 ottobre: pagelle.