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Direttore: Alessandro Plateroti

Previsioni economiche del 29 novembre: imprevedibilità.

Bandiera americana

Attaccare sempre, negare tutto, non ammettere mai una sconfitta.

Queste, almeno stando a The Apprentice, il film su Donald Trump, 3 regole d’oro che il suo avvocato, Roy Cohn, cerca di inculcargli (a quanto pare ci è riuscito molto bene…).

Ovvio che, con un personaggio simile, il dialogo non è sempre facile. Ed anche per questo ha necessità di circondarsi di persone che più che collaboratori si possono definire “yesman”, che mai oseranno opporsi alle sue decisioni: sanno bene che, nel momento lo facessero, sarebbero immediatamente “fuori”.

Queste caratteristiche fanno sì che “capire” il personaggio non sia opera semplice: l’ostentato, spesso, disprezzo delle regole (fissate dagli altri), assoggettando quelle di tutti alle sue, il voler mettere “tutti in riga”, il presentarsi al tavolo dei negoziati sempre con una “pistola fumante”, con un atteggiamento quasi da Marchese del Grillo, il famoso personaggio interpretato da Alberto Sordi, fanno sì che il dialogo con lui sia piuttosto complesso.

Certamente il mondo deve prepararsi a tutto e al contrario di tutto, con notizie che durano il tempo di uno starnuto: vedi (e siamo ancora “nell’interregno” che precede il suo ingresso, che non sarà certo in punta di piedi, alla Casa Bianca) la notizia sui dazi del 25% a Messico e Canada, annunciati un paio di giorni fa e già rientrati dopo aver parlato con i Presidenti dei 2 Paesi).

La questione, evidentemente, non è solo “politica”, qualificando, come più volte ricordato, le relazioni tra gli Stati Uniti e gli altri Paesi (che farebbero bene a definire, soprattutto quelli europei, strategie comuni per non trovarsi “schiacciati” dall’egemonia “a stelle e strisce”), ma anche, anzi forse soprattutto economica.

Indubbiamente gli USA partono da una situazione di forza, con un’economia che tutt’ora non dimostra particolari segni di cedimento, mantenendo una “traiettoria” piuttosto solida, anche se l’OCSE stima una crescita, per il 2025, che dovrebbe ridursi intorno al 2% rispetto al 2,8-3% previsto per quest’anno. La sensazione è che Trump possa utilizzare l’arma “non convenzionale” dei dazi per “spaventare il nemico” più che volerla effettivamente utilizzare, sapendo bene che un conto è “mettere nel mirino” una singola economia, un altro è “mettersi contro il mondo”: cosa, quest’ultima, che potrebbe portare i vari Paesi a coalizzarsi, rendendo difficile la vita a chi ha deciso di imporre le tariffe.

Siamo quindi nella fase in cui anche i mercati cercano di comprendere le mosse future.

Dopo la reazione al voto, con gli indici americani “galvanizzati” dalla vittoria del tycoon, considerato un “amico”, se non altro per la sua natura imprenditoriale, mentre i mercati obbligazionari hanno iniziato a scontare le preoccupazioni derivanti da una spesa pubblica (e da un deficit) fuori controllo per i prossimi anni, con un aumento dei rendimenti, siamo ora in una fase di minor euforia. Cosa “buona e giusta”, verrebbe da dire, in cui un peso lo hanno anche i “fondamentali”, in attesa che si possa meglio comprendere quali saranno le mosse della nuova Amministrazione una volta assunto il mandato.

Proprio guardando al “valore” delle quotazioni, possiamo trarre qualche indicazione (come, peraltro, il mercato ha già cominciato a comunicarci).

Per esempio, rimanendo sull’altra sponda dell’oceano, è probabile che le società di piccola – media capitalizzazione (che negli Usa sono migliaia), rappresentate dall’indice Russell (a sua volta declinato in Russell 1000, 2000, 3000, in base al numero di società che lo compongono) possano crescere di più rispetto alle “large CAP”: basti pensare che le 8 società a più grande capitalizzazione “girano” con multipli (p/e) di 29. Lo S&P 500, invece, “gira” a 22, “ratio” comunque elevato. Le mid – small cap girano a 17, livello che le rende indubbiamente più “appetibili”. Senza tener conto che saranno le maggiori destinatarie, se dovesse passare, della norma che ridurrebbe al 15% la tassazione a carico delle imprese che producono i loro beni negli stabilimenti ubicati sul territorio americano, oltre al fatto che sempre queste società beneficeranno più delle maggiori della riduzione di tassi, avendo loro un livello di indebitamento spesso piuttosto elevato, mentre le “large cap” il più delle volte non hanno l’esigenza di ricorrere al debito.

A “soffiare” sul vento che spinge Wall Street, poi, potrebbe essere l’annunciata nomina di Scott Bessent a Segretario al Tesoro: una candidatura che “piace”, in primo luogo perché si tratta di un personaggio ritenuto all’altezza, in considerazione della sua esperienza (tra le altre cose ha fondato, nel 2015, un Hedge Fund – Key Square – in grado di raccogliere oltre $ 5 MD) e del fatto che ha detto di voler ridurre il deficit dall’attuale 7% ad un ben più gestibile 3%.

Dopo la chiusura di ieri per il Tanksgiving, riapre oggi, anche se per mezza giornata, Wall Street.

Questa mattina i mercati del Pacifico si muovono, ancora una volta, a velocità doppia: debole, a Tokyo, il Nikkei (- 0,37%), mentre crescono sia Shanghai (+ 0,93%) e, a Hong Kong, l’Hang Seng (+ 0,15%).

Ad incidere le voci di nuovi stimoli che il Governo e gli organismi monetari si accingerebbero a varare per sostenere la crescita.

Ancora in calo la borsa di Seul, con il Kospi in calo dell’1,95%, che porta la discesa del mese al 6,2%.

Taiex Taiwan appena sotto la parità (– 0,16%, mese – 2,90%).

Apertura positiva per Mumbai (+ 0,81%).

Futures positivi a Wall Street (+ 0.3/0,7%), leggermente negativi in Europa.

Petrolio poco mosso, con il WTI a $ 68,83.

Gas naturale Usa $ 3,32, + 3,43%.

Oro in rialzo, a $ 2.687, + 0,77%.

Spread a 122 bp.

BTp al 3,35%, minimi di periodo.

Bund 2,13%.

Treasury Usa ancora in discesa, al 4,22%.

€/$ a 1,059, con l’in ulteriore, leggero apprezzamento.

Bitcoin che “viaggia” di nuovo verso i $ 100.000 (97.475).

Ps: forse il testo più famoso di John Maynard Keynes, uno dei maggiori economisti dell’era moderna, è “Le conseguenze economiche della pace”: un trattato piuttosto critico verso la Conferenza di pace di Versailles del 2019, in cui in vincitori della guerra avevano definito condizioni, secondo Keynes, molto onerose per la Germania (che infatti negli anni successivi visse una crisi tremenda, che apri le porte al nazismo). Ma, guardando, per esempio, alle vicende medio-orientali potremmo benissimo dire che le conseguenze economiche della guerra (da cui, peraltro, discendono quelle sulla pace, una volta che le guerre finiscono) sono altrettanto gravi. Per esempio, l’economia, già misera, della Palestina, si è contratta, l’anno scorso, del 5,4%, mentre quest’anno è tracollata del 17,1%. La disoccupazione arriva a toccare il 50%, ma nella sola Gaza ha punte dell’80%. I danni, secondo la Banca Mondiale, ammontano a $ 18,5 MD, cifra elevatissima per quella economia, con quasi 300.000 abitazioni distrutte. E non va molto meglio in Libano, anche se l’armistizio di questi giorni lascia spazio alla speranza: in questo Paese si stima che l’economia cali, quest’anno, del 9%, con un livello di disoccupazione di oltre il 32%. Ulteriori buoni motivi per fare scoppiare la pace.

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ultimo aggiornamento: 29 Novembre 2024 8:42

Previsioni economiche del 28 novembre: l’arte della politica.