Il PIL di un Paese (quindi la ricchezza prodotta ogni anno) misura il valore dei beni e dei servizi prodotti. Comprende, quindi, tutte le attività economiche che si realizzano in un determinato Paese, vale a dire la produzione di beni e servizi, la spesa per consumi delle famiglie, gli investimenti delle imprese, la sommatoria dei redditi dei lavoratori e i profitti realizzati dalle imprese.
Suddividendo il PIL totale per il numero dei residenti si ottiene, evidentemente, il PIL pro-capite.
In questa speciale classifica l’Italia si piazza, a livello mondiale, tra il 28° e il 30° posto, con circa $ 34.000 pro-capite (intorno al 15° se consideriamo l’Europa nella sua interezza geografica).
Una fotografia, quella del PIL, che, peraltro, non sempre offre una immagine “reale” delle condizioni in cui ci si trova, vuoi per le differenze, a volte profonde, tra una regione ed un’altra (basti pensare, nel nostro caso, ad alcune province del Nord confrontate ad altre del Sud) piuttosto cheper classi sociali, con una grande concentrazione, spesso, in poche mani di grosse “fette” di ricchezza.
Senza contare, poi, un altro fattore, vale a dire la “ricchezza reale”, vale a dire quella che si ottiene “neutralizzando” l’inflazione: non a caso l’Italia è il Paese, limitando lo sguardo all’Europa, in cui il “reddito reale” dei lavoratori è rimasto più indietro, non avendo ancora recuperato i livelli degli anni 90. Basti pensare che mentre noi siamo rimasti “al palo”, negli ultimi 30 anni la crescita del reddito reale nei Paesi Ocse è stata pari al 32,5%.
E’ chiaro che, in un contesto del genere, per le famiglie italiane è sempre più difficile, di anno in anno, mantenere inalterato il livello dei consumi, una delle voci più importanti, come detto più sopra, per la composizione del PIL.
La conferma ci arriva da uno studio della Confcommercio, che distingue tra “spese obbligate” e “spese commercializzabili, a loro volta distinte tra quelle per beni e quelle per servizi.
Le prime sono quelle “incomprimibili”, vale a dire tutte quelle che si rendono necessarie per “tirare avanti”, pari a circa il 42% del reddito (erano il 36,6% nel 1995). “Lì dentro” troviamo tutto ciò che riguarda la spesa per l’affitto di casa, le utenze, i carburanti, le spese mediche, le assicurazioni. Un aumento, in termini percentuali, del 122,7% rispetto a quanto si spendeva nel 1995.
Ovvio che, in presenza di una situazione simile, ad essere penalizzati sono le spese commercializzabili, la sommatoria, cioè, di quanto si spende per il “carrello della spesa”, l’abbigliamento, le spese durevoli, quelle per la manutenzione della casa, la spesa per gli animali domestici. Se nel 1995 erano pari al 63,4%, ora sono diminuite al 58,2%, nonostante siano aumentate le spese per i servizi (banalmente gli abbonamenti ad internet, le telecomunicazioni, i trasporti, le spese per la cura della persona, i viaggi, comprendenti hotel e ristorazione, passati dal 17,3% del 1995 all’attuale 20%). Per queste voci l’aumento è stato, in termini percentuali, nel periodo considerato, del 55,6% per i beni e del 77,4% per i servizi. Considerando, invece, gas e carburanti si arriva al + 138%.
Né l’andamento demografico, in prospettiva (denatalità e invecchiamento della popolazione) fa pensare, nel breve, ad un’inversione di tendenza, per la quale, naturalmente, la voce fondamentale rimane la crescita “reale” del PIL: e sino a quando la nostra traiettoria di crescita rimarrà, con una visione ottimistica, tra l’1 e il 2% annui pensare che i consumi tornino a crescere, contribuendo, in una sorta di “circolo virtuoso”, alla crescita della ricchezza.
Ieri sera si è “alzato il velo” sulla trimestrale di Nvidia, che, ancora una volta, è riuscita a stupire gli analisti.
I numeri, infatti, sono andati ben oltre le attese, con i ricavi che, nel trimestre, hanno toccato i $ 30 MD, contro attese per $ 28,7 MD. Forse ancora meglio è andata per gli utili, in aumento a $ 16,6 MD, pari a $ 0,67 per azione(+ 12% rispetto ai 3 mesi precedenti e ben + 168% rispetto allo stesso periodo di 1 anno fa). E anche per il 3° trimestre le stime rimangono più che ottimistiche, con i ricavi che dovrebbero attestarsi intorno ai $ 32,5 MD, oltre i $ 31,7 MD “messi in conto”.
Ciò nonostante, il titolo, nel dopo borsa, è arrivato a perdere sino al 7% (secondo alcuni per i ritardi relativi alla produzione del processore Blackwell, per il quale, invece, la società si dice ottimista, e che dovrebbe contribuire non poco alla crescita del fatturato già a partire dal 4° trimestre dell’anno).
Mercati asiatici contrastati anche oggi.
Il Nikkei, come accade frequentemente nell’ultimo periodo, dopo una partenza debole, chiude in recupero, riportandosi sulla parità.
Andamento analogo per Hong Kong, dove l’Hang Seng tocca il + 0,26%.
Rimane, invece, ancora debole Shanghai, a – 0,31%, anche se in recupero rispetto ai minimi di apertura.
Kospi di Seul – 0,9%, Taiex Taiwan – 0,8%. Bene Mumbai, che si è riportata sui massimi storici.
Futures positivi in Europa, più frastagliati a Wall Street (Dow Jones + 0,28%, Nasdaq – 0,36%).
Petrolio che tenta la risalita dopo la discesa di ieri (WTI + 0,13%, $ 74,69).
Gas naturale Usa $ 2,122, + 1%.
Oro in prossimità del massimo storico ($ 2.528, + 0,46%).
Spread in leggero rialzo (137,6 bp).
BTP al 3,68%.
Bund 2,26%.
Treasury al 3,83%, poco mossi.
€/$ sempre in area 1,113/1,114.
Bitcoin che non da segni di particolare movimento ($ 59.660).
Ps: domani, 30 agosto, Warren Buffett compirà 93 anni. Ma non finisce di stupire. La sua società di investimenti (Berkshire Hathaway), infatti, è la 1° società “non tech” (le famose “magnifiche 7”, anche se, in realtà, oggi sono 6, viste le recenti difficoltà di Tesla, peraltro in parte dovute al settore automotive elettrico nel suo insieme) a superare i $ 1.000 MD di capitalizzazione (non a caso il soprannome di Buffett è “l’oracolo di Omaha”, dal nome della città in cui è nato). Comunque, anche se non gli arriveranno, auguri di buon compleanno.