Il “vogliamo spezzare la schiena all’inflazione e siamo convinti che ci riusciremo”, pronunciato ieri da Christine Lagarde a margine del Comitato Esecutivo BCE in cui è stato deciso il nono rialzo dei tassi da 12 mesi a questa parte, ricorda molto da vicino il famoso “spezzeremo le reni alla Grecia” di Mussolini nel discorso tenuto il 18 novembre 1940 a Piazza Venezia, divenuto nel tempo uso comune.
E’ probabile che la Presidente della BCE non avesse in mente la dichiarazione di guerra al Paese ellenico, ma comunque ha ulteriormente confermato che questa è comunque, anche se economica, una “guerra”.
Come in ogni guerra (senza andare troppo in là nel tempo, pensiamo alla storia di oggi), c’è chi propende per una mediazione e chi, invece, ritiene che un’azione militare senza tentennamenti possa portare a risultati più efficaci.
L’atteggiamento della Banca Centrale Europea è stato, da quando il mondo (ed in particolare l’Europa) si è trovata ad affrontare il “nemico”, abbastanza ondivago. Ad una prima fase, in cui sembrava che le decisioni fossero prese quasi per compiacere chi metteva in guardia dalla pericolosità di quanto si stava verificando, ne è seguita un’altra, contraddistinta da un “decisionismo” apparso, sotto certi aspetti, in un certo senso “riparatorio” alla precedente morbidezza, tanto da far rientrare la Lagarde tra i “falchi”. Con ieri, al di là del richiamo “guerrafondaio”, sembra si vogliano abbandonare i toni più accesi: si va avanti con i rialzi, portando il tasso principale al 4,25%, quello sui depositi bancari (su cui torneremo più avanti) al 3,75% e quello sui prestiti marginali al 4,50%. Ma si lasciano non porte aperte, ma spalancate, alla possibilità che al rientro dalle vacanze, il prossimo Comitato possa lasciare le cose come stanno, prendendo quindi una pausa.
Naturalmente, molto conteranno i dati che emergeranno in questi 2 mesi. Secondo la Governatrice, “le prospettive economiche di breve termine per l’area € si sono deteriorate, in gran parte a causa del deterioramento della domanda interna” (cosa che non è successa, per ora per gli USA, come confermano i dati sul PIL appena resi noti, in cui, tra aprile e giugno è aumentato, su base annua, del 2,4%: in quel Paese la spesa delle famiglie vale circa 2/3 dell’attività economica). In altre parole, una diminuzione dei consumi porta dritto ad un calo dei prezzi.
Ma non c’è solo una “pressione” sui consumi. Nelle ultime settimane si sono notati altri 2 fattori che possono contribuire (o che sostanzialmente possono significare) ad un ulteriore ribasso dei prezzi: una minor richiesta di credito, che, soprattutto dal lato delle imprese, porta ad una diminuzione degli investimenti, evidentemente a causa della lievitazione dei costi finanziari a seguito del rialzo dei tassi. Elementi che possono essere letti come “anticipatori” di una prossima fase recessiva.
Ma ieri una cosa forse ha colto di sorpresa gli operatori: la decisione che, a partire dal prossimo mese di settembre la BCE non remunererà più le riserve che le banche europee sono obbligate a depositare a garanzia, pari all’1% delle loro passività (vale a dire i depositi della clientela). In soldoni, circa € 1.000 MD.A dire il vero, non si parla di “tutte” le riserve, ma di un importo inferiore (riserva minima), che comunque avrebbe portato nelle casse delle Banche europee circa € 5,4 MD. Una mossa che lascia intendere che i margini aziendali (soprattutto per il settore bancario, come dimostrano molte trimestrali appena pubblicate, anche nel nostro Paese) sono piuttosto elevati. E l’elevata marginalità, a detta di molti economisti, è una delle maggiori cause della spirale dei prezzi. Oltre ad assumere (la decisione della BCE), probabilmente, anche una valenza sociale: di fatto una “redistribuzione della ricchezza”, riequilibrando una differenza sempre più ampia tra chi ha “beneficiato” dalla nuova situazione in cui il mondo si è venuto a trovare e chi, invece, come la gran parte delle famiglie, si è trovata “impoverita” dalla perdita di valore del proprio reddito.
Peraltro, il “qui e ora” dell’Europa non è così difficile, né le prospettive appaiono così cupe. Qualche nube la si intravede (la più grave, forse, la crisi in cui si trova la Germania, che non riesce a risollevarsi dalla situazione in cui si è venuta a trovare con lo scoppio della guerra), ma non sembrano così scure e minacciose, soprattutto se saranno affrontate con le giuste misure.
All’annuncio della BCE, ieri le borse europee, già toniche, hanno reagito quasi con euforia, con rialzi che, come nel caso di Milano, hanno superato il 2%.
Meno bene è andata a New York: dopo un avvio “in scia” dei mercati europei, Wall Street ha ripiegato, con il Dow Jones che ha interrotto la lunga striscia positiva (- 0,67%).
Questa mattina fa notizia di Tokyo, dove il Nikkei, che era arrivato a perdere oltre il 2,40% a metà giornata, a pochi minuti dalla chiusura arretra dello 0,40%. Il difficile avvio delle negoziazioni è stato dovuto alla decisione della Banca Centrale di lasciare immutate i tassi di interesse (– 0,1%) e la banda di oscillazione dei titoli di stato a 10 anni; evidentemente l’emotività iniziale a lasciato spazio a valutazioni più positive.
In buon rialzo sia Shnaghai e Hong Kong, rispettivamente a + 1,89% e a + 1,37%.
Futures ovunque positivi anche questa mattina.
Sempre sostenuto il petrolio, con il WTI che si ferma ad un passo dagli 80$ (79,93).
Gas naturale a $ 2,603, stabile dopo il calo di ieri.
Oro a $ 1.970.
Spread immobile a 162,6, assolutamente indifferente alla mossa (scontatissima) della BCE.
Btp al 4,07%.
Bund al 2.45%.
Treasury Usa a 3,993, in leggerissimo calo dal 4,012% di ieri.
Sempre forte il $, con €/$ a 1,0984.
Bitcoin che sembra faticare a tenere la soglia dei $ 29.000 (29.180).
Ps: la moda italiana continua a far parlare di sé anche quando italiana non lo è più. E’ il caso di Valentino, con Kering, il marchio francese, maggior rivale di LVMH (anche se il divario tra le 2 “maison” è piuttosto ampio, come dimostra il fatturato: oltre € 42 MD nel semestre per LVMH, poco oltre i 10 per Kering), che tra gli altri controlla Gucci , Yves Saint Laurent e Bottega Veneta, che ha acquistato il 30% dal Fondo del Qatar Mayhoola per € 1.7 MD, con l’opzione per arrivare al 100% entro il 2028.