Direttore: Alessandro Plateroti

A novembre 2021 il bitcoin, la più nota e diffusa tra le criptovalute (sono centinaia), aveva toccato il suo massimo storico, arrivando a segnare quasi $ 70.000 (69.500).

A dire il vero, era in buona compagnia, visto che altre asset class godevano di ottima salute, con i mercati azionari prossimi ai massimi storici e il prezzo delle obbligazioni che aveva raggiunto valori che avevano portato i rendimenti a minimi che per molto,  molto tempo non vedremo più (il decennale tedesco era arrivato a “costare” lo 0,6% all’anno: chi, in quelle settimane, avesse investito in un bund a 10 anni, non solo non avrebbe ottenuto alcun rendimento, ma avrebbe dovuto “pagare” al Tesoro tedesco lo 0,6% all’anno per 10 anni).

L’arrivo dell’inflazione, che ha capovolto in pochissimo tempo la situazione, ha costretto le banche centrali ad intervenire in modo deciso, con una velocità che forse mai era capitata. Sappiamo bene come sono andate le cose: gli indici azionari hanno vissuto, nel 2022, uno degli anni peggiori che si ricordino, mentre i rendimenti dei titoli obbligazionari (di qualsiasi tipo: governativi, corporate, investment grade, high yeldI hanno iniziato a crescere, deprimendo le quotazioni. Nel 2023 le cose sono andate un po’ meglio, con i mercati finanziari, peraltro, ancora oggetto di una diffusa volatilità, con alcune pause, per lo più in concomitanza della pubblicazione dei dati macroeconomici. La vera svolta è arrivata verso la fine di ottobre, quando si è avuta la quasi certezza che oramai le Banche Centrali avevano terminato il loro “sporco lavoro” (l’inasprimento monetario), con i tassi arrivati al “pivot” (il loro picco). Da quel momento è iniziata una nuova fase che, ancora una volta, ha interessato e sta interessando un po’ tutte le asset class: equity, bond e, ancora una volta, le criptovalute, mentre l’oro, pur oltre i $ 2.000 e quindi non lontano dai massi, sembra in una fase “laterale”, senza un indirizzo preciso (il fatto che i rendimenti obbligazionari scendano, peraltro, potrebbe favorire una risalita del prezzo).

Si nota, quindi, un certo “parallelismo” tra il bitcoin, la più rappresentativa, appunto, tra le criptovalute, e i mercati finanziari, per quanto possa sembrare una forzatura definirle “asset finanziari”, non basandosi su un “sottostante” reale (come invece sono le azioni o i titoli di debito). Qual è dunque il motivo che fa si che il prezzo delle criptovalute e, ancor di più, del bitcoin sia tornato vicino ai massimi di sempre?

Dopo il “boom” del 2021, il bitcoin sembrava “passato di moda”: in poco tempo era tornato a prezzi “da saldo”, al punto che a inizio 2023 era intorno ai $ 16.000. Da quel momento è iniziata la sua “rinascita”, che l’ha portato ai valori attuali, con un aumento di oltre il 240% e del 126% da inizio ottobre 2023).

Il motivo principale è stata l’approvazione, da parte della SEC Usa, di diversi ETF, gestiti da alcune tra le principali case di Asset Management al mondo (Black Rock, Invesco, Fidelity per citare le più note). Strumenti che, in queste prime settimane dell’anno, hanno iniziato ad essere “operativi”, e quindi a fare “raccolta”: quello di Black Rock ha raccolto già oltre $ 6 MD, quello di Fidelity $ 4,2 MD, Ark Invest $ 1.5 MD. Flusso di denaro che serve per comprare il “prodotto” fisico, e quindi i bitcoin in circolazione.

Qui nasce il secondo motivo che sta portando le quotazioni sui massimi di sempre: la diminuzione della loro produzione. Infatti, si sa già che dal 2140 non potranno più essere prodotti nuovi bitcoin. A quel punto, sul mercato, ci saranno 21.000.000 di monete, non una di più. Periodicamente (a date già definite, vale a dire ogni 4 anni) avviene il “dimezzamento” della produzione, quello che in gergo si definisce “halving”. Guarda caso, il prossimo “halving” sarà, salvo imprevisti (tutto, o quasi, può succedere nel mondo cripto) sarà il 25 aprile. Quindi, tra meno di 2 mesi la produzione si ridurrà, passando da 900 monete al giorno a 450. il prezzo, pertanto, ha iniziato a scontare l’effetto “scarsità”, che si affianca alla maggior richiesta per le motivazioni di cui sopra.

Se è vero che, per quanto riguarda il $ e l’, il prezzo è vicino ai massimi storici, contro altre valute, in principal modo quelle dei Paesi emergenti se non addirittura dei Paesi poveri, ha invece già aggiornato i massimi. E qui subentra una motivazione più “tecnica”: in molti di questi Paesi una buona parte della popolazione non è “bancarizzata”, non avendo accesso ad alcun rapporto bancario. Ecco, quindi, che il bitcoin diventa una sorta di “valuta ombra”, che consente di fare transazioni e persino “convertire” la propria effettiva valuta di riferimento in criptovaluta, difendendo dall’inflazione, spesso a 2 se non a 3 cifre.

Fatto sta che oggi la capitalizzazione dei bitcoin in circolazione si aggira intorno a $ 1.000 MD (per fare un confronto, il controvalore dell’oro fisico custodito nei caveau delle banche di tutto il mondo vale circa $ 14.000 MD). Paragone non casuale, visto che non sono pochi quelli che vedono nel bitcoin un nuovo bene rifugio (proprio a causa dell’effetto “scarsità” di cui si faceva cenno).

Questa mattina mercati asiatici sotto il peso delle vendite.

Shanghai frena dell’1,91%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng cede l’1,40%.

Tiene a Tokyo l’indice Nikkei, che si muove marginalmente sotto la parità.

Sale il Kospi a Seul (+ 1%).

Futures frazionalmente negativi sulle 2 sponde dell’oceano.

Petrolio in leggero ritracciamento (WTI $ 78,48. – 0,61%).

Gas naturale $ 1,794, – 0,94%.

Oro sempre intorno ai $ 2.040 (2.038, – 0,37%).

Spread a 143,5, con il BTP a 3,89%. Continua, a proposito di BTP, il clamoroso successo del nuovo BTP Valore, le cui sottoscrizioni ieri hanno superato (in appena 2 giorni!) gli 11 MD, con quasi 400.000 contratti.

Bund a 2,46%.

Treasury 4,29%.

€/$ a 1,0817, con il $ in leggero recupero.

Continua la “marcia trionfale” del bitcoin, che questa mattina “veleggia” sicuro verso i $ 58.000.

Buona giornata e, come sempre, grazie per l’attenzione.

Ps: da oggi, gli studenti che frequentano l’Albert Einstein College of Medicine di New York (circa un migliaio) non pagheranno più la retta (circa $ 60.000 l’anno). E così sarà anche per chi verrà dopo di loro. Ruth Gottesman, infatti, una ex docente del college, ha donato ben $ 1 MD (frutto dell’eredità lasciata dal marito) all’Università. Pare che volesse rimanere nell’anonimato, ma alla fine ha ceduto alle insistenze di chi ritiene che possa essere di esempio per altri mecenati.

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ultimo aggiornamento: 28-02-2024


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