In uno dei film più noti di Nanni Moretti (Bianca, 1984), il protagonista, Michele Apicella (in sostanza il suo alter ego) fa una delle affermazioni che rimarranno nella storia del cinema italiano. Nella scena in cui, al momento del dolce, il padrone di casa ammette di non conoscere la sacher torte esclama, esterrefatto per l’ammissione: “continuiamo così, facciamoci del male”.
Questo viene da pensare dopo quanto successo ieri alla Camera, dove non è stato raggiunto il quorum della maggioranza assoluta, come previsto normativamente in casi del genere (si trattava di autorizzare uno scostamento di bilancio; poco prima il Senato, invece, aveva approvato il testo).
Sotto un aspetto puramente procedurale, la conseguenza è che il testo non può essere rivotato: si dovrà, quindi, provvedere ad una sua, anche se minima, rettifica (il nuovo voto è previsto per oggi).
Diverso il discorso per quanto riguarda l’immagine del Governo e, ancor di più, che diamo del nostro Paese. In un momento certamente non semplice, l’impressione che diamo, ancora una volta, è quella di una classe politica lontanissima dai problemi e dalla gente. La votazione, come detto, era su aspetti fondamentali, quale è, appunto, la Legge di Bilancio, e non su temi, per quanto importanti, non così urgenti e determinanti. Sono note le polemiche in corso tra il Governo e la UE sul PNRR, da cui dipendono erogazioni essenziali per i nostri conti (è in sospeso la tranche da € 19 MD), a cui vanno aggiunte quelle relative alla proposta di ripristino del patto di stabilità. Per non parlare del prossimo “esame” sul nostro rating da parte di Fitch e DBRS, che dovranno esprimersi sulla qualità del nostro debito, con il rischio di un ulteriore downgrade e del “suggerimento” di Goldman Sachs alla propria clientela di “alleggerire” le posizioni sui nostri titoli governativi per spostarsi su quelli spagnoli in quanto il nostro spread potrebbe dare segnali di debolezza appunto per le nostre “bizantinerie” e incapacità ad affrontare in maniera risoluta i problemi che ci avvolgono.
Il tutto in un contesto economico che, come di dicono i dati pubblicati non più tardi di ieri negli USA, si conferma non semplice.
Il PIL americano, nel 1° trimestre dell’anno, è cresciuto solo dell’1,1%, contro previsioni che si erano spinte al 2% (e dopo che nell’ultimo trimestre 22 era stato del 2,6% e addirittura del 3,2% nel 3°). Segnale evidente di un’economia in rallentamento, per quanto l’occupazione “tenga” (sono stati creati, nell’ultimo mese, oltre 300.000 posti di lavoro, per una media mensile, nel 1° trimestre, di 345.000), con un livello di disoccupazione sempre intorno al 3.5%. Rimane alta, però, l’inflazione, con l’indicatore core dei prezzi al consumo passato al 4,9%, un livello superiore alle attese. Sarà ancora più importante capire cosa deciderà di fare la FED, che si riunirà i prossimi 2-3 maggio, chiamata a esprimersi su un eventuale nuovo aumento dei tassi (le previsioni sono per un ulteriore aumento dello 0,25%). Sullo sfondo 3 aspetti potrebbero impattare non poco sull’andamento economico americano. Il primo riguarda i tassi: è noto che le conseguenze della politica monetaria non sono mai immediate: la “cinghia di trasmissione”, infatti, impiega qualche mese perché strette monetarie o politiche espansive facciano sentire i loro effetti. Il dubbio, quindi, è che ulteriori aumenti dei tassi possa “ammazzare” l’economia, favorendo l’arrivo della tanta temuta recessione prima ancora che i precedenti aumenti (iniziati, negli USA, 13 mesi fa) siano entrati “in azione”.
In secondo luogo, la crisi della First Republic Bank fa tornare di attualità il rischio “contagio” nel settore bancario o, per lo meno, un’ulteriore stretta creditizia, che si affiancherebbe a quella ben più importante messa in atto dalla Banca Centrale.
In ultimo, l’amministrazione Biden è alla prese con l’ipotesi di default degli USA, con il debito pubblico del Paese ormai vicinissimo al tetto consentito. Se non arriva in tempi brevi il voto favorevole del Congresso, con la Camera a maggioranza democratica e il senato a maggioranza repubblicana, il Paese si bloccherà, se non vorrà, per la prima volta nella storia, andare in “bancarotta”. Parlando della più grande potenza mondiale, possiamo ben immaginare le possibili conseguenze.
Peraltro, le chiusure di ieri sera di Wall Street sembrano non tenere nella minima considerazione i dati macro.
Il Nasdaq ha realizzato la miglior performance dell’ultimo mese, con un progresso del 2,76%. Il Dow Jones è salito dell’1,57%, mentre lo S&P 500 è arrivato sino a segnare l’1,96%.
Le ottime chiusure Newyorkesi trascinano, questa mattina, gli indici asiatici: a Tokyo il Nikkei sale dell’1,40%, in Cina Shanghai si trova a + 1%, mentre a Hong Kong cresce dello 0,5%.
Futures USA appena deboli; meglio l’Europa, con l’Eurostoxx a + 0,53%.
Petrolio in leggero recupero, con il WTI a $ 75,14 (+ 0,51%).
Gas naturale Usa a $ 2,345, – 0,59%.
Lima anche l’oro, che scende sotto i $ 2.000 (1.996).
Lo spread non da particolari segnali di debolezza, posizionandosi a 188 bp. BTP sempre in area 4.35%.
Bund a 2.45%.
Treasury Usa a 3,52%.
€/$ 1.1009, con la valuta americana in parziale recupero.
Bitcoin sui livelli di ieri, a $ 29.447.
Ps: Vodafone oramai sembra parlare solo italiano. Dopo il lungo “regno” di Vittorio Colao, per oltre 10 anni del gruppo di telefonia, Margherita Della Valle, già sua stretta collaboratrice (era vice CFO), è stata nominata CEO “mondo” (anche se occupava già, seppur ad interim, la posizione). Un compito indubbiamente non semplice, vista la situazione in cui naviga il gruppo, in un settore con una concorrenza agguerritissima e con margini in riduzione. Intanto, però, il mercato sembra apprezzare, premiando il titolo con un rialzo dell’1,72%.