Il PIL mondiale si calcola si aggiri intorno $ 95-100.000 MD (un conteggio preciso è alquanto difficile, viste le poche informazioni che giungono da alcuni Paesi in considerazione della situazione politica in cui si trovano). Una cifra certamente ragguardevole, anche se per oltre il 40% “in mano” (dati 2023) a 2 Paesi: gli USA, che, con circa $ 23.000 MD, guidano la classifica, e la Cina, seconda con circa $ 17.500 MD. La crescita media, un altro sull’altro, è compresa tra il 2,7 e il 3%, percentuale ovviamente frutto di dati assolutamente disomogenei, tra un Paese e l’altro piuttosto che influenzati dal “peso” delle economie più importanti: il + 5% della Cina, il 3% degli USA, per non parlare del + 7/+8% dell’India, forse l’economia con il più alto tasso di crescita, contribuiscono in maniera determinante a “trascinare” verso l’alto la crescita globale.
Tutto bene quindi? Evidentemente no. O meglio, il semplice dato relativo alla crescita da solo non può rappresentare, “come sta il mondo”.
Al di là delle crisi geo-politiche (forse la loro “vicinanza”, per noi italiani e europei, aiuta ad aumentare la percezione di gravità), che, comunque, hanno un impatto devastante sugli andamenti economici delle aree geografiche in cui hanno svolgimento (basti pensare all’Ucraina, il cui PIL è crollato di oltre il 30% nel solo 2022, o ad Israele, in cui, nell’ultimo trimestre 2023, la caduta è stata superiore al 19%), altri “numeri” ci possono aiutare a capire in che situazione ci troviamo. Numeri che possono sembrare tra loro contradditori, ma che, invece, ci fanno comprendere come molteplici siano gli intrecci in economia e finanza.
Se c’è un dato che noi italiani abbiamo imparato a conoscere è quello sul debito pubblico (ormai probabilmente quasi materia di studio scolastica): i quasi 3.000 MD, pari al 140% circa del PIL, sono una zavorra che tutti sappiamo quanto pesi anche sui bilanci familiari, visti i continui tagli alla spesa pubblica che i vasti governi che si susseguono sono costretti a fare per far quadrare i conti. Ma sappiamo anche che oramai è una situazione abbastanza diffusa anche tra i Paesi ritenuti, sino a qualche tempo fa, “virtuosi”, in grado, cioè, di controllare le loro finanze. Ma se ai debiti pubblici aggiungiamo quelli privati, quindi di famiglie e imprese, ecco che arriviamo all’iperbolica cifra di $ 305.000 MD: una “montagna” che sarà sempre più difficile “spianare”, considerata anche la “velocità” con cui sta crescendo il debito dei Paesi emergenti (o in via di sviluppo).
Ma c’è anche un altro dato che, per quanto “opposto” (non fa riferimento al “debito”, ma alla “ricchezza”, anche se, almeno per una parte, probabilmente è frutto del “debito”, che, soprattutto nei momenti in cui i tassi erano a zero, se non addirittura sotto zero, ha consentito a molti di contrarre debito per comprare “attivi”), ci aiuta in questa valutazione: infatti, la capitalizzazione globale delle borse mondiali (quindi il valore delle società quotate) ha raggiunto, in questa prima parte dell’anno, i $ 120.000 MD, superiore, e non di poco, al PIL, fermo, appunto, a $ 100.000 MD. In sostanza, il mercato è come se il mercato valutasse che, osservando solo una parte dei “contributori” alla crescita globale, il loro valore è superiore alla ricchezza “reale” prodotta. Un numero, peraltro, che non riguarda l’Italia, ma che, dall’altra parte, potrebbe aiutarci a “far di conto”: il nostro PIL si aggira intorno a € 2.000 MD, mentre il valore della ns borsa (quindi la capitalizzazione delle aziende quotate) non supera i 700 MD. Se applicassimo lo stesso parametro, dovremmo essere intorno ai 2.400 MD, circa 3 volte e mezzo di più.
Un valore, quindi, quello delle borse globali, che forse qualche allarme, rispetto alle quotazioni raggiunte da molte aziende, inizia a darlo.
Non a caso quello che è considerato il più abile investitore al mondo, il “mitico” Warren Buffet (93 anni, quasi 94, molto egregiamente portati), soprannominato “l’oracolo di Omaha” (la sua città natale, dove è nato il 30 agosto 1930), ha portato la liquidità del portafoglio di Berkshire Hathaway, la sua società di investimenti, dai $ 167 MD di fine dicembre 23 a $ 189 MD di fine marzo. Segno che, a suo parere, i prezzi di alcune società iniziano ad essere “cari”, e quindi è opportuno “portare a casa” valore. Anche se va detto, per completezza di informazione, che il grande investitore USA è noto per saper costruire posizioni su pochi titoli (una cinquantina, anche se solo 6 di questi rappresentano oltre l’80% del suo portafoglio), acquistandoli a prezzi bassi e poi “tenendoli” per lunghissimo tempo, mettendo in pratica quasi una strategia “buy and hold”, della serie “compra e tieni”, opposta a quella di chi, invece, ritiene che il trading, e quindi la compravendita continua di titoli, possa essere una maggior generatore di ricchezza. Il messaggio, pertanto, che sembra darci è: i mercati hanno fatto, negli ultimi 18-24 mesi, molto, quindi potrebbe non essere sbagliato “fare cassa”, accumulando liquidità, pronti a rientrare laddove si fosse uno storno delle quotazioni. Che, però, almeno stando a guardare le trimestrali che le società di mezzo mondo ci stanno consegnando, potrebbe anche non arrivare, visti gli utili in continua (e buona) crescita.
Avvio settimana “spedito” per i mercati del Pacifico, con l’indice MSCI Asia Pacific che cresce dello 0,6%.
A Tokyo il Nikkei sale dello 0,66%, mentre Shanghai tocca l’1%.
Ancora superiore l’Hang Seng di Hong Kong, in crescita dell’1,28%.
Nuovo record storico per Mumbai, dove, nei primi scambi, il Sensex sale dello 0,3%.
Futures al momento con pochi spunti.
Petrolio senza particolari scossoni, con il WTI a $ 78,04 (+ 0,30%).
Gas naturale Usa a $ 2,762 (- 0,61%).
Oro a $ 2.345, + 0,36%.
Spread a 129,5, con il rendimento del BTP a 3,88%.
Bund di nuovo vicino al 2,60% (2,58%).
Treasury poco mosso, a 4,46%.
€/$ a 1,0849.
Bitcoin a $ 68.395.
Ps: la Cina, per quanto la sua economia non goda di una buonissima salute, è, da molti, sempre vissuta come un pericolo (basti pensare ai dazi che lo stesso Biden – anche per “proteggersi” da Trump, da sempre fortissimi fautore delle maggiori imposizioni alle importazioni da Pechino – ha proposto di introdurre, a partire dalle auto elettriche). Ma se di pericolo vogliamo parlare, forse quello che dovrebbe maggiormente preoccupare è quello sulle materie prime, per molte delle quali (almeno una decina) ha, di fatto, quasi il monopolio (vedi terre rare).