Frequentemente, per descrivere una certa situazione economica piuttosto che determinate azioni intraprese da organismi economico-monetari, si utilizza il termine “goldilocks” (letteralmente “riccioli d’oro”: il modo di dire deriva dal titolo di una fiaba per bambini molto conosciuta in Gran Bretagna, scritta nel 1837, “Riccioli d’oro e i suoi tre orsi”, in cui si narra di una ragazza, appunto “Riccioli d’oro”, che, approfittando dell’assenza da casa di 3 orsi – mamma, papà e il figlio cucciolo – si introduce nell’abitazione, mettendola a soqquadro. Al loro rientro, riesce a scappare, rimanendo impunita. Nel tempo, la fiaba ha subito alcune variazioni, con diverse versioni. Ma, sempre e comunque, l’artefice riesce sempre a farla franca). Si definisce tale un’economia in cui convivono una buona crescita e un’inflazione moderata (in numeri, attorno, in un caso e nell’altro, al 2%): un mondo, quindi (almeno da un punto di vista economico) quasi perfetto, fatto di consumi e investimenti in continuo aumento e di buoni livelli occupazionali, con una diffusa fiducia da parte di famiglie e aziende. E con le Banche Centrali non più “severe guardiane”, pronte ad intervenire drasticamente in un senso o nell’altro, ma a lavorare di “cesello”. Quindi, l’economia (goldilocks), alla fine ne esce vincente, come, di fatto, la protagonista della fiaba.
Ovviamente questo è il miglior scenario possibile, quello a cui tutti tendono, o dicono di tendere.
Ieri la BCE, riunita per la prima volta quest’anno, come largamente previsto ha lasciato invariati i tassi. Nella usuale conferenza stampa post-meeting, Christine Lagarde ha ribadito che qualsiasi taglio al momento è assolutamente prematuro, visti i dati in possesso della Banca Centrale. Affermazioni che, come sempre, si prestano a diverse interpretazioni: convivono, quindi, quelle di chi ritiene che si possa andare oltre l’estate e quelle di chi, invece, è convinto che entro giugno possano arrivare segnali inequivocabili che la strada è stata intrapresa, con un primo taglio dello 0,25%. Tesi avvalorata da quanto si è verificato nel corso della giornata di ieri: se, prima della riunione del Comitato Direttivo, i futures “prezzavano” un taglio già ad aprile al 65%, una volta finito erano schizzati al 90%.
Nelle stesse ore, sono piombati sul mercato i nuovi dati sullo stato dell’economia americana, che, per l’ennesima volta, hanno sorpreso, con risultati ben più positivi delle attese.
L’ultimo trimestre dell’anno si è chiuso con un + 3,3% annualizzato, inferiore al precedente, strepitoso, 4,9%, ma di molto superiore alle previsioni, che si fermavano al 2%. Risultati eccezionali, nettamente migliori di quelli, per esempio, anche degli anni antecedenti il Covid. A “contribuire” un po’ tutti gli ambiti: i consumi, gli investimenti, la spesa pubblica, l’export. Di contro, l’inflazione sembrerebbe continuare il suo percorso di decrescita, soprattutto quella relativa ai consumi personali, mentre l’indice “core” è rimasto stabile al 2%. Insomma, una vera “goldilocks”, almeno stando all’ultimo trimestre (e forse anche più dell’ultimo trimestre).
Da qui la nuova fiducia che ieri si è manifestata sui mercati, con molti indici in nuovo rialzo (ha fatto eccezione il nostro MIB, penalizzato dal settore bancario-finanziario). Analisti e investitori sono sempre più convinti che a prevalere saranno gli scenari più positivi, fatti di inflazione destinata a stabilizzarsi intorno al 2%, recessione che rimane immaginaria, crisi geopolitiche che non incideranno più di tanto. A pesare potrebbero essere, invece, i rinnovi contrattuali di molte categorie, che, in questi primi mesi dell’anno, provocheranno aumenti salariali da non sottovalutare, con possibili spinte inflattive. Mentre, dall’altra parte, rimane il convincimento che la FED, in considerazione dell’anno elettorale, dovrebbe intraprendere una nuova fase espansiva, in soccorso all’attuale amministrazione (per quanto i 2 poteri dovrebbero essere assolutamente indipendenti tra loro).
Ciò che traspare è che, sempre di più, BCE e FED potrebbero andare “a braccetto”, con la prima che cercherà di non perdere il treno della FED: un sincronismo dettato anche dall’esigenza di evitare scossoni nel cambio €/$, la cui volatilità potrebbero significare inflazione “importata” (in una direzione o nell’altra), vanificando, in parte, gli interventi di politica monetaria. Si tratta di capire chi si muoverà per prima: una volta fatto il primo passo, chi è rimasto fermo quasi certamente si adeguerà piuttosto velocemente.
Nuovo primato, ieri, a New York, con tutti gli indici in rialzo: Dow Jones + 0,64%, Nasdaq + 0,10%, S&P + 0,53%.
Deboli, invece, questa mattina gli indici asiatici, con il MSCI Pacific che, dopo 6 giorni positivi, ferma il rialzo.
A Tokyo il Nikkei arretra dell’1,34%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng retrocede dell’1,52%.
Si slava, in extremis, Shanghai, con l’indice che recupera in territorio positivo.
Bene il Kospi di Seul (+ 0,7%), mentre ancora in ritracciamento la borsa indiana.
Futures ovunque deboli, con cali compresi tra lo 0,3 e lo 0,81%.
Nuovi rialzi per il petrolio, con il WTI che tocca i $ 77, anche se questa mattina i prezzi sono in leggero calo ($ 76,83, – 0,78%).
Gas naturale Usa di nuovo vicino ai $ 2, ma in rialzo questa mattina (2,215, + 1,42%).
Oro sempre intorno ai $ 2.000 (2.020, + 0,09%).
Spread 151,4, di nuovo verso i minimi da aprile 22.
BTP a 3,81%.
Bund ,228%.
Treasury sempre al 4,15%.
In rafforzamento il $, con €/$ a 1,0814.
Senza scosse il bitcoin, a $ 39.947.
Ps: comunque vada, il fine settimana sarà senz’altro buono per Jannik Sinner. Infatti, si è appena conclusa la semifinale che lo opponeva a Djokovic, battuto in 4 set (è la terza vittoria del tennista italiano negli ultimi 4 incontri con il campione serbo). E quindi, per la prima volta, un italiano è in finale a Melbourne. Non sono “goldilocks”, ma “redlocks”!