Ma se c’era un settore in crisi, con vendite che, mese dopo mese, erano in continuo calo e previsioni, almeno nel breve, non certo entusiasmanti, non era l’automotive (nel nostro piccolo, non più tardi di una ventina di giorni fa, in un’audizione parlamentare, l’AD di Stellantis, Carlos Tavares, era tornato a chiedere nuovi sussidi statali, scatenando le reazioni non certo amichevoli di Governo e opposizioni, per una volta “allineate”, mentre, allargando lo sguardo all’Europa, il “male” di cui soffre la Germania in buona parte dipende, appunto, dalle gravi difficoltà che l’industria automobilistica sta attraversando)?
Si rimane un pochino (ma solo un pochino) spiazzati nell’apprendere che Tesla, nel terzo trimestre dell’anno, ha realizzato la miglior performance da un anno a questa parte, con un utile aumentato del 17%, ben oltre le aspettative degli analisti. E discorso analogo vale per il margine operativo, passato dal 7,6% dei 12 mesi precedenti al 10,8% dell’ultimo trimestre. Scontato il rialzo degli utili, cresciuti a $ 72 centesimi per azione contro i 58 previsti.
Ieri il titolo è balzato di circa il 20%, il rialzo più alto mai realizzato in una sola seduta, portando la capitalizzazione di nuovo verso i $ 1.000 MD (830, con un incremento di “soli” $ 170 MD. A questi livelli, Tesla vale 80 volte gli utili attesi per i prossimi 12 mesi: vale a dire, chi oggi comprasse la società, impiegherebbe 80 anni per “ripagarsi” dall’investimento. Indubbiamente ha giovato il fatto che Musk abbia, a quanto pare (probabilmente anche spinto dalla fallimentare presentazione di un paio di settimane fa del progetto di robotaxi), deciso di concentrare gli sforzi della casa automobilistica sul proprio “core business”, accantonando gli scenari “visionari” (che peraltro hanno sempre identificato l’imprenditore di origini sud-africane). Fatto sta che gli investitori, sulla base dei dati pubblicati l’altra sera a mercati chiusi, si attendono, per il 2025, un aumento delle vendite tra il 20 e il 30%, contro attese del + 10-12%, grazie anche al progetto, ormai in dirittura di arrivo, di un’auto a prezzi più contenuti (si parla di $ 25-30.000), in modo da combattere la concorrenza cinese. Concorrenza, va detto, non tanto sul mercato americano (qui bisognerebbe aprire un discorso più approfondito, che parte dall’assunto che le importazioni americane non vanno oltre il 15% del PIL. E di questo 15%, l’import cinese si ferma al 16%. Proviamo a tradurlo in numeri: il PIL americano è stato, per il 2023, pari a circa $ 27.000 MD. Il 15% vale, quindi, $ 4.000 MD; e il 16% di 4.000 $ significano $ 640 MD. Di cui l’automotive pressochè zero, per buona pace di Trump e dei dazi al 60% che vorrebbe introdurre se eletto), quanto sul mercato globale, quello sì “terreno di conquista” per il low cost made in China. Anzi, la vera sfida di Musk è vendere più macchine proprio “in casa del nemico”, a conferma di come l’economia del dragone sia centrale per la crescita del business per molte aziende.
Certamente “l’inversione a U” di Tesla potrebbe non rimanere un caso isolato, aprendo scenari nuovi e, in questo momento, inattesi.
Una ulteriore conferma in tal senso potrebbero essere i risultati, anche questi sopra le attese, di Renault, che ha incrementato, nell’ultimo trimestre, le vendite del 4,3%, trascinando al rialzo anche il fatturato, anche se di un più modesto 1,8% su base annua.
Peraltro, è ancora prematuro “cantare vittoria”. Anche perché, citando la regina del “giallo”, Agatha Christie, “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”: e, almeno, per ora, siamo fermi a 2 indizi…Di certo, però, possiamo dire che una volta di più Musk si sta rivelando il migliore alleato di Trump, e che i risultati di Tesla, indirettamente, potrebbero ulteriormente favorire l’ex Presidente nella sfida presidenziale (aprendo magari le porte ad una “nuova vita”, l’ennesima, questa volta politica, all’uomo che vuole portare l’uomo su Marte da qui a pochi anni).
L’eccezionale performance di Tesla non poteva lasciare indifferente il Nasdaq, che, infatti, ha chiuso le contrattazioni, ieri sera, in rialzo dello 0,83%. Un andamento che ha contribuito a trascinare lo S&P 500, salito dello 0,21%. Negativo, invece, il Dow Jones, in calo dello 0,33%.
L’ultimo giorno di negoziazione sta per chiudersi, a Tokyo, con il Nikkei in calo dello 0,69%.
In rialzo, invece, le piazze cinesi, con Shanghai a + 0,40% e, a Hong Kong, l’Hang Seng a + 0,52%.
Da notare che per Shnaghai, se chiudesse su questi livelli, sarebbe la 5° settimana positiva sulle ultime 6.
Kospi Seul sostanzialmente sulla parità (– 0,03%).
Taiex Taiwan in questi minuti a + 0,67%.
Futures americani sopra la parità, seppur marginalmente, anche questa mattina.
Poco mossi quelli europei.
Petrolio debole in chiusura ieri, ma in leggerissima ripresa questa mattina (WTI $ 70,38, + 0,17%).
Gas naturale Usa $ 2,527, sui livelli di ieri.
Ritraccia, seppur di poco, l’oro, a $ 2.741, – 0,37%.
Spread stabile, a 120 bp.
BTP al 3,46%.
Bund 2,26%.
Ulteriore recupero per il treasury, con il rendimento che “restringe” al 4,176%, peraltro ancora lontano verso i minimi di inizio settembre.
€/$ 1,0818, con l’€ in leggero recupero.
Bitcoin che torna a superare i $ 68.000 (68.460).
Ps: dopo tanti che lasciano l’Italia, finalmente qualcuno che torna…Roberto Mancini, dopo poco più di 1 anno, ha lasciato (anche questa volta in “fretta e furia”) la panchina dell’Arabia Saudita. Un rientro, peraltro, certamente non da trionfatore. Almeno per quel che riguarda i risultati sportivi. Certamente da trionfatore (e che trionfo) da un punto di vista economico: per 14 mesi di “panca” si è portato a casa € 50 ML (€ più € meno). Ha guidato la nazionale araba per 18 partite. Che vuol dire che, per ogni match, ha guadagnato € 2,77 ML. La domanda, peraltro, è sempre la stessa: per un uomo di sport (soprattutto per chi oramai lo sport lo ha “vissuto” e oramai è quasi al traguardo) valgono di più i soldi (banalmente) o i successi…? Ognuno può esprimere liberamente la propria idea….