Il debito pubblico mondiale è destinato, quest’anno, a superare i $ 100.000 MD, attestandosi a circa il 93% del PIL globale.
Se guardiamo al debito globale (governativo, corporate e famiglie) il numero è ancora più da brividi, raggiungendo i $ 307.000 MD (307 trilioni), pari a circa 3 volte il PIL globale (erano 226.000 MD nel 2020).
Si può ben comprendere come pensare di rientrare in “parametri” che consentono di ipotizzare un “rientro” graduale sia alquanto fantasioso, anche in considerazione dell’evoluzione che il debito, nel suo complesso, sta avendo: se in alcuni Paesi si sta cercando di “contenerne” la crescita (senza contare il fatto che il “caro interessi” seguito alle politiche di austerità delle Banche Centrali hanno ridotto l’accesso al credito da parte di imprese e famiglie), ve ne sono altri in cui la crescita è continua (India, Brasile, Cina).
Tornando al debito pubblico, oramai il costo dei soli interessi è stimato in circa il 14/15% del PIL: secondo The Economist, tale percentuale è destinata a diventare il 17%, se non di più, nell’arco di un triennio.
Questo, banalmente, uno dei motivi per cui parlare di crescita diventa sempre più complicato.
Ovviamente, come sempre, quando si parla di “media”, si tende a fare di “tutta un’erba un fascio”.
Ben sappiamo (soprattutto noi italiani…) che così non è: ci sono Paesi ritenuti, se non “virtuosi” (ormai anche questo termine, viste le vicende degli ultimi anni, deve essere rivisto), almeno più “sani”. E la loro “ostinazione” nel voler continuare a rimanere tali a volte può non essere considerato un elemento del tutto positivo: il caso più emblematico è la Germania, in cui il debito pubblico è ancora intorno al 60% (63,6% le proiezioni attuali), più o meno quello definito dai Trattati di Maastricht che diedero vita alla moneta unica. Il pensiero di molti è che se il Governo tedesco fosse stato, negli anni (o lo fosse attualmente) meno rigoroso, forse il Paese si troverebbe ad affrontare una crisi economica, prima ancora che politica e sociale, meno grave (e, di conseguenza, anche l’Europa, intesa come UE, se la “passerebbe meglio”). Ma qui si entra nelle “scuole di pensiero”: e i se e i ma non sono contemplati nel mondo reale.
Quest’ultimo ci dice, peraltro, che a fianco di dati macro la cui evidenza è fuori discussione (per esempio la percentuale debito/PIL, ritenuta tra le più importanti, se non la più importante, nella definizione della situazione di un Paese e delle sue prospettive), ve ne sono altri il cui “peso” non è indifferente. La “sommatoria” di questi fattori è ciò che determina, in fondo, la valutazione che le società di rating assegnano ai singoli Paesi: una sintesi tra il “qui e ora” e ciò che li aspetta. Un dato, quello sul rating, destinato ad avere conseguenze non indifferenti, tra cui la definizione quanto un Paese è “costretto” a pagare per “comprare” la fiducia degli investitori.
Se dovessimo guardare, infatti, solo alle dimensioni del debito pubblico (in percentuale prima ancora che in assoluto), il nostro Paese, che già si trova a “remunerare” gli investitori più di qualsiasi altro Paese europeo (anche più della Grecia), vivrebbe una situazione ancora più onerosa, con uno spread ben superiore ai 125 bp con cui ha chiuso venerdì.
Ma, come detto, esistono altri aspetti che devono essere valutati; e lo spread (il differenziale tra quanto “paga” il bund tedesco, il “benchmark” assoluto, e i titoli governativi emessi dagli altri Paesi) non è neanche l’unico indicatore della “salute” di un Paese.
Una delle variabili, per es, è la stabilità politica (a prescindere dal “colore”). E’ fuori di dubbio che un certo impatto sulla “credibilità” di un Paese ce l’abbia. E il fatto che il nostro abbia iniziato il 3° anno con lo stesso Governo in carica un risultato lo ha portato. Siamo, infatti, l’unico Paese, all’interno della UE, ad ave ridotto, seppur di un’inezia, il differenziale del rendimento tra il decennale e il relativo “tasso swap” (per tasso swap si intende il differenziale di prezzo, e quindi di rendimento, tra 2 titoli: in questo caso “il premio” che si è disposti a pagare per un titolo con scadenza a 10 anni): se ad inizio anno questo differenziale, nel nostro caso, era di 121 bp, ora è di 120 bp. La Germania, invece, è passata da – 48 bp a – 6 bp (ma qualche giorno aveva toccato la parità, episodio con pochissimi precedenti); la Francia da 10 è arrivata a 75. L’Austria sempre da 10 bp a 40 bp; la Spagna da 50 a 68. Il Portogallo da 10 a 43, l’Olanda da – 15 a + 20, e così via.
Evidentemente, tutto ha “un prezzo”: che si chiami instabilità politica, deficit pubblico, crisi sociale. Per una volta, si guarda al nostro bicchiere “mezzo pieno” e a quello “mezzo vuoto” degli altri.
Il che non significa che i nostri “guai” siano risolti (e non bastano gli “apericena” per risolverli….), ma che, per una volta, non veniamo considerato gli “ultimi della classe” (peraltro più per “demeriti” altrui che per “meriti” nostri).
Avvio di settimana positivo per il mercato giapponese, con il Nikkei a + 1,30%.
Seduta intrelocutoria per le piazze cinesi: dopo un inizio di seduta positivo, sia Shanghai che, a Hong Kong, l’Hang Seng, trattano appena sotto la parità.
Bene, a Seul, il Kospi (+ 1,32%) e, a Taiwan, il Taiex (+ 0,19%).
Continua la sua corsa Mumbai (+ 1,7% in apertura) dopo il + 2.6% di venerdì.
Futures ovunque positivi, con rialzi intorno al + 0,40/+ 0,50%.
Per quanto riguarda il nostro indice è molto probabile che oggi tutte le attenzioni saranno concentrate sull’OPA annunciata, proprio questa mattina, da Unicredit su Banco BPM. Un’operazione del valore di circa € 10 MD, “supportata” da un aumento di capitale, pari al 13,9%. Il “risiko” bancario, di cui da tempo si parla,trova quindi ben più di una conferma.
Rifiata il petrolio, con il WTI a $ 70,69 (- 0,87%).
Gas naturale Usa ad un passo dai $ 3,5 (3,495, + 6,15%).
Oro a $ 2.673, – 1,51%.
Spread stabile, a 125,4 bp.
BTP al 3,51%.
Bund 2,26%.
Treasury a 4,33%, in significativo recupero vso il 4,41% dell’ultima chiusura.
€/$ a 1,0472.
Bitcoin intorno ai $ 98.500 (98.450), in leggero ribasso rispetto ai valori espressi nel we.
Ps: dobbiamo prendere atto che il mondo sta cambiando. Anzi, è già cambiato. La Germania che non è più ritenuta così “virtuosa” e un esempio da seguire, la fondatrice della Lega del wrestling come Sottosegretario alla Pubblica Istruzione negli USA (per non parlare di altre cariche assegnate da Trump, l’Italia che vince per 2 anni di fila la Coppa Davis (e quest’anno anche quella femminile, 5° Paese al mondo a riuscire nell’impresa), confermandosi il Paese più forte al mondo in una disciplina sempre ritenuta un “passo” indietro ad altre. L’importante è farsi trovare pronti…