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Guadagnare tempo.

Questa sembra essere la strategia che Israele sta mettendo in atto. L’intensa attività diplomatica, nelle 2 scorse settimane, del sottosegretario Antony Blinken e, soprattutto, la visita lampo, la settimana scorsa, del Presidente Biden, sonola conferma delle forti pressioni che l’Amministrazione Usa sta facendo sul Governo israeliano affinchè il tanto annunciato “attacco di terra” venga ulteriormente procrastinato. Pressioni che si manifestano anche attraverso azioni concrete, rivolte a ribadire “l’amicizia” americana: l’invio di navi da guerra (2 portaerei oltre a svariate altre unità), in chiave principalmente di “deterrenti”, e aiuti economici (stanziamenti per qualche decina di miliardi di $) sono leve piuttosto forti, in questa fase, per convincere Israele a moderare le forze.

La cosa, peraltro, sta portando a qualche “imprevisto” a Gerusalemme: Netanyahu, infatti, che nei giorni immediatamente successivi all’attacco di Hamas aveva dichiarato con grande enfasi che Israele avrebbe immediatamente reagito con un vigore inaudito, sembrerebbe sempre più isolato, criticato per non aver previsto il piano terroristico e, forse ancor di più, per non dar seguito alle sue promesse, con i generali dell’esercito molto perplessi e preoccupati da un allungamento dei tempi che potrebbe avere ripercussioni sulle centinaia di migliaia di riservisti richiamati.

Tutto ruota, come sin da subito era parso chiaro, sui circa 200 ostaggi ancora in mano ad Hamas, il cui rilascio procede molto (troppo) a rilento. Non è certo sufficiente la liberazione di 2 di loro (persone molto anziane) per permettere di affermare che si è sulla buona strada: di sicuro c’è che le trattative sono in corso, anche se sembrano piuttosto difficili.

Si naviga, quindi, quasi “a vista”, stretti tra le pressioni di chi vorrebbe, in Israele, un intervento immediato e deciso, e chi, invece (le diplomazie internazionali), spinge per trovare soluzioni meno cruente, mettendo in guardia dai rischi geopolitici che il mondo si troverebbe ad affrontare.

Una “linea sottile” che non è di aiuto ai mercati, già alle prese con le problematiche di ordine economico-monetario.

L’umore degli investitori, in questi giorni, è piuttosto “volubile”, passando, nell’arco di pochi minuti, dall’ottimismo al pessimismo, e viceversa, con le quotazioni azionarie vittime di una volatilità molto marcata, come dimostra la giornata di ieri a Wall Street.

Discorso un po’ diverso per quanto riguarda, invece, i rendimenti obbligazionari, più “sensibili” alle scelte di politica monetaria dele Banche Centrali e alle “strette” considerazioni economiche. Ne sono un esempio i Treasury americani, che ieri hanno valicato le “colonne d’Ercole” del 5%, per la prima volta dal 2007, anche se poi hanno ritracciato, scendendo intorno al 4,85%. A favorire il rialzo del rendimento dei titoli americani 2 principali ragioni. La prima è l’andamento del bilancio USA: solo questa settimana sono previste emissioni per oltre $ 141 MD, una cifra imponente anche per quella che è la prima economia al mondo; in secondo luogo le conferme che arrivano dai dati macro, con le previsioni sul PIL del 3° trimestre. Secondo molti economisti l’economia a “stelle e strisce” dovrebbe essere cresciuta, tra luglio e settembre, del 4,3% su base annua, mentre la FED di Atlanta si spinge addirittura al 5,4%. Numeri che starebbero ad indicare, se confermati, una crescita molto forte, che renderebbe la discesa dell’inflazione ancora più lenta. Quindi, ancora una volta, si confermerebbe una fase “higher for longer” riferita ai tassi, che rimarrebbero, appunto, “più alti per un periodo più lungo”. Se poi, davvero, la situazione geopolitica si “tranquillizzasse”, potrebbero diminuire gli acquisti di beni rifugio, come l’oro (nei giorni scorsi ha sfiorato i $ 2.000), ma anche dei titoli americani.

Sul fronte europeo, dopodomani, ad Atene, si riunirà il Comitato della BCE, che dovrebbe lasciare, a detta della maggior parte degli osservatori, le cose come stanno, confermando il 4% sui depositi delle Banche c/o l’Eurosistema.

Ieri, come anticipato più sopra, giornata a 2 volti (anzi, forse 3) per i mercati americani. Dopo un avvio debole, abbiamo assistito ad un’inversione di rotta, che aveva portato le quotazioni a raggiungere livelli più che positivi. Sul finire della seduta, invece, un nuovo cambio di umore ha riportato a prevalere le vendite. Il Nasdaq, comunque, è riuscito a confermarsi sopra la parità (+ 0,30%), mentre il Dow Jones ha chiuso a – 0,58%.

Questa mattina gli indici del Pacifico danno segnali di recupero.

A Tokyo il Nikkei, a lungo in territorio negativo, si appresta a chiudere vicino al + 0,50%.

Analogamente Shanghai, dove le quotazioni si avvicinano al + 0,80% (con una marcata volatilità però). Unica a soffrire Hong Kong, dove l’Hang Seng riapre, dopo la chiusura di ieri, in maniera poco brillante (– 0,80%).

Futures piuttosto positivi, con rialzi mediamente superiori allo 0,50% un po’ ovunque.

Le allentate (per il momento) tensioni in Medio oriente fanno scendere il petrolio, con il WTI che tratta a $ 85,82 (questa mattina in modestissimo rialzo, + 0,27%).

Gas naturale Usa sempre intorno ai $ 2.880 (2.885, – 1,61%).

Rallenta l’oro, per quanto si confermi vicino ai $ 2.000 (1.988, – 0,05%).

Continua a produrre benefici allo spread il giudizio di Standard & Poor’s: questa mattina lo troviamo a 196,8 bp, con il BTP a 4,83%.

Bund a 2,87%.

Treasury al 4,85%, dopo una “gita” sopra il 5%.

€/$ a 1,0685, con l’in buon recupero.

Exploit del bitcoin, che si è spinto sin oltre $ 34.000, valore che non vedeva da maggio (in questi minuti tratta a $ 33.908).

Ps: comincia oggi, nella notte italiana, il 78° Campionato NBA, forse uno dei più seguiti al mondo. Farà il suo esordio un giocatore a detta di tutti “predestinato”. Ha solo 19 anni, è francese, è alto 224 cm (ma potrebbe crescere ancora). Di nome fa Victor Wembanyama. E a detta di molti potrebbe essere il nuovo LeBron James.

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ultimo aggiornamento: 24-10-2023


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