E’ iniziato, dunque, l’iter per l’approvazione della manovra di bilancio di circa € 35 MD (21 per emergenza energetica, 4 per il taglio al cuneo fiscale – forse il punto che più di altri sta portando Confindustria a definire la nuova Legge di Bilancio “priva di visione”, per usare le parole del Presidente Bonomi – 1,5 per famiglie e natalità, 8,5 per altre misure, come pensioni, flax tax per lavoratori autonomi, Olimpiadi di Cortina-Milano, etc).
In queste prime settimane, più volte è stato evocato, da parte del nostro Primo Ministro, il ritardo nell’attuazione del piano PNRR, fondamentale pe l’ottenimento dei contributi per circa € 220 MD dalla Commissione Europea e ancor di più per la nostra crescita: affermazioni che molti giudicano una presa di distanze dal precedente governo.
Quasi a confermare questa percezione, secondo l’attuale esecutivo circa € 40 MD di investimenti sarebbero ad “altissimo rischio”, rendendo impossibile la loro realizzazione entro il termine del 2026, data ultima per ricevere i contributi e/o sussidi. Le attività più a rischio riguarderebbero le infrastrutture ferroviarie, le telecomunicazioni e i progetti affidati agli enti locali. Numerose, secondo il Governo, le cause: dalle problematiche di natura geologica, alle interferenze, alle difficoltà nella fornitura dei materiali, al ritrovamento di reperti archeologici, a problematiche relative a prescrizioni ambientali problematiche, etc etc. Per non parlare dello slittamento di gare per l’aumento dei costi dei materiali. Impossibile che tutto “si incastri” nei tempi e nei modi desiderati. Ecco perché il Ministro per gli Affari Europei, con delega al PNRR, Raffaele Fitto, sta predisponendo le “mosse” più opportune per chiarire lo stato dell’arte e cercare un accordo con la Commissione. Opera non semplice, soprattutto se risultasse ancora una volta che il “problema” siamo noi: riguardando, il Piano di aiuti, tutti i Paesi membri, molte delle criticità individuate (vd aumento dei costi delle forniture) dovrebbero riguardare la totalità. Difficile pensare che l’autorità europea possa apportare modifiche solo su richiesta di un unico Stato membro. Di certo la fotografia che ci viene presentata, se fosse veritiera, dimostra una volta di più come sia difficile per l’Italia riuscire a realizzare piani di lavoro pluriennali, che quindi, per le nostre “abitudini” politiche, abbracciano più governi e, spesso, più legislature, con continui cambiamenti in ordine agli obiettivi che si intendono perseguire e al Paese che si vuole costruire.
Di certo, l’ultima cosa che “conviene” è arrivare ad uno scontro con l’Europa: troppo precario il nostro equilibrio finanziario e troppo incerta la ripresa per “fare la voce forte” a Bruxelles.
Oggi il mercato americano è chiuso per la festività del Thank giving. Ieri però la FED ha fatto in tempo a far capire al mercato che si sta preparando una fase di politica monetaria meno aggressiva. Dai verbali delle minute dell’ultimo Comitato, infatti, è emerso che la maggior parte dei componenti ritiene che la manovra di rialzo dei tassi, la più rapida dagli anni 80, con ben 6 strette in pochi mesi, di cui le ultime quattro dello 0,75%, che ha portato il costo del denaro al 3,75/4%, possa diventare in tempi brevi meno rigida. Anche se, comunque, i tassi potrebbero paradossalmente arrivare ad un punto di “atterraggio” più alto di quanto previsto dagli analisti: sono molti quelli che ritengono che il “pivot” sia fissato al 5%, anche se qualcuno si spinge sino al 5,5%. Ad avvalorare le tesi di chi ritiene necessario un rallentamento della corsa i dati sul lavoro Usa, con le nuove richieste di sussidi di disoccupazione salite più del previsto a 240.000 invece che le 225.000 ipotizzate. Unitamente al fatto che, come noto, i dati sull’inflazione (sia in termini di prezzi alla produzione che ai consumi) pare abbia finalmente invertito la rotta.
Fatto sta che all’uscita delle notizie sui verbali, ieri gli indici USA hanno avuto un’accelerazione che li ha portati a chiudere in territorio ampiamente positivo, con il Nasdaq a + 0,97%, Dow + 0,28%, S&P + 0,59%.
Questa mattina i mercati asiatici sembrano proseguire la rotta, con il Nikkei che a Tokyo sfiora l’1% e Hong Kong che fa segnare + 0,7%. Debole per il momento Shanghai (- 0,25%), ancora una volta influenzata dalle notizie su nuovi lockdown e ancora di più dalle proteste di molti cittadini, ormai stanchi per le continue chiusure.
Futures ancora una volta positivi ovunque, anche se con rialzi marginali (+ 0,20/0.30%).
Ieri scivolone del petrolio, con il WTI che si è portato a $ 77,59, in leggera discesa (– 0,7) anche questa mattina.
Al contrario, il gas si è rafforzato ovunque, con quello USA a $ 7,5, mentre quello allo snodo di Amsterdam si è portato a € 131 per megavattora, in rialzo dell’8%. Paradossalmente un rialzo causato dall’accordo (?) sul price cap, fissato a € 275, che sta causando qualche irritazione a livello comunitario e che, con tutta probabilità, sarà rivisto.
In rafforzamento l’oro, a $ 1.756 (+ 0,54%).
Prosegue la fase positiva per il nostro spread, ormai stabilmente ben sotto i 200 bp: questa mattina si conferma intorno ai 185 bp, con un BTP al 3.80% circa.
Treasury al 3,69%.
€/$ a 1,044, con l’€ ai massimi dal giugno scorso.
Bitcoin che torna a respirare, allontanandosi dai minimi dei giorni scorsi e che arriva a raggiungere i $ 16.683.
Ps: parliamo di mobilità. Sappiamo come in questi ultimi anni sia letteralmente esplosa, in tutte le metropoli, la mobilità alternativa, in cui lo “sharing” di bici e monopattina la fa quasi da padrone (in quel comparto). Però non è tutto oro quel che luccica. Una delle aziende più note, per quanto riguarda la produzione e il noleggio dei monopattini, è Helbiz, società quotata a New York, ma controllata da un imprenditore italiano, Salvatore Palella. I suoi numeri non lasciano ben sperare, anche a causa di scelte sbagliate (vedi acquisto diritti per le partite del Campionato italiano di calcio, serie B: un investimento costato, nei primi 9 mesi del 2022, € 13,6 ML e che ha prodotti ricavi per soli € 4,6 ML). Contribuendo a portare le perdite totali a $ 63,7 ML a fronte di ricavi per $ 11,3 ML. Fatto sta che il titolo (quotato al Nadaq), dopo aver raggiunto, nei mesi successivi alla quotazione, i $ 25, e dopo che a inizio anno era ancora intorno ai 6$, ora è a $ 20 centesimi (ma martedì aveva toccato anche i 16 centesimi).