Per quanto, almeno per quanto riguarda i mercati finanziari, la globalizzazione sia un fatto acquisito (altrettanto non si può dire, nell’era post-covid, per le attività produttive), gli occhi (e i portafogli…) degli investitori guardano al mercato americano come il vero “faro”. Così come l’economia a stelle e strisce condiziona la crescita globale, così Wall Street è il riferimento per le piazze finanziarie mondiali: pur con tutti i distinguo del caso, quello che succede a New York viene spesso considerato come “anticipatore” di quello che potrebbe accadere in Europa (soprattutto) o in altre parti del mondo.
Molteplici sono i fattori che condizionano l’andamento degli indici, da quelli geo-politici (ne abbiamo contezza ogni giorno, a maggior ragione in un anno come l’attuale, ritenuto il “più elettorale di sempre, con oltre 76 Paesi chiamati alle urne e oltre 4 MD di persone che dovranno esprimersi) a quelli macro-economici (crescita, inflazione, tassi) per arrivare alla “analisi tecnica”, vale a dire la valutazione delle singole società o di un certo settore merceologico.
Proprio in questi giorni parte la nuova “stagione degli utili”. Così viene definita la pubblicazione dei dati relativi al 2° trimestre dell’anno, con molte società che si stanno preparando a diffondere i propri andamenti: un appuntamento per molti aspetti cruciale, utile a definire le strategie d’investimento e il posizionamento per la seconda parte dell’anno. Non a caso, forse il p/e, vale a dire il rapporto prezzi/utile, è forse l’indicatore più importante a cui guardano investitori e analisti, essendo quello che meglio definisce la “profittabilità” delle aziende quotate e le prospettive (aziendali e del settore di riferimento).
Questa settimana il 35% delle società che compongono lo S&P 500, considerato l’indice più rappresentativo al mondo (e forse anche per questo il più importante) alzeranno (o hanno iniziato a farlo) il “velo” sui loro conti. Ad oggi, del 14% delle società che hanno comunicato i dati, oltre l’80% ha superato le stime sugli utili e il 62% quelle sui ricavi (il che vuol dire che non solo la maggioranza ha incrementato il fatturato, ma, tra queste, ancor di più sono quelle che hanno incrementato la marginalità: evidentemente perché sono state brave a contenere i costi ma probabilmente ancor di più a far “assorbire” al consumatore finale l’aumento dei prezzi). E anche il tasso di crescita degli utili rispetto allo stesso periodo del 2023 è superiore alle stime (+ 9,7% vso + 8,9%).
Si sa, poi, che, sempre con riferimento allo S&P 500, 5 società (le “big 5”) da sole valgono circa il 20% dell’indice (se si guarda al Nasdaq la percentuale arriva a sfiorare uno stratosferico 50%): 5 aziende (Amazon, Google, Meta, Microsoft, Nvidia, esclusa, quindi, per una volta, Apple) che, per quanto riguarda il 1° trimestre 2024, hanno visto crescere gli utili del 63% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Mentre le altre 495, sempre guardando agli utili, hanno fatto un passo indietro, con un calo del 6%. Per il 2° trimestre, la forbice dovrebbe ridursi, con un incremento del 34% per le “big five” e un + 6,2% per “il gruppo”. Un differenziale che, secondo le previsioni, è destinato, verso l’ultima parte dell’anno, a ridursi, arrivando quasi al “pareggio” (+ 19,8% per le big five, + 17,3% le altre 495). Se così non fosse, la “divaricazione” diventerebbe insostenibile, significando una “dominanza.” che, alla lunga, “ucciderebbe” il mercato, sempre più “governato” da pochi attori, con una potenza finanziaria sconfinata (superiore a quella di molti Stati).
Il risultato delle trimestrali ha, come prima conseguenza, quella di dare un “valore” all’indice, e quindi definire la vantaggiosità o meno di un investimento, nonché le probabilità che sia profittevole. Secondo le previsioni degli analisti, oggi lo S&P 500 “vale” 21 volte gli utili: un “prezzo” senz’altro non “a buon mercato” (la media degli ultimi 5 anni è stata di 19,3, degli ultimi 10 17,9), ma comunque meglio di quanto “costava” nel 2020, prima del virus pandemico, quando era arrivato a 23.
Indubbiamente se nell’ultima parte dell’anno si verificasse lo scenario “perfetto” (tassi in diminuzione, con la FED che interviene almeno 2 volte, e “no-landing” (crescita che rimane in “traiettoria”), le sorprese potrebbero non essere finite. A trarne vantaggio sarebbero soprattutto le “small e mid-caps”, vale a dire le società che hanno fatto il ricorso maggiore al debito e per questo sono rimaste “zavorrate” (ecco una delle spiegazioni ad una marginalità di certo non soddisfacente, ancor più se confrontata con i risultati delle aziende più grandi, a cui l’aumento dei tassi non ha fatto “né caldo né freddo”, avendo in cassa disponibilità quasi illimitate).
Ieri sera, a mercati chiusi (nella giornata avevano diffuso i dati Coca-Cola e Spotify, entrambe con numeri migliori delle attese), hanno “parlato” Tesla e Alphabet-Google.
La prima ha realizzato, nel 2° trimestre, ricavi superiori al 2% anno su anno, però inferiori alle attese, a causa della crisi che sta investendo il settore delle auto elettriche: numeri che hanno penalizzato il titolo, sceso, nel dopo borsa, del 7%.
Meglio del previsto, invece, l’andamento di Alphabet, con ricavi e utili in forte crescita. Nonostante questo, anche il titolo Alphabet, nel dopo borsa, è scivolato del 2% (da notare che gli investimenti societari sull’Intelligenza Artificiale sono aumentati del 91% a $ 13,2 MD).
Tutti in rosso, questa mattina, gli indici asiatici: Nikkei – 1,11%, Hang Seng – 1,03%, Shanghai – 0,34%, Kospi – 0,55% (chiusa Taiwan per il rischio derivante da un ciclone).
I futures fanno pensare ad una giornata di “prese di beneficio”, con i prezzi ovunque in ritirata (Eurostoxx – 0,73%, S&P 500 – 0,71%, Nasdaq -1,03%, MIB -0,43%).
Petrolio in leggera ripresa questa mattina, a $ 77,39 (+ 0,47%).
Gas naturale a $ 2,144 (- 2,10%).
Oro che cerca la risalita ($ 2.416, + 0,31%).
Spread a 132,8 bp.
BTP al 3,74%.
Bund 2,45%.
Treasury Usa sempre al 4,24%.
In rafforzamento l’€, con €/$ a 1,0844.
Perde forza anche il bitcoin, con le quotazioni scese a $ 65.900.
Ps: il conto alla rovescia per le Olimpiadi di Parigi sta per finire (probabilmente con grande sollievo per Macron…).
La “spedizione” italiana sarà la più numerosa (e si spera agguerrita) di sempre, con oltre 403 atleti, più o meno equamente distribuiti (52% uomini, 48% donne), impegnati in 34 discipline. Intanto possiamo dire che almeno un paio di medaglie d’oro le abbiamo già vinte. Una nel settore delle forniture di materiali di allenamento: anche in questa occasione, infatti, Technogym si conferma all’avanguardia per le attrezzature sportive, avendo di fatto il monopolio olimpico in fatto di palestre. Ma non da meno sono Mondo, l’ennesimo fiore all’occhiello, con la Ferrero, di Alba, che ha realizzato la pista di atletica dello Stade de France, e Piscine Castiglione, che invece ha progettato e costruito l’impianto di nuoto alla Defense Arena. Teniamo alto non solo lo sport, ma anche l’orgoglio italiano.