Le preoccupazioni legate all’esito delle elezioni legislative in Francia (primo turno domenica prossima, secondo turno quella successiva) sono duplici.
Al di là di quelle “puramente” politiche, legate alla vittoria della destra-destra, che anche gli ultimi sondaggi vedono in testa (pare addirittura incrementando il vantaggio), ma non così tanto al punto di garantire la maggioranza assoluta, quello che maggiormente allarma analisti, Banche d’Affari e, soprattutto, la UE è il rischio che i conti francesi diventino “fuori controllo”. Già oggi, infatti, Parigi è, tra i Paesi europei, quello “che spende di più”, con una spesa primaria (al netto, cioè, degli interessi sul debito) pari al 49,8% del PIL (noi, per esempio, siamo al 42,3%, per un importo pari, più o meno, a € 1.000 MD, la Germania è al 42,8%). Tant’è vero che il deficit francese, per quest’anno, dovrebbe attestarsi intorno al 5,5%; noi, di contro, dovremmo passare dal clamoroso (e insostenibile) 7,4% del 2023 al 4,4% di quest’anno.
Il 7,4% ha significato qualcosa come 155 MD circa: togliamoci pure i 75 MD di interessi (tanto, ci è costato, l’anno scorso il debito), ne rimangono sempre 80, che è pur sempre una bella “sommetta”.
Ed è su questi che si “abbatterà” la scure della UE, che con la procedura di infrazione vuole lanciare più di un segnale a quei Paesi che più si allontanano dalla “traiettoria” di rientro (7).
Tra questi, è cosa nota, la Francia e l’Italia sono i due con il “peso specifico” maggiore, in grado di “contagiare” il resto dell’area €.
La nostra “debolezza”, poi, ci espone più di altri a quello che succede (o potrebbe succedere) oltralpe.
Le elezioni, ovunque si svolgano (pensiamo alle presidenziali americane, forse il caso più clamoroso) implicano una “predisposizione alla spesa”, grazie agli stimoli fiscali che chi governa tende a mettere in atto per conservare i voti che permetterebbero una conferma, mentre gli avversari tendono a dare enfasi ai programmi di sostegno in grado di superare una fase economica non semplice. Il risultato è, appunto, la maggiorazione della spesa, che potrebbe spingere qualche Paese oltre “la linea rossa”. A subirne le conseguenze, peraltro, sarebbero anche quei Paesi che si dovessero trovare in condizioni “precarie”. Quali, appunto, il nostro Paese.
Attraverso la “procedura di infrazione”, la UE vuole correggere una “tendenza”. Nel nostro caso, si tratterebbe di “recuperare” circa € 12 MD l’anno di spesa (vale a dire più o meno l’1% delle uscite complessive, i famosi € 1.150MD). Che sarebbe, poi, il famoso 0,5% (in realtà quasi uno 0,6%) previsto dalla procedura di infrazione. Un modo per “rimetterci in carreggiata” ed evitare che, tra qualche anno (una decina) ci si possa trovare “sommersi” da un rapporto deficit-pil che qualcuno inizia a stimare al 168%.
Una “spending review” dell’1% all’anno non sembra, a prima vista, un’opera “ciclopica”. Rischia però di diventarlo se si pensa che da un parte la spesa per la previdenza (sanitaria e pensionistica) nel nostro Paese continuerà inesorabilmente a crescere visto l’invecchiamento sempre più evidente della popolazione e, dall’altra, “pronti via” la nuova Legge di bilancio dovrà trovare almeno 20MD solo per garantire il rinnovo del cuneo fiscale. Senza contare le “pressioni” che le numerose “lobbies” che popolano il nostro universo lavorativo inizieranno ad esercitare per bloccare quei provvedimenti che potrebbero, dal loro punto di vista, penalizzarle.
Da qui, in ultima istanza, il “nervosismo” sui mercati di queste settimane.
Non sono pochi coloro che “gettano acqua sul fuoco”, affermando che, comunque, a prescindere dal vincitore, i “pesi e i contrappesi” dell’Europa (e delle Istituzioni francesi) consentirebbero di superare l’eventuale “novità” che dovesse uscire dalle urne, senza dar luogo a shock particolarmente gravi. E così dovrebbe essere, tenuto conto di quanto sta iniziando a succedere in giro per il mondo a livello monetario e a livello economico, con un ciclo economico che, a livello globale, continua ad essere orientato ad una crescita tendenziale pari a circa il 3%.
Ancora un inizio di settimana contrastato per gli indici asiatici.
Il Nikkei di Tokyo si avvia ad una chiusura positiva, con un rialzo che, in questi minuti, sfiora lo 0,7%.
Di contro, gli indici great China si confermano in discesa, con l’Hang Seng di Hong Kong che flette dello 0,7%, mentre Shanghai arretra dello 0,6%.
In discesa anche Seul (Kospi – 0,6%) e Sidney (ASX 200 – 0,9%).
Futures tendenzialmente stabili, leggermente più positivi in Europa (Eurostoxx + 0,24%).
Petrolio in leggero arretramento, con il WTI a $ 80.61 (- 0,27% questa mattina).
Gas naturale Usa $ 2.665, – 1,63%.
Oro stabile, a $ 2.336.
Spread ancora sopra i 150 bp (151,4).
BTP a 3,94%.
Bund 2,42%.
Treasury sempre al 4.25%.
€/$ a 1,0705.
Bitcoin che non si scrolla di dosso l’apatia che contraddistingue da qualche settimana: questa mattina lo troviamo a $ 62.309, in arretramento dell’1,36%.
Ps: ormai tutti (o quasi) sappiamo chi è Tailor Swift. Magari non conosciamo neanche una delle sue canzoni, ma ne abbiamo sentito parlare. E, con lei, abbiamo sentito parlare della “Swift economy” della “Swiftflation”.
Infatti, con il suo Tour mondiale (ha toccato oltre 50 Paesi), ha avuto un impatto economico superiore ai $ 5 MD: mai nessun altro artista ha raggiunto cifre così astronomiche. Si calcola che ogni persona che abbia acquistato un biglietto abbia speso complessivamente (ticket, merchandise, viaggio, soggiorno, etc) almeno $ 1.327. Città come Stoccolma, dove l’artista americana ha cantato, hanno visto, in quei giorni, il “tutto esaurito”, con tutte le oltre 40.000 camere di hotel occupate, con una spesa di $ 53,4 ML da parte di chi ha assistito al concerto. E una cosa simile è successa a Cardiff, Edimburgo e Liverpool, altre città sedi dei concerti. Secondo gli analisti, la portata del Tour della star americana è pari a Giochi Olimpici, Mondiali di calcio e Superbowl messi insieme.