Le “capriole” della politica sono note. Non per questo finiscono di stupire.
Ieri il Parlamento europeo ha approvato il nuovo Patto di stabilità, a lungo discusso (2 anni) e per il quale si è trovato, alla fine, un “onorevole” compromesso, con l’introduzione di nuovi margini di flessibilità, come la possibilità di estendere sino a 7 anni (da 4) la durata dei Piani Nazionali per il rientro dal debito e del deficit, oppure il taglio dell’1% all’anno del rapporto debito/PIL laddove superi il 90%.
Come ha sagacemente (e ironicamente) fatto notare Paolo Gentiloni, Commissario europeo per l’economia, il voto ha “unito la politica italiana”. Infatti, nonostante pochi mesi fa il nostro Parlamento avesse approvato la riforma, ieri a Bruxelles tutti (ad esclusione di 3) i Parlamentari italiani presenti in rappresentanza dei vari partiti hanno votato contro o si sono astenuti: maggioranza ed opposizione, quindi, si sono trovate allineate sulla posizione da assumere nei confronti dell’Europa, in contraddizione rispetto al voto di soli 4 mesi fa. Come sappiamo, la campagna elettorale in vista delle elezioni europee di giugno sta muovendo i primi passi e ogni occasione è buona per “segnare il territorio”.
Il risultato, evidente, è che il nostro Paese rischia di essere ancora più isolato e “lontano” dall’Europa che conta, con molti leader europei che di certo non perderanno occasione di ribadire la nostra “inaffidabilità”, anteponendo, come spesso successo in passato, gli interessi “di parte” a quelli della “comunità”. In un momento, peraltro, in cui forse ancor di più l’aiuto dell’Europa potrebbe rivelarsi ancora una volta di estrema utilità se non addirittura indispensabile, viste le molte problematiche da affrontare: dal PNRR allo sforamento dei conti passando ai Fondi Europei (l’ennesimo paradosso del nostro Paese: su € 74 MD che l’Europa ci ha messo a disposizione per il periodo 2021-27 ad oggi ne abbiamo spesi neanche l’1%, pari a 535 ML).
Se la traiettoria di crescita della nostra economia fosse solida, le preoccupazioni sarebbero ben minori. La realtà “vera”, però, indica in uno 0,6/0,7% l’aumento del nostro PIL. Numeri modesti, che renderanno arduo l’abbattimento non solo del rapporto debito/PIL, ma anche del deficit (come ricordato ancora recentemente, siamo al 7,4%, percentuale non sostenibile: vero che gli USA viaggiano intorno al 6%, ma quello è “un mondo a parte”, sia perché l’economia viaggia ad un ritmo per noi inarrivabile (3/3,5%) sia perché hanno, sul debito, un’autonomia assoluta, dovendo rispondere solo ai limiti imposti dal Congresso, peraltro suscettibili di modifiche se condivise tra la maggioranza che guida l’Amministrazione del Paese e l’opposizione). In soccorso potrebbe venirci l’inflazione: laddove permanesse su livelli intorno al 2/2,5% (ma oggi in Italia non supera l’1%), ciò significherebbe un “alleggerimento” del debito, che verrebbe computato al valor nominale, mentre il PIL “nominale” crescerebbe in misura superiore, dato dalla somma di inflazione più crescita reale.
Rimanendo ai dati macro, da notare che l’indice PMI manufatturiero europeo è, ad aprile, ulteriormente sceso, portandosi a 45,6 punti dai precedenti 46,1 (va ricordato che lo “spartiacque” tra un’economia in buona salute e una debole è 50 punti). Quello “composito”, invece, che comprende anche i servizi, è salito a 51,4 (da 50,3), facendo segnare la crescita più alta da quasi 1 anno a questa parte. Rimane comunque la preoccupazione legata all’attività manufatturiera (non a caso i dati tedeschi, ancora una volta, si sono confermati tra i più negativi dell’area euro. Forse anche per questo, ieri il Vice Presidente della BCE, Louis de Guindos, ha nuovamente affermato che il taglio dei tassi a giugno è “un fatto compiuto” (per quanto il Presidente della Bundesbank, nonché membro del Comitato Direttivo BCE, Joachim Nagel, si sia affrettato a dichiarare che nulla è ancora deciso, ribadendo che sino a quando l’inflazione non sarà “placata” il rischio rimane alto).
Fatto sta che anche la giornata di ieri si è rivelata piuttosto positiva per i mercati globali, con gli investitori di nuovo in “modalità risk-on” e le quotazioni che sono tornare prepotentemente a salire.
Ieri sera Wall Street ha chiuso sostanzialmente ai massimi di giornata, con il Dow Jones a + 0,69%, il Nasdaq a + 1,51% e lo S&P 500 a + 1,20%. A fare da “traino”, ancora una volta, i tecnologici: da segnalare che, a mercato chiuso, Tesla ha presentato i conti del 1° trimestre. Nonostante non siano stati particolarmente brillanti, con l’utile netto e i ricavi scesi più del previsto, la notizia dell’uscita di nuovi modelli ha fatto balzare, nel dopo borsa, il titolo, con un rialzo del 13%.
Molto bene, questa mattina, le piazze asiatiche: il Nikkei di Tokyo sale del 2,27%, il Kospi di Seul fa + 1,9%, l’Hang Seng di Hong Kong + 2,04%.
Sale anche Shanghai, che recupera dopo un avvio debole, + 0,47%.
Ben impostati anche questa mattina i futures, con rialzi che arrivano a toccare, a New York, lo 0,75%.
In rafforzamento il petrolio, con il WTI a $ 83,56 (questa mattina + 0,13%).
Gas naturale a $ 1,811 (- 0,22%).
Oro a $ 2.342, in leggero calo questa mattina (– 0,10%).
Spread a 131,2 bp, con il BTP poco mosso (3,84%).
Bund a 2,50%.
Treasury invariato, al 4,61%.
€/$ a 1,070, con l’€ in leggerissimo rafforzamento sulle previsioni del rialzo dei tassi a giugno.
Stabile il bitcoin, sempre in area $ 66.600 (66.639 le rilevazioni di questi minuti).
Ps: nel 1951, in Italia, ogni 100 giovani c’erano 31 anziani. Al 1 gennaio 2024, sempre ogni 100 giovani, gli anziani sono diventati 200. Ma quello che inquieta è il futuro: si prevede che nel 2050 gli anziani, sempre in rapporto ai 100 giovani, saranno 300. Merito, senza dubbio, di una qualità di vita che ha portato le “attese di vita” ad un’età ben superiore rispetto ai primo dopo guerra o anche agli ultimi devenni del secolo scorso. Ma ben sappiamo quale sia il vero problema della demografia italiana, con un numero di nascite in continua diminuzione (oggi ben inferiore alle 400.000 all’anno).