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Un mondo a parte. Così, in sintesi, può essere definito il Giappone.

Il riferimento non è tanto agli aspetti storico-culturali, e conseguentemente sociali, che da sempre lo caratterizzano, quanto a quelli economico-finanziari.

Il Giappone, con un PIL intorno ai $ 5.000 MD, è la terza economia più forte al mondo, per quanto da anni attraversi una congiuntura economica non particolarmente favorevole (quest’anno, però, il PIL, se dovesse mantenere il ritmo di crescita ottenuto nel 2° trimestre, pari al + 1,2%, potrebbe raggiungere il 4,8% su base annua, peraltro in ribasso vso il 6% previsto dalle stime). L’inflazione, anche se nettamente cresciuta rispetto agli anni precedenti (per lunghissimo tempo il Paese è stato in deflazione, con i prezzi, cioè, che di anno in anno scendevano), ha raggiunto il 3,2%, in leggero calo rispetto al precedente mese di luglio: un livello, quindi, “stratosferico” per i loro parametri, ma ben lontana dai livelli europei o americani.

Può, pertanto, suscitare un certo stupore apprendere che questa notte la Bank of Japan ha lasciato inalterati i tassi, confermandoli al – 0,1%: verrebbe da dire, parafrasando un’affermazione entrata nella storia del ciclismo, “un Paese solo al comando”, essendo rimasto l’unico a perseverare in una politica monetaria accomodante. Né la Banca Centrale ha fatto riferimento a possibili ritocchi da qui ai prossimi mesi, lasciando intendere che ben difficilmente rivedrà le proprie strategie, almeno nel breve. Va ricordato che il debito pubblico del Giappone ha il rapporto debito/PIL più alto al mondo (superiore persino a quello del Venezuela, forse il Paese con le maggiori difficoltà finanziarie al mondo), pari a circa il 265% (quasi il doppio rispetto al già nostro preoccupante 141%), detenuto (e questa è la sua grande peculiarità) per circa il 90% da soggetti residenti (per cui il rischio speculativo è azzerato: da qui l’essere considerato alla sorta di un “bene rifugio”). Il mantenimento di tassi negativi aiuta, perciò, non poco le casse del Tesoro (il costo del debito si muove in un range tra – 0,5 e + 0,5%).

A livello di Paesi sviluppati, “il resto del mondo” ci dice cose un po’ diverse.

Ancora una volta, a “pesare” sui mercati non è stata una “decisione” (aver lasciato, da parte della FED, le cose come stavano), quanto piuttosto le “aspettative”: ennesima conferma di quanto le parole pesino. Il mantenimento del precedente livello è passato in secondo piano rispetto alla previsione di un livello di tassi che rimarranno posizionati a livelli più alti del previsto per buona parte del 2024 (orientativamente al 5,1%, riferiti, evidentemente, al mercato americano). Da qui la brusca reazione di ieri, con borse in caduta e, ancora una volta, spread e tassi dei bond in rialzo. A “pagare pegno” soprattutto le scadenze “lunghe”, che hanno visto scendere il prezzo dei titoli, provocando il conseguente aumento dei rendimenti, che ha portato il Treasury Usa a toccare il 4,48%, massimo da 16 anni a questa parte, e il bund tedesco al 2,74%, record dal 2011. Perdurare dei prezzi alti e un quadro economico che, per quanto non semplice, soprattutto a livello globale, non fa intravedere segnali di recessione, con un mercato del lavoro americano che rimane vicino alla “massima occupazione”: questi, in poche parole, i motivi che hanno spinto Powell a spegnere l’entusiasmo degli operatori, con qualcuno che, al contrario, in maniera esagerata, si attendeva segnali “distensivi” già per la fine del corrente anno.

C’è da dire che, nella giornata di ieri, anche la Bank of England ha lasciato le cose invariate, facendo aumentare la schiera di chi ritiene che, da quelle parti, ormai si sia arrivato al “picco” (5,25%). Certo le condizioni del Regno Unito, per quanto la sua economia sia piuttosto “connessa” con quella americana, sono un po’ diverse rispetto ai “cugini d’oltreoceano”, con un PIL che, nel mese di luglio, è risultato in calo dello 0,5%, con un secondo semestre che si preannuncia più debole rispetto al precedente.

Questa mattina a Tokyo il Nikkei non sembra reagire positivamente alla decisione della Banca Centrale: per quanto in recupero rispetto ai minimi di giornata, si mantiene in territorio negativo, con un calo intorno allo 0,4%.

Ben diverso l’andamento di Hong Kong e Shanghai, con entrambi gli indici in rialzo dell’1,46%.

I futures sembrano lasciarsi alle spalle la giornata di ieri, facendo prospettare, se non un rimbalzo, almeno un recupero un po’ ovunque.

Torna sulla scena il petrolio, con il WTI che recupera i $ 90 (90,18, + 0,51%).

Gas naturale Usa a $ 2,630.

Sempre intorno a quota $ 1.930 (1.927, + 0,22%) l’oro.

Spread che non “molla” i 180 bp (179,8): BTP ormai sopra il 4,52%, con i “grattacapi” per il Governo, in odor di Legge di Bilancio, che non accennano a diminuire.

Bund questa mattina a 2,73%.

Treasury al 4,5%, con le quotazioni in leggero recupero.

€/$ a 1,0654, poco mosso.

Ritraccia il bitcoin, che torna sotto la soglia dei $ 27.000 (26.647).

Ps: il Giappone sarà un “mondo a parte”. Ma il Venezuela, forse, lo è ancora di più. Sono note le enormi difficoltà economiche in cui si trova il Paese, tra i più poveri al mondo. Terreno fertile, come spesso succede, per la malavita, che prospera laddove la gente non sa come mettere insieme un pasto al giorno. Ma lì, forse, la realtà ha superato veramente la fantasia. Ieri c’è stato un blitz (non si sa fino a che punto “vero” ho fatto per trasmettere l’idea di un Paese in cui la legge conta ancora) in un penitenziario. E fino a qua nulla di particolare. Particolare era la situazione del penitenziario, quello di Tocoron, “dotato” di tutti i confort: piscina, ristoranti, sportello bancario, discoteca. Non per il personale penitenziario. Ma per i detenuti. Al punto che più d’uno stava meglio, anche perché in un posto “protetto”, rispetto al rimanere in libertà.

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ultimo aggiornamento: 22-09-2023


Previsioni economiche del 21 settembre: azione-reazione nella politica monetaria.

Previsioni economiche del 25 settembre: no scorciatoie.