La concomitanza di “venti di guerra” e “situazione macro-economica” ha portato, nelle ultime settimane, a togliere energia ai mercati: lo S&P 500, per esempio, la settimana scorsa ha perso circa il 3%, il peggior risultato da 1 anno a questa parte, portando al 5,5% il calo dai massimi. E i titoli del settore chip, quelli che sembravano inarrestabili, si sono presi una pausa, con Nvidia che ha lasciato sul terreno il 10%. Pause che vanno considerate fisiologiche, vista la corsa degli ultimi mesi. Oggettivamente sarebbe forse più preoccupante se i mercati avessero continuato la loro corsa, dimostrandosi “insensibili” a fattori che non possono non essere considerati motivo di “allerta” e preoccupazione. In caso contrario, infatti, si sarebbe tornati quasi sicuramente a parlare di “rischio bolla”, con conseguenze, nel medio termine, quasi certamente più gravi.
La frenata, che coinvolge anche il mercato obbligazionario, con i rendimenti che sono tornati a salire (e quindi con i corsi obbligazionari che sono scesi), non è vista, peraltro, come un’inversione di tendenza, quanto piuttosto come “prese di beneficio”, con gli investitori che sono “passati all’incasso”, con guadagni, nell’arco di pochi mesi, in molti casi a doppia cifra.
Rimanendo ai dati macro (la situazione geo-politica è qualcosa che sfugge al “governo dell’economia”), l’alternarsi di fattori positivi ad altri più negativi, fa pensare che l’andamento, da qui in avanti, potrebbe essere meno “lineare” di quanto abbiamo visto negli ultimi mesi, pur lasciando spazio ad aumento delle quotazioni da qui a fine anno.
Sul fronte dell’inflazione la sua recrudescenza, dall’altra parte dell’Oceano, potrebbe cambiare i piani della FED, spostando in “avanti” di qualche mese l’inizio dei tagli (che da 3, nell’anno, potrebbero diventare 2). In Europa, invece, la BCE a giugno non dovrebbe aver problemi a confermare la loro riduzione, iniziando la “marcia di avvicinamento” verso il 2-2,5% ritenuti il “punto di atterraggio” entro il 2025. Va detto che oltre al dato sull’inflazione, l’altro fattore determinante è il l’andamento del PIL: e anche qui le differenze tra le due sponde dell’oceano sono piuttosto rilevanti, con gli USA che crescono “imperterriti” ad un ritmo intorno al 3,5/3,7%, mentre in Europa si fatica non poco a superare lo 0,5%.
E’ iniziata, poi, la fase delle “trimestrali”, il momento in cui le società, alzando il velo sui conti, pubblicano i dati del primo periodo dell’anno, dando, quindi, “indicazioni” su quello che potrebbe essere il risultato annuale. Un momento ulteriormente importante in quanto, in questo periodo, si sospendono i “buy-back”, vale a dire il riacquisto, da parte di molte società quotate, di azioni “proprie”, manovra che, riducendo il “flottante” (il numero delle azioni in circolazione), aiuta a sostenere le quotazioni.
Inoltre, sempre dall’altra parte dell’oceano, va considerato il fatto che il “conto corrente” del Tesoro, ha ormai raggiunto i $ 1.000 MD di giacenza: un po’ per gli incassi erariali (la scadenza per la dichiarazione dei redditi era il 18 aprile), e poi per la vendita, da parte del Tesoro, di parte degli asset in titoli governativi per finanziare il deficit (oramai posizionato al 6% del PIL). Due interventi che, di fatto, stanno “prosciugando” le tasche di molti cittadini, drenando parte della liquidità, altrimenti indirizzata verso investimenti mobiliari (è nota la predisposizione delle famiglie americane verso l’investimento azionario).
Dall’altra parte, però, questo nuovo “tesoretto” potrebbe portare il Tesoro ad effettuare nuovi investimenti per stimolare ulteriormente l’economia (ricordiamoci sempre che siamo, negli USA, nell’anno elettorale).
C’è poi un altro fattore, questa volta un po’ più tecnico. Negli USA sono molto utilizzate, da parte di Banche e Fondi, le operazioni “Reverse repo”, attraverso le quali provvedono a “parcheggiare” c/o la FED, in cambio di un tasso anche modesto, la liquidità in eccesso. Ad inizio 2023 la liquidità così gestita era pari a oltre $ 2.400 MD; ora, invece, siamo a poco più di $ 400 MD, con una discesa che potrebbe non essere ancora finita. Se così fosse, non è da escludere che la FED possa ridurre il piano di riacquisto (quantitative tightening) da 95 MD mese di treasury, portandolo a $ 40/45 MD mese. E quindi “liberandone” altrettanti, mese dopo mese, sul mercato.
Rimane, all’orizzonte, l’incognita geo-politica, al momento, nonostante le minacce e i missili (apparsi più come manovre dimostrative che vere azioni per distruggere), però, considerata piuttosto gestibile e senza particolari conseguenze sui mercati, sia per quanto riguarda le quotazioni borsistiche che, ancor di più, sui valori delle materie prime, dei beni rifugio e delle valute.
La giornata asiatica procede senza particolari tensioni.
A Tokyo il Nikkei fa segnare + 1%, in recupero sul finale. Andamento simile per il Kospi di Seul (+ 0,9%).
Hang Seng di Hong Kong + 1,72%.
Soffre invece la Cina, con Shanghai in arretramento dell0 0,67%.
Futures in rialzo ovunque, con l’Europa vicino al + 0,80%, mentre Wall Street spazia tra lo 0,35% e lo 0,62% (Nasdaq).
Petrolio in ribasso questa mattina, con il WTI a $ 81,30 (- 1,23%).
Gas naturale Usa a $ 1,736 (- 1,14%).
Oro a $ 2.378, – 1,57%.
Spread a 136,8, con il BTP che riparte da 3,92%.
Bund sempre ad un passo dal 2,50% (2,49%).
Treasury 4,65%.
€/$ senza particolari variazioni, a 1,0662.
Torna a salire il bitcoin, che questa mattina fa segnare $ 66.272.
Ps: c’è un ragazzo svedese (anche se nato negli USA) che sembra abbia voglia di emulare Icaro. Si chiama Raymond Duplantis, ha 24 anni e da 4 non ha rivali nel salto con l’asta. A 20 anni aveva già stabilito il nuovo record del mondo, “volando” a mt 6,17. Da quel momento non si è più fermato: centimetro dopo centimetro (è proprio il caso di dirlo), è arrivato a mt 6,24, nuovo record stabilito sabato scorso a Parigi. Un fenomeno, con gli avversari relegati a 20 e più cm di distanza. Quest’estate, sempre a Parigi, ci saranno le Olimpiadi, ma, per questa specialità, evidentemente le medagli disponibili saranno solo 2…