A livello globale il PIL, miliardo più miliardo meno, si aggira intorno ai $ 92/93.000 MD (gli Usa, da soli, valgono circa il 20/22%).
Se, invece, facciamo la somma del debito pubblico (Stati) e privato (famiglie e imprese) arriviamo all’incredibile cifra di $ 307.000 MD, con un rapporto pari a circa il 335% (nella fase più critica del Covid era arrivato a toccare oltre il 361%).
La risposta alla domanda “come sarà possibile che la situazione si normalizzi”, visto anche il trend (negli ultimi 10 anni il debito è aumentato di oltre $ 100.000 MD, mentre la crescita del PIL è stata, percentualmente, ben inferiore), diventa, quindi, alquanto difficile, anche in considerazione delle conseguenze delle politiche monetarie, che ne ha fatto lievitare il costo con una accelerazione impetuosa negli ultimi 12 mesi.
L’Italia non si sottrae, per quanto stia un po’ meglio rispetto al contesto, ad un quadro complessivamente complicato: a fine 2022 il debito complessivo era pari al 295% circa: analizzandone, però, la composizione, si nota che mentre le famiglie e le imprese hanno un debito percentualmente ben inferiore rispetto alla media, diversa è la situazione che riguarda il debito pubblico, attualmente oltre il 140%. Aspetto che preoccupa non poco.
Ne abbiamo conferma ascoltando le parole di Giancarlo Giorgetti, il Ministro del Tesoro.
Con estremo pragmatismo, infatti, ci dice che a preoccuparlo (e qui viene da chiedersi se parla come titolare del Ministero deputato a “gestire” i nostri conti o se, invece, parla come esponente della maggioranza e quindi a nome del Governo, ma la sensazione è che esprima un pensiero molto personale) non è tanto l’Europa, a partire dalla Commissione Europea (con la quale, dice, in un modo o nell’altro riuscireno a trovare un accordo), quanto, piuttosto, i mercati (dentro i “mercati” ci sta tutto: le famiglie, gli operatori domestici, gli esteri, le Banche, le società di investimento, etc). Perchè è a loro che il Tesoro si rivolge ogni giorno, ricercandone la fiducia. Fiducia che, come sappiamo, si esprime in un modo, definito spread. Tanto minore è la fiducia, tanto maggiore è lo spread, costringendo “l’emittente” (il Tesoro) ad alzare il rendimento del debito per attirare gli investitori ed “equilibrare” il rischio-rendimento. Il tutto si traduce, ovviamente, in maggiori oneri per le nostre finanze. Resi già enormemente più pesanti dall’aumento dei tassi. Quest’anno il nostro Paese pagherà, per interessi, una cifra molto vicina a € 100MD, con un maggior costo, rispetto all’anno precedente, pari a circa € 14/15 MD. Una cifra enorme per le nostre tasche, al punto da “drenare” quasi il 50% delle risorse disponibili (la manovra finanziaria a cui sta lavorando il Tesoro dovrebbe aggirarsi sui 30-35 MD).
Il tutto reso ancora più ostico dalla minor crescita, come le previsioni dell’Ocse ancora una volta confermano. A livello globale, l’economia dovrebbe crescere del 3% quest’anno, per scendere al + 2,7% l’anno prossimo. L’Italia, invece, torna ad “arrancare”, fermandosi allo 0,8% quest’anno, con una correzione al ribasso dello 0,4%, ma anche per l’anno prossimo, con uno scarto negativo dello 0,2% rispetto alle stime precedenti. La Cina, ancora una volta, sarà un contributore “negativo”, in considerazione che le stime sono per una nuova discesa, sotto la soglia “critica” del 5%: se quest’anno dovrebbe mantenere quel livello, per l’anno prossimo la crescita non andrà oltre il 4,6%, a conferma di un declino quasi irreversibile. Al contrario di quanto succede in India, dove raggiungere il 6% non dovrebbe essere un problema. Da notare che gli Usa, quest’anno, avranno una “over performance” di ben lo 0,6%, arrivando a toccare il 2,2% (che però dovrebbe scendere all’1,3% nel 2024).
Ieri sera nuovo, sebbene leggero, calo per gli indici americani (Nasdaq – 0,22%, Dow Jones – 0,31%), “zavorrati” dal prezzo del petrolio (che però questa notte ha invertito la rotta).
Mattina ancora una volta incerta per i listini asiatici, tutti con il segno meno: a Tokyo il Nikkei arretra dello 0,7%, mentre un po’ meglio va ai mercati “great China”, con Hong Kong e Shanghai “affiancati”, a – 0,30%.
Spostamenti lievi anche per le altre piazze asiatiche, con Seul e Mumbai in leggero calo, mentre sale la borsa indonesiana.
Futures che hanno invertito la rotta, dopo gli scambi negativi della primissima mattinata.
Come accennato, petrolio che ferma il proprio rialzo dopo giorni di continui aumenti: questa mattina il WTI, che ieri aveva sfiorata i $ 92, viene scambiato a $ 89,75.
Scende anche il gas naturale, che passa di mano a $ 2,769 (- 2,98%).
Oro a $ 1.934.
Stabile lo spread, a 177,2 bp.
Btp al 4,51%.
Bund 2,73%.
Treasury Usa a 4,35%, massimo da 16 anni a questa parte.
Ancora un leggero ritocco per l’€/$, a 1,069, con l’€ che prova di nuovo a guadagnare terreno.
Bitcoin che torna sopra i $ 27.000, anche se questa mattina da qualche segnale di indebolimento (27.061 vs i 27.300 di ieri sera).
Ps: Milano, rispetto al resto dell’Italia, è ritenuta, soprattutto da un punto di vista economico, un “mondo a parte”. Un mondo che, però, comincia a lanciare dei segnali preoccupanti. Si calcola, infatti, che dallo scoppio della pandemia, la città abbia perso oltre 35.000 residenti, “schiacciati” dai costi (soprattutto per la casa) elevati e costretti a trovare soluzioni di vita meno onerose. Un fenomeno, peraltro, che non accenna a fermarsi.