Il “disallineamento” tra attese degli operatori e le decisioni delle autorità monetarie spesso provoca reazioni sui mercati che possono, in alcuni casi, apparire scomposte o quanto meno esagerate.
Quanto si sta verificando in questi giorni (l’altro ieri Wall Street ha ceduto mediamente il 3%, ieri, dopo un’iniziale prova di rimbalzo, il Dow Jones è rimasto “aggrappato” alla parità, mentre il Nasdaq ha ceduto un altro 0,47%, portando a circa – 4% le perdite in 2 giorni) ne è un’ulteriore riprova: gran parte, per non dire tutti, gli analisti e diverse banche d’affari si erano posizionati in modalità “risk on”, dando praticamente per “acquisiti”, nel 2025, da parte della FED almeno 4 tagli (se non addirittura 5), in un contesto in cui l’inflazione era vista sempre in calo e la crescita comunque sufficientemente sostenuta, tanto da allontanare qualsiasi ipotesi di soft landing, confermando invece un no landing.
Le parole, più che le scelte, di Powell (taglio di 25bp, ma ipotesi di soli 2 tagli, se non addirittura solo 1), hanno invece “disorientato”, facendo venir meno alcune certezze e mettendo in luce, di contro, una situazione prospettica un po’ meno “goldilocks” (così si definisce, prendendo spunto dalla fiaba I riccioli d’oro e i 3 orsi, uscita nel 1837 in Inghilterra, una situazione economica favorevole, fatta da un’inflazione intorno al 2% e da una crescita stabile e continua, in cui l’equilibrio è quasi perfetto, con consumi delle famiglie comunque in aumento, una fase di pressoche piena occupazione, bassi conflitti sociali, etc: insomma quello che si potrebbe definire “migliore dei mondi possibili”). In sostanza, così sembra dirci Powell, le cose non sono quelle che sembrano: o meglio, ci sono indicatori che fanno pensare che il quadro di riferimento potrebbe cambiare.
In primis, appunto, l’andamento dei prezzi: se oggi l’inflazione USA è al 2,4%, che però è destinata a salire al 2,5% l’anno prossimo, prima di scendere al 2,1% l’anno successivo.
Poi la crescita, che pur rimanendo ben superiore a quella europea, dovrebbe passare da circa il 3% di quest’anno al 2,5% nel 2025, e poi passare al 2%. Il tutto in una situazione occupazione ancora buona (disoccupazione stabile al 4,3%).
Certamente non un quadro da “goldilocks”, ma neanche così apocalittico, o lontano dal “migliore dei mondi possibili”.
Eppure tanto è bastato per “mettere di traverso” l’umore. Possibile, pertanto, che le motivazioni siano anche altre.
La più “gettonata” fa riferimento alla potenziale “conflittualità” trala Banca Centrale e la nuova Amministrazione che sta per insediarsi. O meglio, tra i 2 leaders: per quanto Powell sia stato nominato da Trump durante il suo primo mandato, è noto che tra i 2 non corra “buon sangue”. Al punto che in più di un’occasione, in questi 4 anni, il tycoon ha dichiarato che, se rieletto, potrebbe “dimissionare” il Presidente FED (peraltro “opzione” non prevista dalla Costituzione USA, basata sull’indipendenza dell’autorità monetaria da quella politica). Certamente, il nuovo Presidente USA potrebbe vedere, nelle decisioni della FED (tagli dei tassi inferiori alle previsioni), quasi un “attentato” alla realizzazione delle politiche economiche tanto sbandierate, con promesse di una “nuova età dell’oro”. Dall’altra parte, il Presidente FED sembra voler dire al mondo “non sono manovrabile”, né da Trump né da chiunque altro, riaffermando l’assoluta indipendenza della Banca Centrale.
Di certo, un’accesa rivalità potrebbe non giovare ai mercati. E quanto sta accadendo in questi giorni sembra volercelo confermare.
Ben sappiamo come “l’equilibrio” spesso si basi su molteplici aspetti. Nella fattispecie, parlando di economia, derivi dal binomio politiche economiche-politiche monetarie. I problemi potrebbero nascere quando chi si fa portatore delle decisioni (il potere politico da una parte, quello monetario dall’altro) anziché essere “parte” di uno stesso disegno, vogliono essere i “protagonisti” assumendosi il merito dei risultati e cercando di mettere in secondo piano i meriti altrui. Con il rischio di passare da una situazione “win-win” ad una “lose-lose”.
Non va escluso, peraltro, che in questo modo Powell voglia lanciare un messaggio a Trump, avvertendolo del rischio che le sue ambizioni di voler far crescere l’economia in maniera “scoppiettante” si possono portar dietro, a partire dai dazi: in primis un aumento dei prezzi “esogeno” (si calcola, in caso di introduzione di dazi del 10%, un + 0,6% di inflazione), per non parlare, nel caso di politiche migratorie fortemente restrittive, pericolose dinamiche salariali, con aumenti diffusi in considerazione della minor offerta di mano d’opera.
Siamo, comunque, a 1 mese giusto dall’insediamento del nuovo inquilino della Casa Bianca. Non va quindi esclusa anche l’eventualità che i 2 “galli nel pollaio” si lancino dei messaggi: un modo per “segnare il territorio” e definire i “limiti” invalicabili da non oltrepassare: in questo senso, stabilire “regole di comunicazione” chiare può essere un aspetto positivo, che elimina l’eventualità di incomprensioni future.
La giornata, sui mercati del Pacifico, si avvia a chiusure senza particolari entusiasmi.
Il Nikkei, a Tokyo, a pochi minuti dalla fine delle contrattazioni fa segnare – 0,29%, dopo che la Bank of Japan ha lasciato invariati i tassi allo 0,25%.
Shanghai si muove intorno alla parità, mentre a Hong Kong l’Hang Seng è piuttosto volatile, alternando segni più a segni meno (in questi minuti + 0,11%).
A Seul Kospi – 1,30%.
Taiex Taiwan – 1,84%.
Futures al momento tutti con il segno meno: S%P 500 – 0,12%, Eurostoxx – 0,45%, MIB – 0,39%.
Petrolio in leggera contrazione, con il WTI a $ 69,04 (- 0,13%).
Gas naturale Usa + 1,20% ($ 3,633).
Oro a $ 2.621, + 0,40%.
Spread a 116 bp.
BTp al 3,48%, in rialzo come tutti i rendimenti dei titoli europei e americani.
Bund al 2,32%.
Treasury al 4,55% (chiusura di ieri 4,57%).
€/$ 1,0377.
Bitcoin che dai $ 108.000 di un paio di giorni fa è sceso ai $ 98.195 di questa mattina.
Ps: il MAXXI è uno dei posti più noti, nel nostro Paese, per “celebrare la cultura”. A ben sappiamo come anche il cibo sia, di fatto, una forma di cultura. Quindi diventa il posto naturale per celebrare forse il prodotto alimentare italiano più noto al mondo: la Nutella. Proprio nel Museo romano iniziano, infatti, le celebrazioni per il 60° compleanno della popolare crema di nocciole e cioccolato che ha reso la Ferrero conosciuta in tutto il mondo. Nata, appunto, nel 1964 grazie a Michele Ferrero (figlio di Pietro, fondatore della società). Una notorietà che l’ha portata, in un sondaggio condotto nel 1992, ad essere considerata una delle 5 cose per cui vale la pena vivere (come ben sa Nanni Moretti…).