Ormai sono passati più di 3 mesi da quando, il 26 luglio, la FED ha alzato per l’ultima volta i tassi americani, portandoli al livello più alto da 22 anni a questa parte. Quella di ieri diventa, di conseguenza, la seconda pausa consecutiva. Un rallentamento che potrebbe far pensare che, dall’altra parte dell’Oceano, si sia arrivati al famoso “pivot”, il picco che segna il punto più alto sulla strada dei rialzi. Forse anche per questo Jerome Powell, presidente FED, si è affrettato a dichiarare che “è sempre pronto a cambiare idee”, non essendo “ancora abbastanza sicuri di aver fatto abbastanza”. Ribadendo, quasi a voler smorzare gli entusiasmi, che “non è corretto” il pensiero che, in futuro, non ci possano essere nuovi aumenti. Ma i futures, o meglio le “scommesse” sulle prossime mosse della FED, al momento sembrano ignorare gli ammonimenti del “principal” della Banca Centrale americana: ben l’80% ritiene, infatti, che, nel vertice del prossimo mese, che le cose rimarranno invariate. Una prospettiva che potrebbe confermarsi anche con l’anno nuovo, con probabilità pari neanche al 30% per eventuali rialzi a gennaio 24.
Il buon, per non dire stupefacente, andamento dell’economia americana (PIL annualizzato 4,9%, disoccupazione al 3,8%, con oltre 9,6 ML di posti di lavoro “offerti” lo scorso mese e 339.000 nuove assunzioni: domani, peraltro, sono attesi i nuovi dati, con attese un po’ meno positive rispetto agli ultimi mesi) fornisce, però, una certezza: anche se non rialzeranno, i tassi rimarranno su questi livelli per un periodo più lungo del previsto (“non ci pensiamo e non ne parliamo. La domanda che ci poniamo, anzi, è se dovremo alzare ancora”, queste le sue parole a conclusione del meeting). Anche perché l’inflazione, per quanto si confermi in calo (3,7% lo scorso mese, ben lontana dal 9,1% di giugno 2022) rimane ancora troppo alta rispetto al “target” del 2%. Buone notizie, invece, per quanto riguarda gli stipendi, che sembrano crescere meno di quanto faccia l’inflazione (+ 4,3% contro il 4,8% di inizio anno e il 6% di un anno fa).
Le decisioni della FED, con la scontata grandissima attenzione ai temi economici (la “triade” PIL-occupazione-inflazione è il fattore su cui si gioca la sfida per l’elezione del nuovo Presidente americano), hanno, comunque, un altro obiettivo, questa volta più di tipo psicologico: aiutare l’umore, piuttosto negativo negli ultimi mesi,della classe media americana, preoccupata per le nubi sul futuro e le grandi divisioni interne. E non aiuta la consapevolezza che, anche da quelle parti, a livello di debito pubblico, non se la passano molto bene: siamo, oramai, a $ 34.000 MD, più 12 volte il nostro, senza contare che l’Amministrazione Biden deve coprire un nuovo deficit pari a $ 1.7 MD, la cui copertura non può che passare da nuove emissioni. E con i tassi vicini al 5% l’operazione non si può certo definire “indolore”. Senza contare il fatto che (è questione di settimane), ancora una volta il Congresso dovrà nuovamente cercare un accordo per evitare lo “shut-down”, vale a dire il blocco della Pubblica Amministrazione.
Ieri i mercati hanno reagito piuttosto positivamente alle decisioni della FED, con borse in rialzo e rendimenti in frenata.
L’Europa ha chiuso con rialzi nell’ordine dello 0,7% (Eurostoxx 50), mentre a Wall Street il Nasdaq ha ripreso la sua corsa (+ 1,77%), con il Dow Jones un po’ meno reattivo, come normale (+ 0,77%) e lo S&P 500 a + 1,05%.
In Asia questa mattina Tokyo conferma il suo buon momento (Nikkei + 1,10%), con il Governo che questa notte ha varato un piano di aiuti per le famiglie con redditi più bassi.
In Cina Shanghai è in ribasso dello 0,45%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng sale dello 0,50%.
Positiva anche la Corea, con il Kospi di Seul in crescita dell’1,7%.
Petrolio stabile, con il WTI sempre intorno a $ 81 (81,26, + 0,91%).
Gas naturale Usa a $ 3,454 (- 1,32%).
Oro a $ 1.994 (+ 0,27%).
Spread a 192 bp, con il BTP a 4,72%.
Bund 2,76% dal 2,80% di ieri.
Buon apprezzamento del Treasury, con i rendimenti che scendono al 4,73%.
€/$ a 1,0601.
Bitcoin sempre in “buona salute”, con i prezzi sopra i $ 35.000 (35.294).
Ps: è un mondo che cambia. Non solo per il clima. O per la presenza sempre più “ingombrante” dell’Intelligenza artificiale. O per il telelavoro. Da anni sentiamo dire che per le persone se non “anziane”, almeno “mature”, le porte delle aziende sono sempre più sbarrate. Apprendiamo, invece, da uno studio di InfoCamere che la presenza di ultrasettantenni che ricoprono un ruolo aziendale è aumentato, dal 2014 al 2023, di oltre il 25%, più o meno di quanto è diminuita la quota dei giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni. Peggio è andata per la fascia di età 30-49 anni, in calo del 28%. Aumento del 15,3% per la fascia 50-69 anni. Ma non finisce qui. Che i giovani preferiscano la natura è noto. Ma che amino l’agricoltura forse un po’ meno. A quanto pare, però, è così, se è vero che, sempre negli ultimi 10 anni, gli agricoltori di età inferiore ai 30 anni sono aumentati di oltre il 12,8%.