E’ pur vero che Powell, nella conferenza stampa in cui ieri ha annunciato il rialzo dello 0,25%, dopo l’ultimo dello 0,50% e i 4 precedenti consecutivi dello 0,75%, ha dichiarato che la FED “ha ancora del lavoro da svolgere” (sul fronte dei tassi), lasciando intendere che, per quest’anno, gli aumenti non sono ancora terminati (si pensa possano essercene altri 2, sempre per lo 0,25%) e che, anche laddove non venissero attuati, i livello rimarrà elevato ancora per un po’, ma i mercati, per l’ennesima volta, confermano la loro natura “anticipatoria”. Non è tanto il “qui e ora” la loro stella polare, quanto quello che succederà nei prossimi mesi.
Il veloce rialzo degli indici americani in seguito alle parole del Presidente FED (Nasdaq + 2,16%, S&P 500 ì 1,05%, Dow Jones piatta, comunque in forte recupero rispetto ai minimi di giornata) ci dimostrano come la pensino.
Rispetto all’inflazione, per quanto faccia fatica a scendere (in Europa ancor di più), ormai la stragrande maggioranza degli osservatori ritiene che il peggio sia passato: difficilmente si arriverà in tempi brevi al “target” del 2%, ma si assisterà, mese dopo mese, al suo calo. Meglio mantenere, quindi, un “low profile”, senza trionfalismi, ammonendo che è “sempre tra noi”, ma il processo sembra ineluttabile.
Sulla recessione i dati che giorno dopo giorno emergono (si diceva ieri delle percentuali di crescita del PIL delle varie economie, crescita praticamente ovunque in diminuzione rispetto all’anno scorso, ma comunque oltre le stime di qualche mese fa) fanno ritenere che dovrebbe sfiorarci, un po’ come quelle perturbazioni che ogni tanto arrivano dall’Atlantico e prendono la strada del Nord Europa. Questo vale sia per gli USA che per l’Europa, più esposta alla variabile “energia”. Ce lo conferma il dato americano sull’occupazione, ancora una volta ai massimi da 50/60 anni, con il livello di disoccupazione al 3,5%. Al punto che la FED, anche nel tentativo di raffreddare ulteriormente le dinamiche inflazionistiche, potrebbe agire per portarla al 4%: un modo evidente per evitare le pressioni inflazionistiche che, se trasmesse, sui salari (non a caso, come reso noto dai dati macro di 2 giorni fa, saliti leggermente meno del previsto), sarebbero ben più difficili da sconfiggere.
Le parole di Powell, quindi, sembrano più che altro un tentativo per frenare quello che potrebbe essere un “principio di euforia” dei mercati, desiderosi di dimenticare in fretta il 2022: dopo i rialzi record di gennaio, anche febbraio, almeno per quelli americani, è partito con il piede giusto. Mantenere la traiettoria dei rialzi precedenti sarebbe stata interpretato come un eccesso di rigore, oltre che scarsa attenzione alla situazione di molte famiglie e imprese, già oggi alle prese con un costo del denaro che ha fatto lievitare le rate dei mutui a livelli di “allerta rossa”: non a caso si sta iniziando ad assistere ad un crollo della domanda di mutui (per rimanere in Europa, nel quarto trimestre dell’anno il calo è stato del 21%), e anche la domanda di credito al consumo sta segnalando maggiori difficoltà. E il calo della domanda di mutui è il primo passo che porta al raffreddamento del mercato immobiliare, uno dei più grandi contributori alla crescita. Meglio allora procedere con rialzi più blandi e, allo stesso tempo, dire che potrebbero durare più del previsto: un modo per “comprare tempo” e vedere “l’effetto che fa”. Comunque, con il rialzo di ieri siamo al 4,50-4,75%, il livello più alto dal 2007. E anche questo è un segnale.
I rialzi americani lasciano, questa mattina, indifferenti i listini asiatici, tutti poco mossi: Nikkei a + 0,20%, Shanghai piatta (+ 0,02%), leggermente debole l’Hang Seng (- 0,22%). Sale (+ 0,8%) il Kospi a Seul: in Corea l’inflazione sta, seppur leggermente, continuando a crescere, con i prezzi al consumo saliti del 5,2%, oltre il 5% di dicembre.
Leggero calo per la borsa indiana, dove il Primo Ministro Modi ha presentato un piano di crescita che prevede investimenti (infrastrutture, energia, digitale, difesa) per oltre $ 549 MD: la sfida per superare la Cina (tra un paio di mesi superata per quel che riguarda il numero di abitanti) è lanciata, dopo che negli ultimi 25 anni l’economia è cresciuta di 10 volte.
Futures in buon rialzo questa mattina, con aumenti vicino al mezzo punto di Europa, mentre oltre Oceano spicca ancora il Nasdaq, a quasi + 1%.
Dopo la caduta di ieri, cerca di risalire la china il petrolio, con il WTI a $ 76,96 (+ 0,63%).
Gas naturale Usa a $ 2,527, + 2,23%.
Gas europeo a € 58,05 al megawattora.
“Sprinta” verso i $ 1.900 l’oro, che questa mattina fa segnare $ 1.973,90, + 1,51%.
Spread in leggero recupero, a 194,4 bp.
BTP decennali al 4,10%-4,15%.
Treasury al 3,40%.
€ ai massimi da 12 mesi verso $: questa mattina ne occorrono 1,1007 per avere un € in cambio.
E’ ripresa la corsa del bitcoin, ormai ad un passo dai $ 24.000 (23.823,40, massimi dal mese di agosto).
Ps: il paniere dei prezzi, oltre ad essere lo strumento utilizzato per definire il valore dell’inflazione, è anche un “indicatore sociale”. Osservando la sua composizione possiamo comprendere stili di vita e abitudini dei cittadini. Per questo, periodicamente, vengono fatti “aggiustamenti”, eliminando quei prodotti ormai in disuso (o fuori moda), per lasciar spazio a quelli più rappresentativi dei consumi. Tanto per fare un esempio, in quello del 1928 c’erano l’inchiostro nero per uso scolastico e l’olio di fegato di merluzzo. In quello utilizzato in questi giorni dall’Istat per stabilire l’inflazione troviamo le visite medico sportive, i massaggi estetici, prodotti biologici, riparazioni di smartphone.