Le contraddizioni, lo sappiamo, sono una costante nel nostro quotidiano, ben più frequenti di quanto si pensi, quasi a diventare “normalità”. Peraltro, dando uno sguardo alle notizie di oggi, viene da dire che non appartengono solo all’essere umano.
Non passa giorno in cui non si commentino o si leggano dati che evidenziano una rallentamento del ciclo economico, con la recessione che inizia ad allargare la sua ombra. Quasi a sorpresa, quindi, apprendiamo che in Italia il tasso di occupazione, per la prima volta dal 1977, supera il 60% (60,5%, pari al + 1,5% negli ultimi 12 mesi, con 23.230.000 occupati). Siamo ben lontani dal 70%, l’obiettivo fissato dalla UE per il 2010 (12 anni fa), ma è comunque, per il nostro Paese, una buona notizia.
Ad una lettura più approfondita, emerge che, negli ultimi 12 mesi abbiamo 502.000 nuovi occupati in più (solo nel mese di ottobre oltre 117.000). Con un tasso di disoccupazione sceso al 7,8%. Proiettando i dati degli ultimi mesi, si arriverebbe alla fatidica soglia di 1 milione di posti di lavoro in più, forse uno degli slogan elettorali più noti.
L’Italia rimane comunque un Paese in cui il “posto fisso è sacro” (Checco Zalone dixit, Quo Vadis, 2016): degli oltre 23 ML di persone occupate, i lavoratori dipendenti sono paria a 18,31 ML, di cui 15,26 ML a tempo indeterminato (erano 14,5 ML nel gennaio 2021)e 3,05 a tempo determinato. Gli autonomi sono stabilmente intorno ai 5 ML.
Analizzando ancora meglio i numeri, peraltro qualche dubbio viene. Ad ottobre, infatti (117.000 nuovi occupati in più), a crescere sono stati soprattutto di “over 50”, una categoria spesso tra le più in difficoltà nel ricollocarsi. La prima indiziata è la Cassa integrazione. L’Istat considera “inattivi” quei lavoratori che si trovano in Cassa integrazione a zero ore per almeno 3 mesi. Sono quindi sufficienti poche ore di lavoro per essere considerati tra i dipendenti a tempo indeterminato. Certamente la rinuncia, da parte delle aziende, alla Cassa integrazione significa che l’economia da segnali di ripartenza: ma rimane l’incertezza sulla forza e sulla durata della ripresa. Qualcuno stima che dei 117.000 nuovi occupati registrati ad ottobre, almeno il 70% possa essere dovuto allo “switch” tra cassa integrazione a zero ore e la sua uscita. Un altro indizio in tal senso potrebbe essere il calo dei contratti a tempo determinato, diminuiti di 18.000 unità ad ottobre. Essendo quello status, in molti casi, il primo passo verso un posto di lavoro definitivo, il fatto che siano scesi qualche preoccupazione sulla creazione di nuovi posti di lavoro effettivi la crea. Evidenza abbastanza concreta, viste le molteplici incertezze ancora presenti (guerra, costi energetici, diminuzione della crescita, etc). E come conferma ancora l’elevatissimo numero di giovani disoccupati, pari al 23,9% (per quanto sia diminuito del 3,7% nell’ultimo anno) contro una media europea del 15%.
Si chiude oggi una giornata tutto sommato positiva per i mercati, seppur gli indici asiatici siano in procinto di chiudere le contrattazioni leggermente negativi.
A Tokyo il Nikkei è a – 1,6%. Va un po’ meglio a Shanghai, a – 0,29% (+ 2,6% nella settimana) e a Hong Kong, con l’Hang Seng a – 0,23 (+ 5,8% nella settimana).
Ieri sera a New York chiusura negativa per il Dow Jones (- 0,56%), mentre il Nasdaq, dopo l’exploit di mercoledì, ha fatto segnare il + 0.10%.
Futures al momento appena negativi un po’ su tutte le piazze.
Settimana positiva anche per il petrolio. Ai prezzi di questa mattina ($ 81,06) il WTI risulta in rialzo di circa il 6% (i primi prezzi segnano – 0,31%).
Gas naturale USA a $ 6,59, – 2,36%.
Ieri fiammata dell’oro, che si è portato a $ 1.814.
Spread sempre in area 187/188 bp: BTP intorno al 3,70%.
Treasaury a 3,54%. In calo anche i tassi “reali”, all’1,14%, il livello più basso da settembre.
Continua il rafforzamento dell’€, a 1,0528, massimo da giugno.
Bitcoin in “oscillazione”: questa mattina lo troviamo a $ 16.936, – 0,94%.
Ps: è riapparso (seppur in video) Sam Bankman-Fried, il fondatore, proprietario e CEO di Ftx, la piattaforma “defaultata” nei primi giorni di novembre, con un “buco” di $ 32 MD. Intervistato in remoto (era in una delle sue ville alle Bahamas) dal New York Times, l’autore di uno dei fallimenti più grandi che si ricordino (in conseguenza del quale i clienti, per il momento, non possono toccare i propri conti) ha dichiarato che il proprio patrimonio ormai è ridotto a soli $ 100.000. A fine settembre, prima del crack, era stimato in $ 17,2 MD, che lo facevano il 41° uomo più ricco del mondo. Ovviamente nell’intervista (senza possibilità di contraddittorio) ha negato qualsiasi colpa, tanto meno il dolo, dichiarando candidamente “ho fatto un casino perché ero l’amministratore delegato. Ma non sapevo cosa stesse succedendo”….Beh, se non è una colpa questa…