Washington dista da Tel Aviv 9.437 km (poco meno di ¼ della circonferenza della terra, pari a Km 40.075). Andata e ritorno, quindi, diventano quasi 19.000 km.
In neanche 2 giorni, Joe Biden (compirà 81 anni il prossimo 20 novembre) è andato e tornato (questa sera alle 20.00 ora americana terrà un discorso alla nazione), in barba al fuso orario. E’ la prima volta che un Presidente americano si reca in una zona di guerra con un conflitto in corso, tra misure di sicurezza inimmaginabili. Già solo questo dettaglio può fare intendere quale sia la posta in gioco, che va ben oltre i consolidati rapporti tra i 2 Paesi, più forti della non facile relazione tra Biden e Netanyahu (è noto che il Presidente americano non stimi particolarmente il Primo ministro israeliano).
Ormai è chiaro a tutti che l’attacco di circa 15 giorni ha caratteristiche diverse da precedenti situazioni a cui abbiamo assistito nei 75 anni di vita di Israele: la violenza e le atrocità commesse non a caso hanno rievocato la Shoah perpetrata durante la seconda guerra mondiale. Da qui la gravità della situazione e il rischio che il diritto all’autodifesa di Israele travalichi, scatenando ulteriori estensioni belliche.
Indubbiamente l’obiettivo di Biden non si limitava ad un “tete a tete” con Netanyahu, quanto piuttosto ad un summit con chi, come la Giordania e l’ANP, ha più voce nel rappresentare le istanze palestinesi. Ma sappiamo come è andata. Peraltro, non si può dire che sia stato un viaggio a vuoto: il richiamo all’11 settembre e agli errori che ne sono conseguiti non è casuale, con l’invito a “gestire la rabbia” manifestato a chiare lettere. In altre parole, pesare bene le azioni che si intendono portare avanti. Un’invasione della striscia di Gaza, al di là dei rischi umanitari immediati, comporterebbe conseguenze di “lungo periodo”, in primis il “governo” del territorio, che, evidentemente, non può essere esercitato da Israele (in quel caso sì che l’area diventerebbe una vera polveriera).
I fatti medio-orientali sono stati la causa principale dei diffusi ribassi e delle tensioni che si sono manifestati ieri sui mercati finanziari, con le preoccupazioni che si vada incontro ad una escalation che ieri hanno avuto il sopravvento, con gli investitori che hanno preferito alleggerire le posizioni, nonostante dati macro americani che confermano il buono stato di salute dell’economia a stelle e strisce.
In Europa notizie confortanti arrivano dall’inflazione, con i prezzi che continuano, seppur non così rapidamente, a diminuire. A fine settembre, nei Paesi dell’Eurozona, era scesa al 4,3%, dal 5,2% di agosto e meno della metà rispetto a 12 mesi prima, quando viaggiava al 9,9%. Un po’ più alti i prezzi al consumo, al 4,9% (5,9% ad agosto, 10,9% 12 mesi fa).
Rimanendo sempre in Europa, la “stagione” delle Leggi di bilancio (tutti i Paesi stanno presentando alla Commissione Europea i loro piani e le previsioni per il prossimo triennio) conferma le difficoltà per il nostro Paese. Emerge, infatti, che saremo quello che avrà la crescita più bassa: un 1,2% (stime governative), mentre tutti gli altri, chi più chi meno, avranno ritmi superiori. Sul deficit, invece, potremo contare sulla compagnia di altri Paesi (vd Francia, Belgio, Finlandia, più qualcun altro), tutti con una percentuale oltre il 3%. Ma in una cosa primeggeremo (purtroppo): saremo il Paese con la spesa per interessi più alta di tutta l’area UE, con un livello che toccherà il 4,2% del PIL (ma che nel 2026 arriverà addirittura al 4,6%, pari ad oltre 103 MD…).
Si confermano ancora una volta i timori in vista dei prossimi giudizi delle società di rating. Timori che si possono sintetizzare in 3 punti essenziali:
- la crescita: come appena scritto, saremo il Paese che procederà al ritmo più basso in Europa;
- il debito pubblico: anche in questo, saremo quelli più “lenti”, però a scendere;
- capacità di attuare le riforme strutturali. Le difficoltà che stiamo incontrando sul PNRR ci dicono che è un percorso non così scontato e semplice.
Ma basterà attendere fino a domani sera (a mercati chiusi) per capire “che sarà di noi” (Standard & Poor’s è quasi pronta a dire la sua).
“L’onda” americana si estende, questa mattina, ai mercati asiatici, tutti in negativo, con perdite superiori all’1%.
A Tokyo il Nikkei arretra dell’1,91%. Da notare che il Paese nipponico, nell’ultimo trimestre, ha registrato un surplus commerciale di oltre 60MD di yen (circa $ 400ML) contro attese di un deficit di 42MD di yen, nonostante un calo delle esportazioni verso la Cina, a conferma delle difficoltà che attraversa il gigante asiatico, calo comunque compensato dall’export vso altri Paesi.
A Hong Kong l’Hang Seng perde oltre il 2%, mentre a Shanghai l’indice arretra dell’1,59%. Brutte notizie da Country Garden, che non sarebbe in grado di onorare il pagamento delle cedole di un prestito in $, mettendo a rischio tutto il debito off-shore.
Futures ancora negativi, anche se quelli USA cercano di “rialzare la testa”, avvicinandosi alla parità.
Petrolio senza particolari movimenti, con il WTI a $ 87,19. A proposito di petrolio, gli USA hanno confermato la sospensione delle sanzioni verso il Venezuela.
Si mantiene vicino ai $ 3 il gas naturale americano (3,078, è 0,72%).
Oro in calo a $ 1.959,60 (- 0,53% questa mattina), a testimonianza di tensioni geo-politiche sotto controllo.
Spread a 206,7 bp, con il BTP ad un passo dal 5% (4,95%).
Bund a 2,93%.
Sorte analoga per il Treasury americano, ormai ad un soffio dal 5% (4,94%), con il biennale al 5,22%.
€/$ a 1,054.
Bitcoin poco mosso, a $ 28.316.
Ps: fino a pochi anni fa i droni, per lo più, erano strumenti di guerra. Dall’anno prossimo, Amazon inizierà ad utilizzarli per la consegna di pacchi (dal peso non superiore a Kg 2,3 e con distanza non superiore a 12km). Ovviamente, non suonerà (il drone) al campanello di casa, ma lascerà cadere il pacco, da un’altezza di 3-4 mt, su un balcone o in un cortile. Tempo di consegna: 1h dalla data dell’ordine. Un’altra rivoluzione, probabilmente, sta arrivando.