Questa settimana il conflitto ucraino (che a detta di molti, a partire dallo stesso Presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, è destinato a fine nell’arco di pochi mesi) entra nel millesimo giorno: il 24 febbraio saranno 3 anni. A guardare lo scenario di guerra, non può non balzare all’occhio che, se confrontiamo i territori di fatto già controllati, all’epoca, dalla Russia (Crimea, dopo il referendum “non autorizzato” del 2014, e il Donbass, già invaso dalle truppe russe), “l’espansione” di Mosca si limita a poche centinaia di Kmq. In compenso, abbiamo avuto, secondo le stime del Pentagono e di altre organizzazioni, oltre 200.000 soldati morti (80.000 ucraini, 120.000 russi, ma qualcuno si spinge sin oltre i 250.000), più circa 700/800.000 feriti su tutte e due i fronti, senza contare i 12.000 morti stimati tra i civili. In compenso abbiamo un Paese praticamente raso al suolo, con milioni di profughi sparsi per l’Europa, senza contare coloro che hanno dovuto subire “migrazioni interne”, altrettanto destabilizzanti, e si ritrovano oggi senza una casa, senza un lavoro e con prospettive non semplici.
Sempre questa settimana (per l’esattezza domani), in concomitanza con le comunicazioni relative ai profitti aziendali relativi alle aziende quotate allo S&P 500, conosceremo i risultati della società ormai considerata un vero e proprio “benchmarck” (almeno per quanto riguarda la tecnologia), vale a dire Nvidia. Che, c’è da esserne certi influenzeranno i mercati ben più di quanto possa fare la geo-politica.
Ancora una volta, quindi, potremo affermare che il cinismo sia una qualità intrinseca dei mercati: l’incremento o meno dei profitti aziendali impatta sulle quotazioni borsistiche ben più di quanto possano fare le guerre. A maggior ragione quando diventano “abitudine”, provocando assuefazione. Il caso della guerra nei territori dell’est europeo è emblematico: si è passati dal rischio di una 3° Guerra Mondiale ad una sorta di “stanchezza” generale, a partire proprio dai contendenti, che sembrano che non aspettino altro che qualcuno si presenti con un piano di pace in grado, innanzitutto, di non far perdere la dignità: l’aspetto forse più difficile, in tal senso, è arrivare a giustificare 3 anni di morte e distruzione per rimanere da una parte quasi con un pugno di mosche, dall’altra di avere un Paese da ricostruire nella sua globalità (e he difficilmente potrà tornare ad essere quello di prima).
I mercati, evidentemente, fanno “di conto”: cercano, quindi, nella profittabilità delle aziende le motivazioni per continuare o meno nella loro crescita.
Una crescita che oramai prosegue da inizio 2023, dopo la pausa del 2022 (peraltro dovuta alle vicende legate all’esplosione dell’inflazione e non alle vicende belliche) e che cerca conferme giorno dopo giorno e, ancor di più, trimestre dopo trimestre. Il “giorno dopo giorno” passa attraverso le notizie e le aspettative legate a diversi fattori: andamento dell’inflazione, prospettive delle politiche monetarie da parte delle Banche Centrali, come Trump intenderà realizzare i suoi programmi di crescita economica, evoluzione della situazione, sia politica che economia, in alcuni Paesi dell’area UE (in primis la Germania, dove a febbraio 2025 si svolgeranno le elezioni anticipate). Il “trimestre dopo trimestre”, invece, si fonda su “numeri concreti”, quali la crescita degli utili. Una sorta di “condanna” per i mercati.
Le quotazioni aziendali, infatti, hanno ormai raggiunto livelli piuttosto elevati (a Wall Street siamo a 22 volte gli utili attesi, se dettagliamo i vari indici lo S&P 500 “gira” intorno a 25, il Nasdaq 100 a 33), giustificabili solo se gli utili continuano a crescere (e neanche di poco).
In tal senso, l’anno che sta per chiudersi non si può dire sia stato negativo: la “coda” del 2023 (ultimo “quarter”) era stata di un + 10,1%, a cui aveva fatto seguito il + 8,2% del 1° trimestre 2024. Ancora meglio era stato il 2° trimestre, chiuso con un + 13,2%. Ritmi, realisticamente, insostenibili, anche per un’economia in “buona salute” come quella americana. Ecco, quindi, che il + 5,4% raggiunto nel 3° trimestre sembra “poca cosa” rispetto al precedente: eppure, ci dicono gli esperti, ha superato del 4,3% rispetto alle previsioni. Vero è che mancano ancora alcuni “calibri da 90” (vedi, appunto, Nvidia, che uscirà allo scoperto domani sera, a mercati chiusi), in grado di influenzare il risultato globale, ma, intanto, i numeri sin qui pubblicati parlano chiaro. La stragrande maggioranza delle società “made in Usa” batte le stime: si va dal + 95% tra quelle del settore dei servizi e della comunicazione (con il restante 5% in linea con i consensus), al + 85% nell’informatica (5% in linea, 10% sotto le stime), al + 83% nella salute (3% in linea, 14% sotto le stime), per arrivare alle materie prime, con, comunque, il 50% che batte le stime, il 4% in linea, il 46% sotto le stime.
Anche nell’area UE, peraltro, almeno sotto questo aspetto, le cose non sembrano poi essere così negative, con gli utili relativi alle società dello Stoxx Europe 600 previsti in rialzo del 3% (ma secondo alcuni potrebbero arrivare addirittura ad un più 10.3%). Va peraltro detto che il dato è un po’ meno omogeneo di quello americano: se lo “ripuliamo”, infatti, della componente dovuta alle società “finanziarie” (banche, assicurazioni, asset management) il dato passerebbe in negativo (- 6%), trascinato al ribasso dal manufatturiero (la crisi dell’industria europea è oramai un fatto acclarato).
Giornata di rialzi per le borse asiatiche.
Il Nikkei, a Tokyo, si avvia a chiudere il rialzo dello 0,51%, Shanghai si spinge, in questi minuti, al + 0,67%. A Hong Kong, l’Hang Seng arriva al + 0,28%. Il Taiex Taiwan brilla con un + 1,34%.
Kospi Seul + 0,2%, mentre Mumbai ha aperto con un + 1%.
Futures ben impostati, con rialzi tra lo 0,10% e lo 0,20%.
Dopo essersi avvicinato, nella giornata di ieri, ai $ 70, questa mattina il WTI fa segnare $ 69,13 (- 0,16%).
Gas naturale Usa sempre in prossimità dei $ 3 (2,975, – 0,44%).
Torna a valicare i $ 2.600 l’oro (2.623, + 0,25%, dopo che alcune Banche d’affari hanno affermato che nel 2025 dovrebbe arrivare a superare i $ 3.000.
Spread a 120 bp.
Btp che riparte da 3,57%.
Bund 2,37%.
Treasury al 4,41% (dal 4,45% di ieri), livello che lo mette in “diretta” concorrenza con Wall Street, dove il rendimento dei dividendi si aggira intorno al 4,5% (in altre parole, oggi non c’è il “premio al rischio”, cosa che potrebbe “spostare” l’attenzione di molti risparmiatori dall’azionario all’obbligazionario Usa, visto che i rendimenti sostanzialmente si equivalgono).
€/$ a 1,0579.
Bitcoin che si è preso una tregua, a $ 92.510.
Ps: in questi giorni, New Delhi è paralizzata, Non dal traffico, come succede ogni giorno. Ma perché ogni attività è ferma, un po’ come ai tempi del Covid. Questa volta, però, la colpa è dell’inquinamento: l’Air quality index, il parametro che misura l’inquinamento dell’aria, è arrivato a segnare i 1.862 punti: la società svizzera IQAir, che lo ha brevettato, ha dichiarato che superare i 150 punti è dannoso per la salute, andare oltre i 200 è molto dannoso, toccare i 300 pericoloso. E’ diventata, cioè, la città più inquinata del mondo (18 volte più inquinata di Milano). Ma per qualcuno (e che qualcuno) l’inquinamento non esiste.