Difficile negare l’evidenza: il settore bancario è probabilmente quello che ha maggiormente beneficiato del rialzo dei tassi iniziato circa un anno e mezzo fa.
La conferma ci arriva guardando ai dati del 1° trimestre dell’anno, l’ennesimo con risultati superiori alle aspettative. Come ci dice un articolo apparso su Il Sole 24ore di oggi, le prime 30 banche europee hanno realizzato oltre € 56 MD di utili, ben oltre i 45,5 MD attesi. Eppure solo 3, nel periodo in cui i dati sono stati resi noti (19 aprile – 16 maggio), hanno avuto un andamento di borsa positivo: ben 26 (1, la tedesca Commerzbank, li ha presentati il giorno successivo) a fine periodo hanno riportato una quotazione inferiore. Un andamento a prima vista poco comprensibile visti i numeri, ma che può risultare più chiaro scendendo più nel dettaglio.
Innanzitutto il settore bancario è quello che, nella prima fase dell’anno (fin verso la fine di febbraio) ha ottenuto la performance più brillante, in parte raffreddata per i fatti riguardanti le banche regionali americane (e, “en passant”, il Credit Suisse, salvato in fretta e furia da UBS).
In secondo luogo, i prezzi già incorporavano una previsione di utili così importante, per cui il detto “compra sulla voce, vendi sulla notizia” si è dimostrato ancora una volta esatto.
Ma non vanno dimenticati anche altri aspetti.
In primo luogo il fatto che è opinione diffusa che nel 1° trimestre sia stato raggiunto il picco di redditività: da qui in avanti si ritiene che, per quanto i bilanci continueranno a presentare numeri ampiamenti positivi, la marginalità non potrà che scendere. E’ noto che, da quasi 2 anni, le banche abbiano ripreso a svolgere la loro attività “core”, che è quella di prestare denaro guadagnando sul differenziale di tasso tra il costo della raccolta (income) e quanto fatto pagare dai “prenditori di denaro”. Una marginalità che è andata sempre più crescendo, affiancandosi ad altre “revenues” ormai entrate stabilmente a far parte dei bilanci, quali le commissioni di negoziazione sulle operazioni in titoli piuttosto che le commissioni di gestione su molti prodotti finanziari, dovuta alla differente “velocità” di applicazione delle mutate condizioni di mercato: rapide quelle sul denaro dato in prestito, lente quelle sulla raccolta. Un fenomeno, però, ormai destinato ad arrestarsi, se non a invertire la rotta. Infatti, se è vero che i tassi sono “quasi arrivati” (probabile che la BCE proceda ancora a qualche ritocco, ma di lieve entità), i tassi sulle varie forme di finanziamento non dovrebbero subire ulteriori significativi aumenti. Di contro, come conferma anche la “moral suasion” che da qualche giorno lo stesso MEF (Ministero Economia e Finanze) sta mettendo in atto, è sempre più probabile che le banche inizieranno ad applicare un tasso passivo (per loro, attivo per i clienti) sulle giacenze di conto corrente. Vero è, come sostiene Antonio Patuelli, Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana, che i conti correnti non sono un “servizio di investimento” ma bensì di “pagamento”, ma è altresì vero che da sempre, in un periodo di tassi “normalizzati” è logico aspettarsi un minimo di rendimento (ad oggi il tasso medio della raccolta del sistema è pari allo 0,82%; se ci limitiamo ai soli conti correnti, ci fermiamo allo 0,29%).
In secondo luogo, nel momento in cui finanziarsi costa di più, imprese e famiglie cercano di ridurre l’utilizzo delle varie forme di prestiti (basti pensare ai mutui, sui quali già si nota una significativa diminuzione della richiesta). Diminuisce, quindi, la “base di calcolo” della “remunerazione” dell’attività. Quindi, banalmente, le attese per i prossimi mesi sono di minori ricavi, visti i minori prestiti, e di maggiori costi per la remunerazione più diffusa dei depositi.
Detto questo, le previsioni per il settore continuano ad essere positive, con un livello di remunerazione per gli azionisti (dividendi) di tutto rispetto: ma, si sa, i mercati si muovono sempre in anticipo, con i prezzi che per forza di cose devono prendere fiato per non correre il rischio di arrivare a multipli ingiustificati che, a quel punto, potrebbero portare il settore all’effetto “bolla”, preludio di una riduzione più drastica delle quotazioni.
Sul fronte del debito Usa, continua la “marcia di riavvicinamento” tra i contendenti, con segnali di pace che arrivano da più parti (ultime in ordine di tempo le dichiarazioni del leader dei repubblicani al Congresso, che si è detto ottimista sulla conclusione della trattativa).
Immediate le reazioni a Wall Street, con tutti gli indici positivi. Spicca il + 1,81% del Nasdaq, spinto dalle performance di Netflix (+ 9%) e Nvidia (+ 5%).
Continua, questa mattina, la corsa del Nikkei a Tokyo, che incamera un altro 0,77%, che porta il guadagno della settimana a + 5%.
Deboli, invece, le borse Great China, con Shanghai a – 0,42% e Hong Kong – 1,03%.
Futures positivi di qua e di là dell’oceano, in frazionale rialzo.
Si riprende il petrolio, con il WTI che “riagguanta” i $ 72 (72,76, + 1,04%).
Gas naturale a $ 2,619, in rialzo dello 0,89%.
Oro a $ 1.970, + 0,40%.
Spread a 188 bp, con il BTP che si porta al 4,31%, massimo da fine aprile.
Treasury a 3,63%, appena sotto la chiusura di ieri (3,64%).
Ancora in rafforzamento il $, che si porta a 1,079 vso €.
Bitcoin a $ 26.904, in rialzo (+ 0,31%).
Ps: Eccesso di informazioni (e quindi “fake news”) o “spionaggio”? Fatto sta che il Montana da ieri ha vietato l’uso di Tik Tok. Certo, non si parla di uno stato come la California o la Florida, però siamo sempre negli Usa. Il Governatore (Repubblicano) dello stato incastrato tra i monti ha firmato la legge che vieta l’uso dell’App “made in China” motivandola con il rischio di spionaggio da parte del Partito Comunista cinese, con multe sino a $ 10.000 per gli Apple e Google store che permetteranno di scaricare l’App (in tutti gli Stati Uniti sono circa 150 ML le persone che la utilizzano). Insomma, è più facile girare armati che non essere social (almeno nel Montana).